Report dalle sale congressuali

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27 novembre, 2012 - 19:41

 

Report: Disturbi della pressione liquorale.
(Crabbio)

Nel primo intervento tenuto dal prof M. Savoiardo si è parlato degli aspetti clinico-diagnostici e terapeutici della sindrome da ipotensione liquorale ed in particolare della forma spontanea.
PRESENTAZIONE CLINICA: cefalea ortostatica, dolore cervicale laterale compatibile con la sede di perdita liquorale, nausea, vomito, modesti deficit dei nervi cranici, sonnolenza.
MECCANISMO FISIOPATOGENETICO: alla base dell'ipotensione liquorale vi è un a perdita di liquor. Poiché il contenuto della scatola cranica è costante, ad una diminuzione del liquor corrisponde un'espansione dei seni venosi e delle vene cerebrali. Si può osservare un rigonfiamento dell'ipofisi, un ispessimento ed un enanchment della dura. Si possono inoltre formare raccolte subdurali fino alla formazione di igromi. La deplezione degli spazi liquorali può inoltre determinare un'erniazione transtentoriale con rigonfiamento diencefalo-mesencefalico. Nell'81% dei casi si può osservare un enhancement pachimeningeo; nel 66% dei casi raccolte subdurali e nel 78% affondamento del cervello. Raccolte liquorali si possono anche verificare a livello del midollo.
COMPLICAZIONI: ematoma subdurale, trombosi dei seni venosi con modificazione delle caratteristiche della cefalea, siringa midollare. 
TRATTAMENTO: Blood patch epidurale, intervento chirurgico. E' stato infine presentato il caso di un paziente con ernia calcificata che lesionava la dura con creazione di fistola liquorale. 
PROGNOSI: guarigione spontanea nel 66% dei casi. 
Il secondo intervento è stato a cura del prof A. Quattrone che ha parlato dell'ipertensione intracranica idiopatica. Tra i criteri diagnostici di questa sindrome assumono particolare importanza la presenza si segni e sintomi di aumento della pressione intracranica, l'aumento della pressione liquorale senza anomalie citologiche o chimiche. Esistono due varianti della patologia: la forma con papilledema e la forma senza papilledema. In entrambi i casi può essere messa in rilievo alle immagini di RMN eseguite ad hoc la presenza di stenosi dei seni traversi.
Nel 28% dei casi si verifica un'interruzione di flusso unilaterale e nel 2% dei casi l'interruzione è bilaterale. Il 93% dei pazienti con stenosi dei seni traversi ha una presentazione bilaterale. In un 14% di casi la presentazione clinica è caratterizzata da cefalea senza papilledema. In tale presentazione l'unico segno discriminante è l'aumento della pressione intracranica. La diagnosi differenziale si pone pertanto con l'esecuzione della puntura lombare, preceduta dalla dimostrazione alla RMN della stenosi dei seni trasversali. Si deve sospettare questa sindrome, e ricercarla con un'immagine di RMN mirata ad evidenziare la stenosi dei seni trasversali, anche in pazienti che si presentano con segni e sintomi di ipertensione endocranica, pur in assenza di papilledema, e presentano un isolato difetto del VI nervo cranico, sella vuota, annebbiamento visivo. In tal caso il corretto inquadramento consiste nell'eseguire prima la RMN e, se questa dà esito positivo, la rachicentesi con determinazione della pressione liquorale. Sono stati quindi mostrati dati sulla base dei quali si può affermare che non esista una differenza tra la soglia dell'ipertensione endocranica nei pazienti obesi e normopeso: in entrambi i casi il limite pressorio per parlare di ipertensione endocranica si attesta sui 200 mmH2O. Il meccanismo alla base di questa sindrome sembra essere un'ostruzione creata dalle granulazioni del pacchioni o, in alternativa, alterazioni dei setti aracnoidali. Altrettanto interessante è il meccanismo ipotizzato essere alla base dell'ipertensione liquorale nel soggetto obeso. In questo caso si verificherebbe un aumento della pressione venosa centrale a livello dell'atrio destro, che impedirebbe lo scarico del sistema venoso cerebrale e condurrebbe così ad un'aumento della pressione venosa encefalica con conseguente ipertensione liquorale. TERAPIA: acetozolamide; riduzione di peso, riduzione della stenosi dei seni traversi ( posizionamento di stent), sottrazione del volume liquorale tramite deplezione acuta (rachicentesi) o tramite deplezione cronica ( shunt).
Il terzo intervento, tenuto dal prof A. Agostoni, ha trattato l'argomento "ipertensione endocranica secondaria". In particolare tra le innumerevoli cause di ipertensione endocranica secondaria ( cause vascolari, infettive, infiammatorie, neoplastiche), il relatore ha approfondito la trombosi dei seni venosi ( trombosi parziale o completa di uno o più seni venosi cerebrali e/o vene cerebrali). L'incidenza di questa patologia è di 3-4 casi/1.000.000 di abitanti per anno, con una netta prevalenza nel sesso femminile. Nel 36% dei casi è coinvolto il seno traverso, mentre nell'82% dei casi il seno sagittale superiore. Minor frequenza hanno le trombosi delle vene profonde, che tuttavia presentano una maggior mortalità. Nel 70% dei casi la trombosi è determinata da cause protrombotiche, nel 12% dei casi da alterazione del flusso ematico e nel 20% dei casi rmane sconosciuta. CLINICA: cefalea con caratteristiche aspecifiche, papilledema, deficit sensitivo-motori, crisi, modificazioni del comportamento, disfagia, paralisi di più nervi cranici. La diagnosi differenziale va posta con l'emorragia subaracnoidea e con disturbi psichiatrici. La guarigione avviene nel 65,7% dei casi, mentre la morte occorre nel 4,3%. TERAPIA: sintomatica: anticonvulsivanti, paracetamolo. E' necessario trattare la patologia di base che ha causato la trombosi. E' inoltre indicata nella fase acuta la terapia con anticoagulanti come l'eparina che va proseguita per almeno sei mesi dopo l'evento. Rischiose sembrano essere le terapie che comportano trombolisi locale.
L'ultimo intervento dal titolo "idrocefalo normoteso" è stato tenuto dal prof M. Gangemi. Come noto l'idrocefalo normoteso è definito clinicamente da una triade sintomatologia caratterizzata da deterioramento dello stato mentale, disturbi della marcia e incontinenza urinaria. A livello anatomopatologico si verifica una dilatazione del sistema liquorale senza aumento della pressione. In particolare l'aumento della pressione liquorale determina una dilatazione ventricolare con presenza di pulsazioni sistoliche che determinano il danno parenchimale. La diagnosi differenziale va posta con l'idrocefalo cronico e le patologie neurodegenerative. La diagnosi si pone con le consuete tecniche di immagine (TC e RMN) e con i test di infusione e di sottrazione. Il test di infusione è del tutto inutile nel predire l'outcome neurochirurgico; mentre il test di sottrazione ha un maggior valore predittivo. Questo test consiste in una massiva sottrazione di liquor ( 50 cc) che, nel caso in cui determini un miglioramento sintomatologico nel paziente, lo candida all'intervento neurochirurgico. TERAPIA: Derivazione ventricolo-atriale o ventricolo-peritoneale con valvole a bassa pressione (oggi non più utilizzate per le importanti complicanze) o valvole a media o alta pressione ( funziona secondo alcuni studi nel 29% dei casi e secondo altri nell'80% dei casi). Recente è l'utilizzo di valvole a pressione controllabile dall'esterno che comportano minori complicanze per overshuting, ma presentano invariate le complicanze infettive. Recente intervento, che ha mostrato effettivo successo, è la ventricolostomia con apertura del III ventricolo verso gli aspazi cisterno-prepontini. Questa tecnica ha mostrato un miglioramento della sintomatologia nel 72% dei casi con scarse complicanze. 

