Virtualizzazione: rischio psicopatologico o irresistibile evoluzione?

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28 ottobre, 2012 - 21:32

"I capelli neri tagliati in maniera regolare e lucidi sfioravano le pallide spalle nude mentre voltava la testa(...) Poi i loro sguardi si incrociarono. Gli sembrò di superare un confine. Nella struttura della sua faccia, nelle geometrie delle ossa sottostanti, erano iscritte in codice storie di lotte dinastiche, privazioni, migrazioni terribili. Vide tombe di pietra su ripidi prati montani, gli architravi coperti di neve. Una fila di assurdi cavalli da soma, il loro fiato bianco per il freddo, seguiva un sentiero sul pendio di un canyon. Le curve del fiume sottostante erano lontane pennellate d'argento. Le campanule di ferro sulle finiture tintinnavano nel crepuscolo azzurro(...) Laney ebbe un brivido(...) Cadeva dentro gli occhi dell'aidoru(...) "

La citazione del fortunato racconto cyber di W.Gibson (1) si riferisce alla fascinazione prodotta dall'incontro del protagonista con una creatura femminile puramente artificiale: Rei Toei non è che un complesso e forse neanche troppo avveniristico software, una "cantante virtuale" che ha la facoltà di presentarsi nel mondo reale o nelle più remote regioni del cyberspace; in altre parole, una più attuale variante di Olimpia, l'automa hoffmanniano (2), o della altrettanto virtuale compagna di Kris nel film "Solaris" di A.Tarkovskji. Si tratta di un essere non dotato di vita umana, eppure in grado di suscitare reazioni affettive e profonde angosce; qual é il significato del "cadere nei suoi occhi", quale il grave rischio avvertito con sgomento nell'incontro con lei? E ancora perché potrebbe risultare più perturbante la visione fin troppo realistica dell'unico personaggio del racconto di Gibson che non subisce il fascino dell'aidoru, un cieco per l'appunto, che dotato di protesi ottiche artificiali la vede come nient'altro che un "grosso thermos che fa da supporto ad un ologramma"? (3)

L'accenno a Rei Toei, sofisticato personaggio generato da più che probabili (4) tecnologie informatiche vuole qui introdurre questioni problematiche non particolarmente nuove, ma che alcune contingenze, variamente intrecciate tra loro, tendono attualmente a riportare alla ribalta. La prima di tali contingenze è rappresentata dalla progressiva diffusione dell'uso di nuovi strumenti di comunicazione come i computer, di internet in particolare, di cui si sente parlare con toni spesso ingiustificatamente sensazionalistici o addirittura carichi di allarme. La seconda è data dall'attuale stato dell'arte della psichiatria, sospeso - potremmo anche dire diviso - tra differenti ipotesi di fondazione epistemologica, e quindi di ricerca, così come appare dallo stesso titolo di questo simposio. La parabola di Gibson, inserita in questo panorama, si presta a varie utilizzazioni: può essere usata come il monito, fin troppo conosciuto, contro le possibili conseguenze negative di un uso non oculato di nuovi strumenti tecnici, o all'opposto venire presentata come un racconto di fantasia che può ricondurre il nostro interesse di ricercatori alla questione della relazione interumana in un'epoca che vede in atto considerevoli trasformazioni sociali.

Un recente congresso internazionale (5), tenuto a Genova nel febbraio di quest'anno, si è proposto per la prima volta di discutere dei rapporti tra internet e salute mentale. I media hanno dato spazio all'avvenimento, è già previsto un nuovo appuntamento congressuale a Roma per l'autunno del '99, ma è indubbio che si è appena agli inizi di una discussione su questi argomenti, e che la confusione è ancora tanta. L'uso incerto che oggi si fa della parola virtuale ne è una testimonianza.

