Intervista a Marco Filiberti sulla cinematografia gay

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13 novembre, 2013 - 16:20
Marco Filiberti, nato a Milano, è regista e scrittore, attore e cantante- Laureato in storia del teatro all’Università degli Studi di Milano e specializzato in diverse accademie internazionali.
Il suo film Il Compleanno, prodotto da ZEN ZERO - la sceneggiatura del quale era stata selezionata dai prestigiosi Ateliers d’Ecriture d’équinoxe - è stato presentato nel 2009 in Selezione Ufficiale (Controcampo Italiano) alla 66 Mostra Internazionale d’Arte Cinemagrafica di Venezia.
Trama: Matteo, psicoanalista di successo, marito premuroso e padre affettuoso è invitato a trascorrere l'estate con la famiglia insieme nella casa di una coppia di amici che sono in attesa del ritorno del figlio ventenne per festeggiare il suo compleanno. Matteo scoprirà all'improvviso la sua vera natura innamorandosi perdutamente appunto del giovane David. Proverà a reprimere le sue pulsioni e il suo sentimento, ma il desiderio tracima, rompendo tragicamente gli argini e alterando gli equilibri.

 
La maggior parte dei film gay, anche quelli premiati con gli Oscar, sono rigorosamente a gay morto, così come le opere liriche nel secolo che ha visto le donne emanciparsi, le pretendevano tutte morte nel finale. Il tuo film, Il Compleanno, che inizia appunto con uno splendido Wagner, usa invece al rovescio la metafora: per quale motivo?
 
Perché nel mio setting antropologico del gruppo di persone e nel mio modo di contestualizzare e affrontare il tema non c’è un focus sul problema, perché non lo riconosco come tale, ma come una delle tante variabili, e quindi ha maggiore flessibilità, rispetto alla rigidità della cultura omosessuale che si impone.
La dinamica tra i personaggi al suo centro ha l’impossibilità di ospitare nel suo nucleo, nel microcosmo familiare, specchio della società, il problema dell’eversività e della passione. E’ la passione a non essere conciliabile con le istituzione, quella da tenere sotto controllo.
Non ho mai vissuto l’omosessualità come problema sociale, ma è il problema della rappresentazione libera dell’emotività ad essere importante. Nel contesto voluto come falsamente borghese con velleità di modernità, ancora una volta l’elemento di una passione, che pertanto ha un carattere eversivo e distruttivo, non può essere ospitato.
Un po’ tutti i protagonisti intervengono con forze che tendono a fare espellere dal nucleo il pericolo della passione. E’ in fondo una riproposizione in modo moderno del tema che Schopenhauer e Wagner avevano identificato come il topos Amore-Morte, la poetica del sublime che si costituisce quando l’amore, che ospita la dimensione dalla passione, non può non finire con il produrre anche l’effetto della morte, perché è la società che non l’accetta, qualunque sia il genere.
Se nel mio film ci fosse stato invece di un teen.ager che smuove questo meccanismo di passione, una Lolita non avrei dovuto cambiare neanche una battuta, come invece spesso tende oggi a fare il cinema italiano che ha uno sguardo lontano. Questo non avrebbe cambiato gli obiettivi del film. Ho scelto questa declinazione perché ovviamente la conosco meglio e mi motiva di più, inoltre può avere un valore maggiormente eversivo, almeno oggi.
 
I film italiani non hanno una grande distribuzione in generale, che destino  ha avuto Il Compleanno?
 
Sulla Rai e Mediaset, c’è da scordarselo, ma su SKY è già passato, circa un anno fa, nella normale programmazione!
 
Che esperienza hai avuto con la Psichiatria o con la Psicologia?
 
Sì, le ho affrontate in tre momenti diversi della mia vita. Ho affrontato un percorso analitico, la prima volta, con una terapia Freudiana, per tre anni, poi ho interrotto contro la volontà della mia terapeuta, una donna tedesca. Aveva ragione lei, giacché l’ho ripresa con una modalità diversa, più ibrida, con una struttura meno rigida e più contaminata e tutto sommato io penso più insoddisfacente. In un momento molto difficile, quando è mancata mia madre, ho fatto infine una terapia di tre anni di tipo junghiano, che a avuto dei buoni esiti. Da allora ho deciso di non utilizzare più questo tipo di strumento, perché penso che per quanto mi riguardi, questa esperienza sia conclusa.
Penso che sto cercando delle forme di risposte e di ricerca, un tentativo di assemblare una mia vita dedicata alla passione con una struttura sociale capace di integrarla attraverso altri canali. Per questo ho scelto di vivere in campagna staccandomi da un certo contesto sociale. Qui lavoro come preferisco io, senza più rapportarmi a strutture che non riconosco e questo anche mi ha guarito in modo significativo.
Pur avendo attinto a più riprese anche con successo alla pratica analitica, mi pare adesso di intravedere in questo strumento culturale un invecchiamento rispetto alle trasformazioni antropologiche in atto, che ha avuto la sua fondamentale importanza nel ventesimo secolo, ma che dovrà essere modificato, trasformato o sostituito in futuro.
Nella psichiatria non mi addentro, né ho mai avuto esperienze nel merito, se non per curiosità intellettuali. Un mio zio era psichiatra infantile, per cui erano argomenti e linguaggi che non erano estranei in casa, ma non ho una formazione scientifica.
 
Il tuo film aiuterà la lotta contro l’omofobia nel nostro Paese?
 
