Mente ad arte
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di Matteo Balestrieri

Pensieri attorno a Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio

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9 giugno, 2022 - 12:21
di Matteo Balestrieri

Quando sei in alto nel centro de La Valletta, capitale di Malta, in una bella piazza centrale ti trovi davanti alla facciata imponente ma lineare della concattedrale di San Giovanni, chiesa conventuale dei Cavalieri di Malta. Quando però vi entri da un ingresso laterale, ti trovi immerso in un mondo completamente diverso, sontuoso, barocco, affollato di ori e decorazioni, dominato dall'horror vacui. Il pavimento è formato da circa 400 splendide lapidi di tombe dei Cavalieri di Malta decorate con intarsi di marmi policromi, affiancate le une alle altre. Da qui si levano le pareti, le cappelle, le volte, tutte decorate di stucchi dorati. Un enorme scrigno luccicante. I dipinti illustrano sentimenti religiosi e pii da parte di santi, potenti, papi e cavalieri. Tutto teatro di maniera.
Poi entri una sala laterale e in fondo vedi un quadro che ti fa respirare aria fresca. È un Caravaggio, il più grande dipinto da lui firmato, la Decollazione di San Giovanni. Sul grande sfondo scuro del cortile delle prigioni, in contrappunto con due prigionieri che osservano da destra al di là di una grata, a sinistra vi sono cinque persone splendidamente delineate dai chiaroscuri dei quali Caravaggio è maestro. A differenza di quanto accade per gli altri dipinti della concattedrale, queste persone non sono personaggi, nel senso che non recitano, non sono lì per dire qualcosa all'osservatore, ma sono intente al 'loro lavoro'. C'è l’aguzzino che taglia la gola al santo con il pugnale detto “misericordia”, il carceriere piuttosto indifferente, la vecchia inorridita, la giovane che porge il bacile dove verrà posta la testa del santo. E San Giovanni è steso a terra, con il sangue che gli scorre dalla gola e che finisce trascrivendo la firma di Caravaggio (più precisamente ‘f. Michelangelo’, ovvero fra Michelangelo, appellativo dovuto alla recentissima ammissione di Caravaggio al cavalierato di Malta).
Ad una prima sensazione, accompagnata poi da un ragionamento, il quadro non può che rimandare alla personalità del pittore. Caravaggio giunge a Malta nel 1607 e non riesce a restarci neanche due anni assai convulsi, passando dalla gloria del cavalierato alla condanna con infamia, cui segue la prigione e la fuga dal carcere. Il copione che reitera compulsivamente è quello, già altre volte sperimentato, della violenza impulsiva che lo porta a mettersi nei guai, cui segue la ricerca del perdono da parte dei potenti.
Molte delle caratteristiche di Caravaggio, è stato detto molte volte, rientrano il quadro del disturbo borderline di personalità: tra queste vi sono la incertezza identitaria – fluttuante tra la grandiosità del cavalierato alle frequentazioni popolane –, l’instabilità nelle relazioni affettive con forti oscillazioni dell’umore, l’impulsività e l’aggressività più volte sperimentate, seguite poi dai tentativi di riparazione. L’ambivalenza identitaria di Caravaggio determina tutta la sua vita adulta: cerca un riconoscimento da parte delle alte gerarchie, che però in fondo disprezza profondamente perché il suo mondo è quello della povera gente. Nella sua combriccola di amici c’erano infatti sempre persone poco raccomandabili e soliti risolvere ogni discussione con la violenza. I suoi quadri raffigurano popolani, le modelle delle sue madonne sono le prostitute con cui condivide l’esistenza, i personaggi non sono mai esemplari, ma colti nelle più intime e talvolta scomposte espressioni emotive.
Quello che il quadro suggerisce, attraverso l’immagine della sua firma scritta col “sangue” di San Giovanni, è quella di una identificazione tra la morte tragica del santo e il proprio destino. Non può essere un caso che Caravaggio abbia dipinto diverse volte teste mozzate sanguinanti. Ricordiamo in ordine cronologico la Medusa (nella prima versione del 1597, sanguinante per la decollazione), un Davide e Golia (1598), la bellissima Giuditta che decapita con ribrezzo Oloferne (1602), un altro Davide con la testa di Golia (1607, dove la testa urlante di Golia sarebbe un autoritratto di Caravaggio stesso), per finire con due diverse Salomè con la testa del Battista (tra il 1607 e il 1610). Se si tiene conto che due firme di Caravaggio sono apposte con il sangue dei decapitati (la Medusa e San Giovanni) e che la testa di Golia rappresenta se stesso, la drammaticità personalizzata del pittore appare chiara.
Bisogna in ogni caso tenere presente che Caravaggio venne condannato alla pena capitale nel maggio del 1606 dopo aver ucciso un membro di una famiglia importante. A ciò si aggiunge anche il fatto che la decapitazione del pittore poteva essere fatta da chiunque ed in qualsiasi momento, senza alcun limite. A Roma Michelangelo Merisi era praticamente diventato un “morto che cammina”, e per questo fu costretto a scappar via fino a rifugiarsi a Malta.
Questo vuol dire che il riferimento alle decapitazioni nella sua pittura potrebbe avere un significato diverso prima e dopo quel maggio del 1606. In effetti solo alcuni dei dipinti sono collocati temporalmente dopo la condanna a morte subita da Caravaggio, e precisamente solo uno dei quadri di Giuditta e Oloferne e poi la decollazione di San Giovanni. Per queste ultime opere si può pensare che i timori per la propria testa da parte del pittore fossero legittime e così dipingere un quadro firmandolo con il sangue del santo può essere stato un atto scaramantico-riparatorio, con la speranza che decollare San Giovanni avrebbe potuto magicamente risparmiare la propria testa.
Cosa però si può dire dei dipinti precedenti alla sua condanna a morte, soprattutto per quelli più autobiografici, come la sua firma sul sangue della Medusa (scritta ‘Michel AF’, ossia Michel Angelo fecit), e soprattutto l’autoritratto della testa del Golia decapitato? Non possiamo certo ignorare che erano i committenti a scegliere i soggetti da dipingere, e questo relativizza l’autonomia decisionale del pittore, aggiungendo però che questo ragionamento non varrebbe per la Medusa, soggetto scelto da Caravaggio. In ogni caso non si può negare il fatto che esista un’intima personalizzazione quando il pittore sceglie di firmare nel sangue che sgorga dalla testa della Medusa o di utilizzare il proprio autoritratto decapitato. Azzardando un po’, si potrebbe pensare che il tema della decollazione fosse un pensiero ossessivo, forse persecutorio, legato alla sua vita dissoluta già presente ben prima dell’omicidio da lui attuato. Dato che Caravaggio aveva accumulato denunce varie a proprio carico e frequentava ‘cattive compagnie’, egli forse si poteva prefigurare un destino tragico. Possiamo perciò pensare che Caravaggio avesse un senso drammatico della propria esistenza, e che temesse di terminare violentemente la propria vita.
Queste sono ovviamente considerazioni che possono essere confutate. Si è scritto molto su tutto questo, ma si tratta sempre di ipotesi. È certa solamente la grandezza della pittura di Michelangelo Merisi da Caravaggio, che non si smette mai di ammirare.

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