Il termine virtuale, sul quale in questa sede ci poniamo degli interrogativi, viene oggi prevalentemente associato all'uso delle nuove tecnologie informatiche. L'accostamento è dovuto originariamente al fatto che con l'aiuto di occhiali, cuffie, guanti e tute, per così dire intelligenti, si può accedere alla "realtà virtuale", un particolare spazio in cui si vivono esperienze che simulano alla perfezione quelle sensoriali. A questo si aggiunge che la navigazione in internet, ma soprattutto la frequentazione di MUD (6) e di canali chat IRC (7) avviene con ampio ricorso alla simulazione non solo di ambienti, ma di personaggi che molti utenti adoperano a mo' di maschera nelle interazioni anonime che avvengono in rete. Tutto ciò sembra aver esteso l'uso del termine virtuale facendogli assumere una particolare accezione, come se debba per forza connotare qualcosa di falso (8). Ma non tutti concordano che virtualità e simulazione siano sinonimi. Alle già complesse questioni riguardanti realtà, verità, falsità, fantasia, che impegnano la ricerca sulla realtà psichica dell'uomo, si è venuto dunque ad aggiungere un nuovo problema terminologico legato all'uso di parole come virtuale, virtualità, virtualizzazione.

Alcuni autori (9) tentano un chiarimento, in particolare P.Levy propone di riconsiderare le radici culturali del termine virtuale, che nella filosofia medievale (scolastica) designava ciò che esiste in potenza e non in atto, e di usare virtualizzazione per indicare l'opposto di un'attualizzazione, ovvero una trasformazione procedente in verso contrario rispetto a quella che mette in atto una potenzialità. Lungi dal suggerire un'ipotesi di letterale de-realizzazione (10), fino ad arrivare alla fosca previsione di un mondo futuro privo di fisicità, la virtualizzazione, per come l'intende Levy, molto più concretamente si riferisce ad esempio a quanto inizia ad avvenire con le applicazioni di internet nel mondo del lavoro, nelle transazioni commerciali, nella comunicazione per posta elettronica, nell'editoria in rete, nel campo medico. Sono situazioni che permettono di condurre a distanza operazioni che normalmente richiedono la presenza fisica in dati luoghi, ribaltando coordinate spazio-temporali usuali, e danno impulso a trasformazioni sociali imprevedibili e forse vantaggiose sotto molti aspetti. In altri termini, il fenomeno di virtualizzazione viene presentato come qualcosa di costantemente presente nella evoluzione dell'uomo: processi di virtualizzazione sarebbero quelli indotti dall'uso del telefono o dell'automobile, ma procedendo a ritroso nel tempo se ne ritrovano esempi remoti corrispondenti ai processi di ominizzazione più arcaici, l'invenzione della ruota per dirne una.

Virtualizzazione sarebbe, in altri termini, quello che accade se, collegato con internet, io entro in un autosalone virtuale, scelgo l'auto che mi piace, la esamino nei dettagli delle sue caratteristiche tecniche, seguo un'animazione che ne dimostra le prestazioni, l'acquisto e, in tempo reale, me la vedo recapitare sotto casa senza bisogno di muovermi dal mio tavolo. Ma non solo se - come pare - molto c'é ancora da aspettarsi dallo sviluppo di sistemi di connessione multimediale, e ancora di più dalla diffusione dell'uso di strumenti che sono per il momento a disposizione di un numero limitato di utenti. Potrei per esempio facilmente e con una spesa minima mettere su un'impresa editoriale producendo pagine e pagine di testo e immagini che per circolare non hanno bisogno di tipografi, né di case editrici, né di distribuzione in edicole o librerie per il loro commercio. E grazie all'interattività del mezzo i testi prodotti potrebbero essere commentati e completati da chi legge: si potrebbe dunque arrivare ad avere un quotidiano fatto di sole "lettere al direttore" o una trasmissione televisiva condotta direttamente dagli spettatori. E questi sono solo gli inizi.

