Dogville, Lars Von Trier - Il lato oscuro della comunità

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3 ottobre, 2012 - 17:14
locandina

Un’opera geniale ha una prerogativa preziosa: può essere sottoposta a numerose e anche contrastanti opzioni di lettura, ognuna delle quali può essere verosimile e ambigua. Lars Von Trier con il suo film "Dogville" riesce a fornire un’opera aperta che si presta a interpretazioni molto variegate che oscillano dalla critica della società americana, del mondo capitalista, a uno svelamento della finzione del cinema e così via.

L’ideatore del Dogma, il movimento che a metà degli anni ’90 emerse improvvisamente nel quadro cinematografico mondiale con un canone che predicava la semplicità assoluta, negando ogni forma artificiale nella realizzazione del film, dall'illuminazione alle tecniche di ripresa. Si parte apparentemente dalla rivisitazione del cinema americano, utilizzando grandi attori Holliwoodiani. Adottando un metodo di narrazione fusionale tra teatro, cinema, letteratura riesce a fornire una rappresentazione aspaziale e atemporale che stimola reazioni profonde nello spettatore. Contemporaneamente usando Nicole Kidman, il massimo dello star system femminile, riesce a creare una immagine di donna così poco femminea, ma così profondamente coinvolgente nella sua debolezza e nella sua "arroganza".

Partendo da presupposti apparentemente holliwoodiani, arriviamo a uno spettacolo del tutto singolare e lontano da qualsiasi cliché. Entriamo anche noi, con la nostra mente in uno stato (con)fusionale da cui nascono metafore, come oggetti intermedi di Winnicottiana memoria, che ci aiutano a rientrare nella realtà. Siamo gettati davanti a uno scenario che ricorda il tabellone di monopoli, in grado di osservare la vita privata di una comunità apparentemente bucolica e accogliente; al fondo di una strada nell’America degli anni trenta. Una voce fuori campo fa da coro alle vicenda, puntualizzando la scansione temporale, accentuando la linearità della vicenda e favorendo un sentimento di apparente partecipazione, ma in fondo smarrimento rispetto al progredire della storia.

Ma veniamo alla chiave di lettura che mi è stato inspirato da Lars Von Trier. La mia formazione è di psichiatra e quindi non potevo restare estraneo a una visione appunto "psichiatrica" di Dogville. Dopo un po’ vedendo il film, ho incominciato a vedere la città di Dogville come una comunità terapeutica. L’associazione non è casuale: la cittadina al fondo di una strada ( la comunità come ultima spiaggia per i nostri pazienti gravi), è diretta da un intellettuale Tom, che oscilla dalla condizione di conduttore di gruppo, di filosofo e aspirante scrittore. Nella comunità di Dogville abita varia umanità, accomunata da ruoli incerti, fantasie monche, sofferenza o meglio fallimenti esistenziali e noia quotidiana. La vita va avanti con riunioni di gruppo caratterizzate da vaghe idee di comprensione e amore universale, tra l’indifferenza, almeno emotiva dei partecipanti. Il gioco viene rimescolato ( gli imprevisti del monopoli…) dall’arrivo di Grace (nome non casuale) che scappa da qualcosa o da qualcuno; apparentemente è una figura femminile con la grazia dell’ingenuità e della purezza e l’aura della persecuzione. Ovviamente viene accettata nella comunità di Dogville, con un discorso di ammissione da parte di Tom e ovviamente le viene offerto un lavoro come utilità sociale e recupero ( ma da cosa?). Sembra uno dei contratti che vengono fatti con le persone che entrano nella comunità terapeutica. Grace come i nostri pazienti in borsa lavoro accetta l’incarico e si impegna nelle attività che le vengono affidate, con una accoglienza sempre più mielosa da parte di tutti gli abitanti di Dogville. Siamo innanzi a un apparente inno al volontariato e al buonismo. Un primo momento di dubbio nasce quando emerge la possibilità di un premio in denaro per la cattura di Grace per reati che sicuramente non ha commesso. Chi non è sensibile al fascino del vil denaro, scagli la prima pietra ? Chi però svela il gioco ( secondo imprevisto…) è un bambino che ricattando Grace con un gioco sado masochistico da inizio al progressivo e purtroppo rapido sfruttamento economico, psicologico e sessuale di una sempre più sofferente ed eterea Nicole Kidmann. In un crescendo di violenza e di prevaricazione saltano tutti i meccanismi di accettazione e vengono distrutti gli oggetti transizionali, le statuette faticosamente collezionate da Grace, in una delle scene più drammatiche del film. Tom il referente culturale della comunità e la figura più negativa del gioco, resta cieco, sordo e muto e non aspetta altro che un passo falso di Grace per sbarazzarsi dei suoi buoni sentimenti e ovviamente di inutili sensi di colpa.

Come un Deus ex machina arriva alla fine un gangster; guarda un po’ è il padre di Grace che la salva. Prima di ricondurla al suo ruolo psicologico e sociale le dice una frase di estremo significato " sei la creatura più arrogante che conosco ". Perché arrogante ? Forse perché crede in un bene assoluto, quasi un rispecchiamento trascendentale del divino. Da questa presa d’atto della concretezza dell’essere umano, parte una strage in cui per la prima volta Grace si riappropria del suo ruolo di donna. Sempre per restare nella metafora della comunità terapeutica, le affermazioni del padre di Grace non saranno collegate con le critiche che spesso sentiamo alle presunte famiglie ideali che vorremmo creare in comunità. Come sappiamo, il gioco è un affare tremendamente serio e talora per uscirne vivi bisogna buttare per aria la tavola.

Ma proseguendo il gioco, sarà poi la comunità terapeutica la metafora più vera o non sarà il lavoro di psichiatra con comprensione spesso forzata e scotomizzazione della violenza e della carnalità della vita.

Una piccola considerazione finale: si salva il cane, invisibile per tutto il film, ma che abbaia a tutti ed è sincero nei sentimenti. Viva l’happy end e la pet therapy !!!

Film da vedere per riflettere, entrare in crisi e trovar le proprie metafore esistenziali.

Anche se questa affermazione non piacerebbe a Lars Von Trier: gran film e grande cibo per la mente e, non ultimo, grande Nicole Kidmann.

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