Intervista a Giovanni Jervis

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26 novembre, 2012 - 13:25

Nella prospettiva di un approccio basato sulle prove che ruolo dovrebbe avere secondo lei l'intuizione del clinico?
L'intuizione è stata notevolmente messa in crisi dall'introduzione del metodo scientifico in psichiatria. La diffidenza verso l'elemento intuitivo ha preso ormai corpo e si basa sull'osservazione di quanti e quali errori l'approccio soggettivo può far commettere nella pratica clinica.
Secondo lei la parte scientifica e la parte umanistica della psichiatria devono rimanere distinte?
Una non esiste senza l'altra. Le due parti non posson far altro che amalgamarsi e questo è possibile innanzitutto partendo da una corretta formazione degli operatori.
Per quanto riguarda la trasformazione della psichiatria negli ultimi decenni, si è passati da una realtà manicomiale più semplice ad una complessità di strutture e trattamenti, dall'altra parte si è passati dalla molteplicità degli approcci soggettivi al tentativo di unitarietà dato dalle linee guida, dunque quella attuale è una psichiatria più complessa o meno complessa?
C'è indubbiamente una grande complicazione di temi, di strutture organizzative, però non direi che le linee guida si sono unificate in assoluto. L'unificazione è avvenuta nelle strutture pubbliche ben funzionanti però a livello della media cultura, dell'opinione pubblica, della concezione generale di queste discipline, c'è una grande parcellizzazione. Ci sono molte scuole, tendenze di vario genere: spiritualiste, materialiste, gruppiste, sociali, individualiste, mistiche, new age, razionaliste.
Da questo punto di vista ho la sensazione che tuttora ognuno di questi gruppi asserisca di possedere la verità e questa è una grande semplificazione, ma non una razionale tendenza verso la semplicità.
L'unitarietà delle linee guida, d'altra parte, dovrebbe essere ricercata, ma senza esagerare. In un servizio pubblico ben congeniato ci dovrebbe essere lo spazio per iniziative diverse, penso per esempio ai volontari, agli studenti, in modo da non irrigidirsi su una linea unica. Da un lato bisogna ridurre la confusione, dall'altro penso che si dovrebbe dare un'opportunità di sviluppo alle iniziative dei singoli e dei gruppi che agiscono nell'ambito del volontariato.
Forse bisogna proprio distinguere tra quella che è la linea principale che deve essere solida e il fatto che tanti possono collaborare, ognuno portando la sua esperienza anche di tipo umano, non solo di tipo tecnico. L'assistenza per funzionare bene deve avvalersi anche del contributo di persone che non sono dei tecnici.
Si è detto che in Italia cè un ritardo nell'applicazione della metodologia scientifica alla psichiatria, secondo lei a cosa è dovuto tale ritardo?
Innanzitutto c'è una carenza socio-assistenziale generale, nel senso che, nonostante in Italia abbiamo un sistema sanitario nazionale pubblico che non ricade direttamente sulle tasche dei cittadini, l'assistenza sociale e sanitaria non funzionano benissimo, anzi ci sono molti sprechi. Poi c'è un fattore di carattere culturale. In Italia la mentalità e la cultura scientifica sono poco diffuse, per tante ragioni che riguardano la storia dell'ultimo secolo. Direi che purtroppo anche la chiesa cattolica contribuisce negativamente a questa carenza.

(A cura di Silvia Guida)

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