Gli entusiasmi per le possibilità aperte da queste innovazioni sono considerevoli, un'osservazione accurata e alquanto severa potrebbe rilevare una certa euforia diffusa tra gli utenti internet (11), ma è indubbio che chi si addentra un po' più in concreto nelle problematiche della tecnologia digitale, sia pure senza farne diretta esperienza, coglie immediatamente che si tratta di una novità reale, capace di determinare processi di profonda trasformazione nella società. (12)

Il quadro, come si può facilmente arguire, è ancora impreciso e la rete è una realtà troppo giovane per poter dire a quali vantaggi e a quali pericoli la virtualizzazione connessa a internet può dare luogo. Eppure ecco che già si assiste al fiorire di una prolifica letteratura psichiatrica sui rischi di dipendenza o su alterazioni psicopatologiche che l'uso del computer potrebbe indurre, l'IAD viene indicato come l'effetto dell'uso non oculato della rete; in Arkansas (US) una legge limita l'uso del computer a cinque ore al giorno per salvaguardare la salute dei cittadini.

Non si vuole qui proporre un'analisi delle specifiche questioni psicopatologiche messe così precipitosamente in campo, né della letteratura relativa (che peraltro necessiterebbe di un esame accurato), ma é semplicemente una questione preliminare di metodo che si intende sollevare. Non è singolare che invece di procedere con una sospensione di giudizio che dia almeno il tempo di stare a vedere cosa va accadendo nel "mondo della vita", una parte dei cultori di scienze psichiatriche e psicologiche si sia già lanciata a parlare di un rischio psicopatologico connesso all'uso del computer?

Cito da P. Levy: "La virtualizzazione (...) è(...) un cambiamento di identità, uno spostamento del centro di gravità ontologico dell'oggetto in questione: anziché definirsi fondamentalmente attraverso la sua attualità (una "soluzione"), l'entità trova ora la propria consistenza essenziale in un campo problematico. Virtualizzare una qualsiasi entità consiste nello scoprire una problematica generale a cui essa si rapporta, nel far evolvere l'entità in direzione di questa domanda e nel ridefinire l'attualità di partenza come risposta a una precisa richiesta. (13)

Andrebbe dunque accettato che la novità può spiazzare e portare alla necessità di soggiornare per un certo periodo in un campo problematico in cui, come psichiatri, potremmo cercare di collocarci. Ci si potrebbe poi chiedere se sia sostenibile che un agente esterno inanimato come un computer, in definitiva una macchina, sia in grado di provocare modificazioni della realtà psichica umana. Naturalmente la questione riguarda il rapporto con la macchina in sé, e non la macchina nella sua funzione di mediatrice di relazioni interumane. Infatti, l'uso prolungato del computer, così come le luci stroboscopiche di una discoteca o altri stimoli esterni più o meno nocivi, si può pensare che provochino un certo intontimento, un disturbo fisico, ma non un danno psichico. Il nesso (14) che si propone all'attenzione è quello con attuali visioni riduzioniste che tendono a riportare la causa della malattia mentale ad un concetto per così dire di danno provocato da agenti esterni fisici o chimici (una sorta di intossicazione: intossicazione da sostanze, intossicazione da internet), e che fanno della salute mentale una questione che estremizzando potremmo definire di tipo ecologico, risolvibile con presidi igienici, mentre si sa bene che l'inquinamento atmosferico può provocare tumori polmonari ma non la schizofrenia, così come si sa che una passeggiata in campagna può far star meglio chiunque, anche uno schizofrenico, ma non cura la sua patologia.

Pensiamo che un primo distinguo di questo tipo non rappresenti un'inutile pignoleria, o un'eccessiva caricatura delle posizioni riduzioniste, ma possa fornire attraverso apparenti paradossi, qualche punto di repere per una discussione, questa sull'impatto dei nuovi presidi tecnologici sulla realtà umana, che si colloca nell' ambito di un confronto - o forse anche di uno scontro - culturale più generale. In altre parole, nella prospettiva che qui si vuol proporre, il discorso sulla patologia mentale e sulla valutazione di vantaggi e rischi connessi all'uso di internet andrebbe con radicalità riportato alla relazione interumana, ovvero da un ambito di oggettivazione estraneante ad un ambito di rilancio dello studio della intersoggettività; l'uso che si può fare di strumenti o di macchine sarebbe peraltro a nostro avviso conseguente, piuttosto che determinante, rispetto alla presenza o assenza di disturbi psichici.

