PSICOANALISI ON LINE? LA MIA ESPERIENZA CLINICA

Share this
3 giugno, 2022 - 10:56
Ho iniziato il lavoro da remoto quando si è reso necessario a causa del Covid nell’Aprile 2020; non lo avevo mai praticato prima, ma letto diversa letteratura internazionale per un testo di cui mi ero occupata circa un film il cui personaggio viveva una sorta di relazione ‘da remoto’. L’insieme della letteratura pubblicata sull’International Journal of Psychoanalysis da parte di colleghi americani che da tempo praticavano analisi da remoto a causa delle loro grandi distanze, era nel complesso confortante, si diceva in sostanza che per la maggior parte dei pazienti, tranne gravi psicotici o altre particolari situazioni, l’analisi da remoto si può svolgere senza alterare il dispositivo analitico.

Questa la premessa, che deve avere lavorato preconsciamente dentro di me.

La mia esperienza con il remoto è stata ed è globalmente molto buona. Superato il periodo del Covid, dove ha permesso la continuità analitica con i pazienti e l’eventuale inizio di nuove situazioni terapeutiche (nel mio caso c’è stata una sola interruzione durante il Covid di una paziente ad analisi avanzata, che è oggi ritornata). Permettere la continuità è un grande vantaggio del remoto; superato il Covid, ritengo che esso sia ormai entrato in un nuovo paradigma sociale e da allora analisi che avrebbero subito più salti ed interruzioni a causa di partenze o spostamenti (per lavoro o studio dei pazienti) sono invece potute continuare, se il paziente è veramente interessato a che il processo continui.

Nella mia personale esperienza, questo ha favorito l’arrivo di pazienti (oltre che supervisioni) da altre Regioni e persino altri Stati, che espressamente chiedono l’analisi on line. Un’osservazione di soli due anni non è molta, ma mi consente al momento di dire che questa è una grande opportunità per la diffusione e la sopravvivenza della psicoanalisi, che consente a persone motivate e sofferenti che magari vivono in territori con pochi analisti, o non soddisfatti degli analisti della loro zona, di cercarsi l’analista che meglio credono, conosciuto magari attraverso conferenze o libri.

Anche per quanto riguarda le supervisioni, si sottolinea poco come il remoto faciliti la sprovincializzazione dei Centri di psicoanalisi, la rottura delle ‘famiglie’, delle culture chiuse localistiche, dove gli allievi finivano per rivolgersi sempre agli stessi oppure, come è stato il mio caso e non solo mio, si andava da un supervisore di altra città sopportando anni di viaggi lunghi e costosi.

Oggi tutto questo non è più necessario.

 

Pro e contro

 

Stabilisco il mio setting on line esattamente come lo stabilirei in presenza, cioè, una volta conclusi i colloqui preliminari, invitando il paziente alla posizione sul lettino con lo schermo dietro (ovviamente un divano in un angolo che sceglierà riparato in casa sua e che resterà quello), dove ci si saluta all’inizio e alla fine, come in studio. Se scelgo il vis à vis, anche in remoto sarà applicato il vis à vis. Per le persone di altre Regioni, richiedo se possibile un colloquio in presenza, e fino ad ora non mi è mai stato detto di no. Né con i miei precedenti pazienti, né con i nuovi che hanno iniziato così e continuato così, non ho incontrato difficoltà ad impostare il setting on line, almeno fino ad ora. Ciò può dipendere da vari fattori: che l’analista lo abbia ben interiorizzato dentro di sé, lo proponga con la stessa fiducia e serietà con cui lo proporrebbe in presenza, che l’analista sia a suo agio come io sono, a volte persino di più con alcuni pazienti che in presenza (per ragioni ovviamente da analizzare), che non venga passata come un’opzione di serie B, che il tipo di paziente sia indicato.

Sulla prima parte di questi fattori, credo dipenda da quanto l’analista è a suo agio nel remoto, è felice di incontrare pazienti di altre aree geografiche e poter lavorare con loro, e ha fede nel metodo psicoanalitico: io credo che se il setting mentale è rigoroso, se viene bene spiegato al paziente, la psicoanalisi è dotata di un metodo così forte “associazione libera/attenzione fluttuante/lavoro di scomposizione sull’inconscio” (si vedano sugli ultimi ottimi studi di Riolo e il suo gruppo sul metodo) che non è certo di fronte a uno schermo che può cedere. Tornerò dopo brevemente su questo punto. La pratica di questi anni, che lo si ammetta o no, ci ha semmai rivelato quanto di davvero straordinario Freud ci ha lasciato: un metodo che se correttamente applicato resiste alle rivoluzioni tecnologiche, può persino favorire la diffusione della psicoanalisi. Concordo con Gabbard quando scrive di essere stato colpito dal fatto che moltissimi pazienti fanno un ottimo lavoro con un trattamento on line, e aggiunge che “spesso sbagliamo a considerare il trattamento on line come qualcosa di remoto o distante” (1). C’è ancora da imparare, aggiunge, forse qualcosa si perde nel non incontrare un corpo nella sua totalità, ma forse anche qualcosa si aggiunge.

Ho fatto cenno al tipo di pazienti: la domanda è ci sono pazienti da escludere o selezionare per il remoto? Che cosa si guadagna e che cosa eventualmente si perde, nell’una e nell’altra situazione?

