PSICHIATRIA E RAZZISMI
Storie e documenti
Lo straniero malato mentale nella Francia degli anni fra le due Guerre Mondiali (2)
John Ward nella sua ricercai ha studiato negli archivi dei manicomi del Dipartimento della Senna le cartelle dei malati stranieri, non-francesi, interessato a cogliere in particolare quanto lo sguardo dell’alienista fosse condizionato dal nazionalismo trionfante in Europa negli anni fra le due guerre mondiali.
Dall’indagine risulta che i pazienti stranieri furono vittime di una doppia alienazione, in quanto malati e in quanto stranieri, anche se, non oggetti di pratiche apertamente discriminatorie.
Quanto al numero dei ricoveri, nel solo 1923, le donne non-francesi ricoverate furono 143 , in particolare polacche, cecoslovacche, italiane, martinicane, quasi tutte donne di servizio.
Il misconoscimento del vissuto dello straniero
Come si rapportava il medico nel quotidiano con i malati immigrati? Prendeva in considerazione i loro contesti e le loro vicende personali e sociali oppure dava importanza solo alla codificazione nosografica?
Nelle cartelle, le vicende di dolore e fatica della maggior parte degli immigrati, sia politici che economici, sono annotate con cura, ma non sono prese in considerazione per il loro possibile impatto sul versante psicopatologico. Questo risulta particolarmente evidente per gli immigrati russi, come nel caso di una donna russa, vedova di un aviatore francese, ricoverata nel 1929 per abuso di alcool e cocaina. Dall’anamnesi risultava aver perso tutta la famiglia nella Rivoluzione russa, aver avuto due aborti, non avere avuto figli; rilevato un tentativo di suicidio con un taglio superficiale di 5 cm alla piega del gomito; non è presa in considerazione la condizione di vedova e immigrata, ma solo classificata come alienata a rischio suicidio. L’itinerario della migrazione riportato accuratamente nella cartella sembra avere solo la funzione di approfondire la ricerca degli aspetti ereditari (carattere famigliare o meno dei disturbi) o fenomenologici (processi intrapsichici, illusioni, deliri). Nella ricerca delle possibili fonti della sofferenza le vicende di vita e sociali non appaiono importanti.
L’alienista si muoveva dentro una cultura professionale appoggiata sulla tradizione psichiatrica nazionale francese etnocentrica che portava a censurare gli aspetti psicologici legati all’esperienza dell’immigrazione come possibile fonte di alienazione: l’esilio, il vissuto della migrazione, i traumi del viaggio, la separazione e la perdita delle relazioni di prossimità, la povertà erano presi in considerazione solo come contesti in cui compare il sintomo o indicatori di eventuali precedenti ereditari.
Le politiche di rimpatrio
Diffusa era la pratica del rimpatrio dei pazienti stranieri internati in ragione soprattutto dei costi sostenuti dalla Francia per l’accoglienza e le cure. E poi chi arrivava o era stato allontanato dal suo Stato o voleva sfruttare le opportunità offerte dalla Francia. E, infine, gli stranieri malati mentali erano troppo numerosi.
Le statistiche nei rapporti annuali evidenziano un lieve aumento del numero degli stranieri negli asili del Dipartimento della Senna fino al 1931; poi a partire da quell’anno anche il numero degli immigrati nella popolazione generale si riduce. Ma, complessivamente, la proporzione di stranieri ricoverati negli asili del Dipartimento della Senna non subisce che lievi variazioni da prima della Prima guerra Mondiale.
La composizione degli stranieri nella popolazione manicomiale era simile a quella esistente nella popolazione generale della Senna, con alcune variazioni:
- a belgi, svizzeri, spagnoli si aggiungono alla metà degli anni ‘20 immigrati dall’Europa Centrale e in numero minore da paese nordici e Americhe.
- nel 1926 gli italiani occupano il primo posto seguiti da belgi, polacchi e spagnoli e, in quantità minori, da turchi e svizzeri. Dal 1928 i russi superano al terzo posto gli spagnoli. Il rapporto alienati stranieri/ 10.000 stranieri residenti mostra una quota più alta dei ricoverati appartenenti alla popolazione generale, con punte che riguardano polacchi e russi.
Secondo una ricerca condotta da Courtois nel 1935, su 200 ricoverati con diagnosi di demenza precoce, 55 erano stranieri, 28 di “razza israelitica”; lo stesso respingeva considerazioni xenofobe, ma affermava che i dati spingevano per un attento controllo sanitario dell’immigrazione per la rilevazione dei soggetti indesiderabili, in ragione di obiettivi di profilassi ed eugenetica. L’amministrazione francese cercherà di limitare l’ingresso di persone “fragili” e di espellere le stesse con una più vigorosa politica di rimpatri.
Ad esempio, il rimpatrio diventava il più rapido possibile (con accompagnamento di due infermieri) in caso di diagnosi demenza precoce, ma soprattutto di chi aveva provocato disturbi dell’ordine pubblico.
In assenza di domicilio di soccorso, lo Stato pagava le spese ospedaliere dello straniero folle; se l’alienato risiedeva in Francia da più di 5 anni, secondo una legge del 1911, interveniva una convenzione di assistenza reciproca con lo Stato di provenienza. Con tutte le complicazioni e i ritardi dei pagamenti del caso e i conseguenti timori delle amministrazioni dei manicomi.
A leggere le cronache attuali delle politiche italiana, europea e mondiale in tema di migrazioni pare che il Novecento non sia poi così remoto.
Buone feste e buon 2024 a tutte e a tutti, e, soprattutto che non ci siano più guerre.
Luigi Benevelli
Mantova, 1 dicembre 2023
cfr. John Ward, Le malade mental étranger durant l’entre-deux guerres: une double aliénation médico-administrative, ISIS/ Université Paris XIII, novembre 2002.