Ritorniamo a questo punto al nostro incipit, all'aidoru e alle analogie che la fiaba di Gibson presenta con illustri predecessori. Per tutto il secolo XIX compaiono nella letteratura europea molti esempi di racconti interessanti per quanto andiamo dicendo, tra tutti sembrano senz'altro da citare, usciti rispettivamente nel 1815 e 1818, "L'uomo della sabbia" di E.T.A. Hoffmann (15) ed il "Frankenstein" (16) di Mary Shelley. Vi troviamo due proposizioni leggermente diverse tra loro: bellissima e inanimata l'Olimpia di Hoffmann, un fantoccio capace solo di generare illusioni che fa perdutamente innamorare Nathaniele; mostruoso e repellente, ma dotato di complesse facoltà, il mostro della Shelley, che sembra più esplicitamente alludere ad una possibilità dell'uomo di scienza di carpire alla natura il segreto della generazione della vita umana. Le proposizioni sono eredi a loro volta di una precedente tradizione, che fa capo in letteratura al "Paradiso perduto" di J.Milton (17) e che aveva trovato applicazione nella costruzione di automi in Francia per tutto il settecento.(18) Ma, se vogliamo, il mito di Pigmalione ci offre un precedente ancora più antico. Sembra quasi naturale per l'uomo cercare di spodestare Dio dalla sua posizione di creatore della vita umana tentando l'avventura di riprodurla artificialmente.

Qualcosa di simile ha trovato un suo corrispettivo nella realtà di una certa ricerca scientifica moderna, fino ad arrivare ai giorni d'oggi. La storia più recente della fisica, della cibernetica, della robotica, mostrano le tappe di un percorso contraddistinto da una tensione analoga: ricercatori e teorici si sono impegnati nella costruzione dell'intelligenza artificiale, nello studio di algoritmi capaci di dar conto dell'enigma della mente umana (19). Hanno intrapreso e poi abbandonato percorsi di ricerca che dallo studio delle facoltà di calcolo si sono spostati su altri terreni, nel tentativo di definire e superare le differenze tra realtà umana e congegni meccanici o elettronici, fino a ritornare a porsi il problema nei termini di distinzione tra ciò che ha vita e ciò che non lo ha (20) Sembra, d'altra parte, che la scienza abbia affrontato questo lungo viaggio senza mai essere riuscita a liberarsi del tutto da condizionamenti positivistici, ovvero fisicalisti, da un lato e spiritualisti dall'altro (21). Ma a questo punto la tensione prometeica del dottor Frankenstein potrebbe scadere nell'ottusità e nel ridicolo passando, immutata nei suoi presupposti epistemologici, dalle pagine di un romanzo degli inizi dell'ottocento alla realtà degli odierni laboratori di studio dei neurotrasmettitori o di simulazione di reti neurali.

Diverso ci appare il discorso a proposito del racconto fantascientifico di Gibson, poiché la dimensione concreta di fantasia di uno scrittore sembra comunque alludere alle problematiche della relazione interumana. Laney, il protagonista di "Aidoru", nonostante il fascino della creatura software che promette l'immortalità, nel finale si ritrova a letto con una compagna reale. Non sfugge all'illusione di cadere negli occhi dell'aidoru e di trovarvi tutto quello che cerca, ma é pur vero che tutto ciò che vi trova di attraente è opera umana reificata, assunta, assorbita dalla cosa meccanica che comunque Rei Toei rimane, irrimediabilmente incapace di sostituirsi all'infinitudine di un altro essere umano. Laney alla fine sceglie un'incarnazione che, se pure deperibile e meno dotata di informazioni del robot, gli é accanto per tutta la durata della avventura animistica con Rei Toei che egli - diremmo anche giustamente - non rinuncia a vivere.