Nel nostro campo, purtroppo, come già osservato da Freud, la diagnosi a volte in itinere, e le caratteristiche del paziente si svelano nel tempo, ma credo che nel complesso la maggior parte dei pazienti possano usufruire bene del remoto, a meno che non siano loro stessi a rifiutarlo. Nella mia esperienza, è successo una volta sola, con una pazienta con sintomatologia isterica, in analisi da diversi anni e per la quale evidentemente il ‘corpo’, con tutta la tematica delle sue conversioni, era qualcosa da portare concretamente in seduta. Non è detto però che valga lo stesso per tutte le persone isteriche, perché sappiamo che l’analisi è un percorso molto singolare e specifico, e ogni persona è diversa da un’altra. E’ possibile che pazienti psicosomatici, in cui la sintomatologia legata al corporeo sia in primo piano, possano essere più in difficoltà nel remoto, così come alcuni pazienti borderline, soprattutto in certe fasi o i primi tempi della terapia, possono aver bisogno del contatto diretto con la stanza, con l’ambiente fisico, con la figura fisica dell’analista, in quanto non ancora capaci di mentalizzarla, di sopportarne quel tipo di immaginaria distanza che il remoto può sembrare loro evocare.

Per converso, ho notato, in accordo con Gabbard, che con alcuni pazienti il contatto è invece facilitato dal remoto. Strutture maniacali e ipomaniacali, generalmente sempre eccitate e con fuga delle idee, con scarso contatto con la loro vita psichica, poco capaci di ascoltarsi, sembrano invece più calmi, più capaci di mettersi in ascolto di se stessi, e quindi della voce dell’analista, quando non si è fisicamente nella stessa stanza; la tendenza all’agire può diminuire in certi pazienti; l’isolamento della voce, la maggiore deprivazione sensoriale rispetto agli stimoli ambientali che si ricevono nella stanza d’analisi possono favorire in molti pazienti un’elevata concentrazione e raccoglimento su di sé. La parola, il transfert sulla parola, ne viene come esaltato, purificato, si dà ad esso il massimo del valore. E’ vero che nel virtuale si possono perdere informazioni sulla postura generale di una persona, come si muove nello spazio, come lo abita, ma come detto si può ovviare a questo chiedendo nei colloqui preliminari che ve ne sia uno in persona, o che nel corso del tempo si possa avere qualche incontro in persona; se le distanze non sono eccessive, per l’esperienza fatta finora, nessuno rifiuta. E’ probabile che la persona che contatta un analista, magari di un’altra città, per un’analisi on line sia una persona già preparata a questa evenienza, la abbia messa in conto e la accetti perciò di buon grado; ho però verificato che anche con i pazienti della mia città, una volta passata la pandemia, in alcuni è rimasta la tendenza a restare on line, o ad alternare on line e presenza a seconda delle necessità. Credo che, in conclusione, il cambio di paradigma avvenuto con la pandemia non consentirà ritorni indietro, e che una volta introdotte modifiche di setting importanti che facilitano la vita delle persone, a queste (a livello mondiale, oltretutto) non si può più dire di no.

La mia personale esperienza è globalmente più che positiva, sia nelle analisi, sia nelle supervisioni e quindi nelle osservazioni delle analisi condotte da altri. Sta alla coppia analitica, secondo me, ossia alla competenza dell’analista, proporre e scegliere lo strumento che ritiene più adeguato e dove lavora più comodamente, questo è un dato essenziale: se un analista è a disagio nell’on line, è impossibile che vi lavori e che metta a suo agio il paziente. Le vere controindicazioni, anche in base alla letteratura sull’argomento, sembrano essere poche; in questi soli due anni si è assistito ad un enorme aumento di domanda di terapia on line, il che non può che rappresentare un beneficio.

Quanto al complesso discorso se tutto questo rischia di mettere a repentaglio lo specifico del metodo psicoanalitico, la mia opinione è che no. Rimando su questo tema ai recenti studi di Riolo (2), che a loro volta fanno riferimento ai saggi di Freud in proposito (1914) (3): teoria, tecnica e clinica, ci dice l’autore, costituiscono un tripode incardinato dal metodo. L’invariante sarebbe il metodo. Gli elementi che caratterizzano in modo distintivo il metodo psicoanalitico, i suoi ‘funtori’, come già anticipato, sono dati dal: lavoro sul sogno (in quanto isomorfo all’inconscio), libere associazioni, attenzione liberamente fluttuante, persona dell’analista. Nessuno di questi elementi viene messo in crisi dall’ on line, se correttamente applicato; è anzi persino possibile che in alcuni vengano persino accentuati, come la libera associazione in certi pazienti che ‘si lasciano più andare’ quando non in presenza dell’analista, e così via.

Credo tuttavia sia un’osservazione che debba continuare, ma può continuare solo facendola. Non va imposto a chi non lo desidera, sia analista o paziente, ma non inficia il metodo e contribuisce a diffondere la psicoanalisi e a renderla fruibile a persone che diversamente non la affronterebbero. Il dispositivo analitico, con il suo corredo di setting, resistenze, transfert e controtransfert, a mio parere incontra le stesse difficoltà che incontrerebbe in presenza.

 

1 - Dialogando con Glenn O. Gabbard (a cura di De Giorgi Cosima, Masina Luisa, Sessarego Antonella), Alpes, Roma, 2022

 

2 – Riolo F. : Il metodo psicoanalitico e i suoi funtori. In: La cura psicoanalitica contemporanea, ED Fioriti, Roma, 2018

 

3 – Freud S. (1914): Vie della terapia psicoanalitica, O.S.F., 9

 

> Lascia un commento


Totale visualizzazioni: 1381