Depressione e sintomi somatici: relazione tra mente, cervello e corpo
A cura di S. Guida e W. Natta

Il primo intervento è quello del prof. Biggio, che affronta il tema "Geni, ambiente e neuroploasticità nei disturbi dell'umore". Inizia la relazione sottolineando l'importanza dell'interazione tra geni e ambiente nella patogenesi dei disturbi affettivi. Entrambi questi fattori agiscono tramite un effetto sulla produzione di fattori neurotrofici come il BDNF o neurotossici come il glutammato, come dimostrato da modelli sperimentali animali. Una delle evidenze neurobiologiche più significative nello studio della depressione è la riduzione volumetrica dell'ippocampo, che può essere determinata sia da fattori genetici, sia da fattori stressanti psicosociali e recidive di episodi depressivi. Da ultimo viene citato uno studio condotto su bambini oggetto di maltrattamenti nei quali è stata valutata la presenza di polimorfismo del gene per il recettore della serotonina. Da questo studio si evince che la maggiore incidenza di depressione si ritrova nei bambini con entrambi i fattori di rischio.
Segue l'interevento del dott. Tanganelli, neurologo di Genova, che sottolinea l'importanza di diagnosticare correttamente un disturbo depressivo in comorbidità con altre patologie, in particolare neurologiche, come l'ictus, il Parkinson e l'Alzheimer. Sull'interrogativo se la depressione sia da considerare un sintomo oppure una comorbidità, il relatore non propone una risposta univoca, bensì sottolinea la necessità di valutare ogni singolo caso a sé.
Conclude il simposio l'intervento del prof. Torta, che parla di "La depressione: continuum tra sintomi psichici, somatici e approccio terapeutico". Partendo da un riferimento al modello biopsicosociale, il più adatto ad inquadrare correttamente i disturbi affettivi, il relatore si sofferma sui geni più probabilmente correlati alla patogenesi della depressione. Tra questi vi sono quelli per la tirosina idrossilasi e per il trasportatore della serotonina. L'attenzione si sposta poi sugli strumenti terapeutici: farmaci antidepressivi e terapia cognitivo comportamentale. Gli antidepressivi si sono dimostrati in grado di elevare la soglia del dolore somatico, ma anche di ridurre la percezione del dolore affettivo e di agire positivamente sugli aspetti cognitivi del dolore modificando l'atteggiamento di coping del paziente. Il relatore conclude ricordando l'importanza della psicoterapia cognitivo comportamentale e in generale di un positivo rapporto medico paziente come mezzi di potenziamento della terapia farmacologica.
 