La "morale della favola" che ci piacerebbe proporre è che la realtà umana in quanto intersoggettività, dunque in qualche modo legata al rapporto, sfugge a determinazioni riduttive. Ed allora forse é necessario liberarsi della fantasticheria del dottor Frankestein e cercare il segreto della sua generazione lontano da cimiteri gotici; liberarsi dall'idea che essa realtà possa trasformarsi in primo luogo fisicamente o chimicamente. Il corpo è qualcosa di inscindibile dalla mente umana, non c'é realtà psichica senza un corpo vivente, è vero, ma la realtà psichica non può essere ridotta a qualcosa che altro non è se non (nothing but) cervello. Non si può risolvere una carenza nei rapporti, una carenza che fa capo alla realtà psichica, con una protesi chimica o fisica; funziona, viene detto - e questo può darsi - nel dare una parvenza di comportamento corretto e integrato, ma si sarebbe portati a pensare che non funzioni nel determinare vere e proprie trasformazioni nella dimensione interna e nella dinamica di rapporto dell'uomo con i suoi simili.

Se abbandoniamo questa fantasticheria, possiamo provare a interpretare ciò che la letteratura ci propone non come situazioni materiali, fatti, ma come avvenimenti non materiali, psichici; lo scrittore allora non starebbe fantasticando un mondo dove si può effettivamente realizzare l'immortalità, la conservazione a tempo indeterminato di un corpo per sua natura destinato a una fine e a un deterioramento, ma può darsi ci stia parlando d'altro. Ci sta forse raccontando di una dialettica con qualcun'altro fatto di immagine visibile e contenuto di affetti e pulsioni, può darsi ci stia dicendo di una donna frigida conosciuta in passato la cui bellezza rappresentava per lui un inganno, o dell' universale esigenza che un'immagine mentale si incarni in un corpo vivente perché si abbiano i presupposti del desiderio (22) umano.

Se abbandoniamo l'idea di creare in laboratorio materialmente un uomo nuovo, a partire da qualcosa di diverso da due cellule germinali, possiamo cominciare a occuparci di inconscio umano, riferendo la creatività principalmente alla sua facoltà di creare immagini. In altre parole, per progredire nelle nostre conoscenze sulla realtà psichica non è a ipotesi di trasformazione fisica dell'uomo che gli scienziati dovrebbero lavorare, né alla costruzione di creature artificiali, ma semplicemente attorno a quanto la mente umana ha di possibilità trasformative nel rapporto con quella di individui della stessa specie.

La virtualizazione pone, per dirla con Levy, il problema di una messa in discussione dell'identità attuale. Le tecnologie più avanzate richiedono una possibilità di orientarsi nei nuovi parametri spazio-temporali che esse propongono. L'uomo, insomma, deve essere in grado di fronteggiare un'evoluzione storica ulteriore e per questo motivo dovrebbe ricondurre a se stesso, o forse meglio al rapporto interumano, la centralità della ricerca scientifica. La derealizzazione, intesa a questo punto come vera e propria categoria psicopatologica, potrebbe porsi come rischio concreto per chi non riuscisse a ritrovare in circostanze storiche mutate il senso e la centralità della relazione con i propri simili.

NOTE

(1) W.Gibson (1996), Aidoru. Mondadori, Milano 1997

(2) Cfr. E.T.A.Hoffmann, L'uomo della sabbia. Rizzoli Editore, Milano 1983

(3) W.Gibson, Op. cit.

(4) Il riferimento è a "Kyoko", idolo (in giapponese, idolo si dice Idoru) virtuale, rintracciabile su un sito internet giapponese all'indirizzo: http://www.dhw.co.jp/%7Ehoripro/talent/DK96/dev_e.html

La dott.ssa Anna Grazia, psichiatra bolognese, redattrice della rubrica di recensioni librarie della rivista telematica di psichiatria POL.it, si è occupata di "Aidoru" in una interessante rassegna dedicata alla virtualizzazione del corpo, nel numero di luglio-agosto '97 (http://www.publinet.it/pol/ital/anna7.htm); lei stessa ci avverte che Gibson, come a volte accade in letteratura, ha scritto il romanzo in epoca precedente all'effettiva realizzazione di qualcosa di simile alla sua fantastica creatura; egli, fatta successivamente la conoscenza di Kyoko, l'avrebbe trovata comunque deludente. Non possiamo non condividere l'impressione dello scrittore.