La malattia di Parkinson: comprensione e soluzione delle complicanze motorie da fattori periferici.

(a cura di M. Ossola)

 

Il prof. E. Corazziari (Roma) ha illustrato i disturbi dello svuotamento gastrico nel malato di Parkinson (MP). Nella MP i disturbi di funzionalità del sistema gastrointestinale sono associati alla malattia stessa ma anche alla terapia, e sono espressi da un’ampia gamma di sintomi: scialorrea, disfagia, nausea, dispepsia, stipsi. Dagli studi ultrasonografici della funzionalità gastrica, sappiamo che nelle persone sofferenti di stipsi lo svuotamento intestinale migliora lo svuotamento gastrico. Nei pazienti affetti da MP la stitichezza è nota essere un fattore che rallenta l’assorbimento gastrico, e la sua risoluzione porta ad un miglioramento netto della risposta alla terapia. Sappiamo che la risposta alla levodopa correla con il raggiungimento di un adeguato livello plasmatico, che viene influenzato dalla velocità di svuotamento gastrico e dai processi di assorbimento intestinale.

Vengono presentati i dati relativi allo studio dello svuotamento gastrico in parallelo alla curva di risposta terapeutica dopo assunzione di levodopa nella sua preparazione solida in compresse e di levodopa nella sua preparazione liquida (melevodopa). I livelli di levodopa nel plasma calano dopo un pasto se il farmaco viene assunto in compresse, mentre rimangono alti e costanti anche dopo il pasto con l’assunzione della forma liquida. L’elevata solubilità della formulazione liquida di levodopa (melevodopa) consente infatti al principio attivo di sfruttare il fenomeno dalla "camera comune" (comunicazione tra antro pilorico e duodeno nei minuti successivi al pasto), raggiungendo così più rapidamente adeguati livelli ematici e permettendo un loro mantenimento costante nel tempo successivo al pasto.

Il prof. F. Stocchi (Pozzilli-IS) ha mostrato i dati relativi ai vantaggi sull’utilizzo clinico di levodopa in formulazione liquida nei pazienti con MP. La levodopa resta il farmaco più efficace nella terapia della MP, e non ci sono evidenze che il suo utilizzo a lungo termine possa aggravare a neurodegenerazione, pur essendo ormai confermato che evoca fluttuazioni motorie e discinesie. Le complicanze della terapia a lungo termine sono determinate dalla somministrazione pulsatile e sono attenuate dall’utilizzo di formulazioni o di agonisti dopaminergici a emivita lunga. La patogenesi delle complicanze motorie è del resto anche relata alla evoluzione della patologia stessa, dovuta a meccanismi di denervazione a livello dei terminali sinaptici dei nuclei della base. Inoltre, i livelli plasmatici di levodopa subiscono variazioni che dipendono dall’assorbimento gastrico, che ad esempio è rallentato in alcuni momenti della giornata.

Sappiamo da tempo che è possibile ridurre le discinesie somministrando levodopa in infusione continua, ma fino ad ora non si era riusciti ad elaborare una via di somministrazione adeguata, a parte quella endovenosa, che risulta però essere una pratica alquanto invasiva. Ora abbiamo a disposizione la somministrazione intraduodenale (Duodopa), attraverso cui possiamo raggiungere livelli plasmatici più stabili (ed anche più elevati), in quanto la levodopa viene assorbita principalmente dal tenue, in modo quindi indipendente dallo svuotamento gastrico.

La nuova formulazione che abbiamo a disposizione per somministrazione enterale è ora la levodopa liquida: il CHF1512 è una preparazione di compresse effervescenti contenenti melevodopa cloridrato (levodopa metilestere) e carbidopa. Esse sono molto solubili, si sciolgono completamente in acqua e raggiungono rapidamente lo stomaco assicurando, anche a dieci minuti dopo un pasto, livelli efficaci di concentrazione plasmatica di levodopa. In questo modo viene notevolmente ridotta la latenza della fase "on" che si osserva dopo l’assunzione del pasto con le formulazioni standard di levodopa. La melevodopa, confrontata con le formulazioni standard di levodopa, riduce significativamente la durata della fase "off" nel giorno, migliora la fase "on", con un buon profilo di tollerabilità Tra gli effetti collaterali più frequenti vi sono la nausea, le discinesie, le allucinazioni, che sono verosimilmente correlati ad una maggior disponibilità di farmaco e al raggiungimento di dosi plasmatiche più elevate a parità di dose somministrata. E’ una formulazione liquida, facile da utilizzare, e può sostituire qualsiasi preparazione di levodopa eccetto quella a lento rilascio, cui può essere associata.

Allora dobbiamo sostituire la terapia di tutti i pazienti indistintamente? E’ certo più logico cominciare magari da quei pazienti che hanno maggiore necessità di cambiare la terapia in atto.

E’ opportuno, visto che i possibili effetti collaterali sarebbero dati da una maggior disponibilità di farmaco, partire da dosi più basse rispetto a quelle della forma solida? Non vale la pena, è più consigliabile partire da un dosaggio equivalente e in seguito eventualmente scalare se si presentassero effetti collaterali relati alla dose.

Simposio: interferoni e nuovi orizzonti terapeutici per il trattamento della sclerosi multipla: certezze e speranze

(a cura di A. repetto)

 

Il simposio si è aperto con l’intervento del prof. G. Savettieri (Palermo) che ha trattato il ruolo della latitudine nella sclerosi multipla, argomento complesso che comprende numerosi fattori ambientali e genetici.

Ha presentato la prevalenza, l’incidenza e la distribuzione del rischio della patologia nei vari paesi.

In generale i dati sono in aumento e questo deve fare riflettere.

Il prof. M. Salvetti (Roma) ha, in seguito, discusso delle più recenti acquisizioni nel campo genetico, sostenendo il bisogno di ricercare più marcatori possibili sul genoma.

Sono stati illustrati gli studi più recenti e le innovative tecniche di miniaturizzazione per la tipizzazione genica e gli studi sull’RNA.

Il prof. F.W. Gay (Cambridge) ha ricordato l’importanza dell’immunità cellulare nelle fasi precoci della malattia e le implicazioni terapeutiche che possono derivare dalla conoscenza precisa dei meccanismi coinvolti.

Il prof. G. Martino (Milano) ha illustrato i meccanismi di danno e di recupero studiati in modelli animali.

E’ importante non dimenticare che si può avere un 50% di rimielinizzazione spontanea dovuta alla plasticità neuronale. Esiste un meccanismo di riparazione intrinseco, stimolato da infiammazione e degenerazione che si mette in atto per mantenere l’omeostasi.

I sistemi possibili, noti, sono tre. Il "brain immune sistem" che è stimolato dall’infiammazione, processo bimodale, in prima istanza dannoso ma poi protettivo. Citochine, chemochine, TNFalfa , se stimolati possono produrre entrambi gli effetti.

Il secondo sistema è la plasticità, già citata, che consiste nella riorganizzazione corticale che avviene in seguito ad un danno. Questo argomento è molto complesso e ancora poco conosciuto, finora studiato con la risonanza magnetica funzionale, ma il passaggio fondamentale è arrivare a descrivere i meccanismi cellulari implicati.

Il terzo sistema è quello che coinvolge gli astrociti, cellule capaci di migrare verso l’area di lesione, differenziarsi e riparare.

Infine il prof. G. Comi (Milano) e il prof. P. Gallo (Padova) hanno illustrato le implicazioni terapeutiche delle recenti acquisizioni patogenetiche, con particolare riferimento ai nuovi ruoli dei farmaci immunosoppressivi.

Sono state indicate quattro possibilità di terapie immunusoppressive: terapia di induzione, fatta all’esordio clinico, quando questo è particolarmente impegnativo, polisintomatico, con lesioni attive alla RMN; terapia di salvataggio, somministrata ai pazienti con forme RR con ricadute frequenti o nei pazienti con forme secondariamente progressive a decorso rapido. Altre possibilità sono la terapia di mantenimento e la terapia di combinazione. Su quest’ultima ci si sta interrogando molto, soprattutto per gli effetti a lungo termine.

I pazienti ideali per il trattamento immunosoppressivo sono quelli giovani, con storia di malattia molto breve e lesioni attive.

La novità più interessante riguarda la possibilità di terapia immunosoppressiva orale, con nuovi farmaci, in via di sperimentazione, come cladribina, teriflunomide, micofenolato, surilimus e altri.

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