(5) Tutte le informazioni sul convegno, compresi gli abstract e il testo della maggior parte degli interventi, sono all'indirizzo internet:

http://www2.psichiatria.unige.it/

(6) Per chi fosse interessato ad avere una descrizione completa di cos'è un MUD (Multi-Users Domain ), si rimanda alla lettura di un utile saggio che descrive diversi aspetti dell'antropologia della rete. Cfr: S.Turkle, La vita sullo schermo. Apogeo, Milano 1997; 267 e segg. Si tratta, in sintesi, di una sorta di gioco di società che comporta la simulazione di ambienti, situazioni, azioni e personaggi, condotto in scala mondiale su internet.

(7) L'International Relay Chat (IRC) è un'altro sistema per incontrarsi e chiacchierare in rete. Anche su questo argomento, il testo citato nella nota precedente fornisce approfondimenti. Cfr:S.Turkle, Op.cit.

(8) Cfr. S.Turkle, Op.cit.

(9) Cfr. P.Levy (1995), Il virtuale. Raffaello Cortina Editore, Milano 1997; T. Maldonado, Reale e virtuale. Feltrinelli, Milano 1992

(10) Nell'introduzione del testo di P.Levy, citato nella nota precedente, l'autore polemizza con un'idea di probabile futura "de-realizzazione" (suggerita da J.Baudrillard), corrispondente a un'apocalittica sparizione generale. Sottolineiamo come il termine "de-realizzazione" sia qui adoperato in un'accezione completamente diversa da quella in uso in psicopatologia. Cfr.P.Levy, Op.cit.; pg.1

(11) L'euforia diffusa tra gli utenti internet è stata oggetto di una relazione di M.Galzigna, dal titolo: "La rete euforica: fenomenologia dell'esperienza IRC", al già menzionato convegno di Genova su "Internet e salute mentale" (cfr. nota 5); il testo sarà prossimamente reperibile in rete, per il momento si può trovare l'abstract all'indirizzo:

http://www2.psichiatria.unige.it/index_4.htm

(12) A questo proposito cfr. un'intervista al dr. Ciardi, Presidente Vicario del Tribunale di Roma, autore della prima sentenza che equipara internet alla carta stampata, all'indirizzo:

http://www.publinet.it/pol/ital/ciardi.htm

(13) Cfr: P.Levy, Op.cit.

(14) Molte delle considerazioni contenute in questo paragrafo sono il risultato di una conversazione gentilmente concessami da Massimo Fagioli su questi argomenti, esse inoltre hanno tratto spunto da una trasmissione televisiva dell'emittente romana "Telesimpaty", andata in onda il 2 gennaio 1997 a cura di C.Patrignani, che ha ospitato due interviste, rispettivamente a P.Pancheri e allo stesso Fagioli, sul tema della droga e delle sostanze psicoattive in genere.

(15) Cfr. E.T.A.Hoffmann (1815), Op.cit.

(16) Cfr. M.Shelley (1818), Frankenstein. Rizzoli, Milano 1998

(17) Cfr. J.Milton (1667), Paradiso perduto. Einaudi, Torino 1992

(18) Su questo argomento, vale la pena di dare un'occhiata a un sito internet dedicato agli automi di Jaquet-Droz:

http://www.webo.com/jporter/acMDAFra.html

(19) Cfr. S.Moravia (1986), L'enigma della mente. Laterza, Bari 1996

(20) Cfr. S.Turkle, Op.cit.

(21) A questo proposito, sembra interessante segnalare la recente polemica tra i due fisici Penrose e Hawking, riportata da molti quotidiani.

(22) Sulla nozione di desiderio, cfr: Fagioli M (194), La marionetta e il burattino. Nuove Edizioni Romane, Roma 1991 VI; pg.193-236

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