La cultura ahimè ha una funzione sempre più debole all’interno del contesto sociale.
Al di là della questione della distribuzione che ne impedisce la visione ad un gruppo sociale significativo, cosa che oggi avviene solo per i film commerciali, dove in ogni caso questa funzione non è neanche più riconosciuta, io mi batto perché questa funzione torni centrale, ma resto tra i pochi.
La mia risposta per il mio film è NO. Se una persona ha un’attitudine omofobica non credo che riuscirebbe in questa funzione, ma perché credo che il mio film richieda un tipo di sensibilità per raggiungere il suo linguaggio che una persona omofoba o razzista in generale non credo possa avere. In fondo se uno apre un film con Wagner non può che allontanare un certo tipo di cultura.
Andando in giro a presentare il film ho trovato lettere di genitori di adolescenti o adulti gay che mi hanno contattato anche per incontrarmi e per dirmi che sono passati, grazie a questo film, dalla rimozione all’importanza di non ignorare il valore della centralità delle relazioni tra le persone. 
Per me essere omosessuali non è una categoria culturale, ma un modo di essere nel mondo, che può anche variare ed avere flessibilità, magari trovando un equilibrio anche nella bisessualità.
Molti padri ad esempio mi hanno contattato per dirmi che si sono resi conto di non aver fatto il padre, per cui non conoscevano il figlio o la figlia, che per loro restava pertanto un estraneo. In fondo ognuno trova nel film la propria corda. Non era l’educazione genitoriale il centro del film , ma molti lo hanno vissuto in questo modo.
Forse in modo trasversale credo possa avere un effetto positivo, come qualunque manifestazione culturale degna, ma anche questo non è il centro del mio contributo.
 
Ci racconti il tuo Coming Out? Cosa potremmo fare per aumentare il Coming Out dei VIP e delle Star italiane?
 
Quello personale o pubblico?
 
Entrambi, se possibile.
 
Personale, allora.
 Ho esordito a 19 anni con una storia meravigliosa: lui ne aveva 25, è durata tantissimo ed è stata molto romantica, senza mai passare attraverso altre forme dark, non che non le conoscessi, ma non ne avevo fatto esperienza.
Quando ho conosciuto questa persona e ci siamo innamorati l’ho detto, io l’ho detto, cercando di tutelare il nucleo centrale della mia famiglia. Solo per tutelarlo. Io non nascondevo nulla altrimenti, perché ero talmente felice e rassicurato che non ci si poteva non accorgere, ed eravamo sempre appiccicati.
Infatti loro sono stati informati da una lettera anonima!
Il problema è stato sicuramente con la mia famiglia. Per loro è stato un colpo non facile. C’è stato poi un percorso, ma io sono tosto nelle mie cose, come loro. Abbiamo fatto un bel pezzo di strada insieme e siamo arrivati ad un punto abbastanza soddisfacente.
Mia madre è mancata ed era lei che per me era la più importante, ma era arrivata ad accettarmi e a voler bene anche al mio attuale compagno.
Nel mezzo c’era stato il mio primo film . Diario di un Pornodivo, che esce di nuovo in home video a ottobre, era stato un pugno in faccia alla società tutta ed è stato lo strumento attraverso cui il mio nome si è imposto, partecipando al festival di Berlino.
Facendo in pratica così un Coming Out pubblico decisamente choccante e universale, se vogliamo anche eversivo, ma che per me è stato un grandissimo segno di liberazione.
Mi ricordo le parole di mia madre, dopo la prima. Lei era molto intelligente. Mi fece subito: “Te lo dovevi!”.
Le reazioni furono le più estreme. Lei mi fece anche altre critiche molto importanti, mentre altri mi esaltavano o mi massacravano in tutti i modi, ed ho pagato questa cosa con l’establishment produttivo italiano, che mi ha creato un embargo totale, senza appunto nessun accesso a Rai e Mediaset, che restano comunque i poli obbligati in Italia.
Sono allora andato in Francia, dove ho vinto un importante concorso, con la sceneggiatura de Il Compleanno, creandomi per questo ulteriori nemici nel mondo produttivo italiano.  D’altra parte quando parlo non uso strategie ed ho cambiato i rapporti con i miei amici-nemici, trovando con altri interlocutori un rapporto più autentico.
"Il compleanno" lo trovi ancora in DVD con la sigla di Cecchi Gori, che continua ad andare benissimo nella distribuzione di home video.
 
Cosa ne pensi della vita gay italiana?
 
Che cos’è la vita gay italiana?
Io sono “maritato” con un napoletano, ma non partecipo alla vita gay, stando in campagna.
 Nella nostra vita sociale tutto è vissuto in modo sereno e normale, anche quando ho abitato in luoghi diversi, partendo da Milano, senza mai avere problemi nelle comunità dove ci siamo inseriti, anche grazie alla mia attività che mi trasforma in un animatore culturale del luogo.
Dove vivo adesso infatti ho fondato un laboratorio teatrale, senza mai percepire alcuna forma di discriminazione, neanche dal parroco della chiesa locale.
 D’altra parte qualunque gay io abbia visto presentarsi in modo libero, solare, senza sensi di colpa, non ha mai avuto problemi, che io sappia, a differenza di chi lo vive in modo problematico.
Se vivi come problema essere gay e lo metti al centro delle tue relazioni, allora ne soffrono le relazioni in cui non riesci a portare tutte le tue istanze.
Ci sono ovviamente contesti diversi, anche molto, molto più duri, dove forse è difficile se non impossibile essere qualunque cosa se si esce da quel contesto. Come per dire un figlio di pastore sardo avrebbe problemi se volesse fare il prete o l’attore, non solo se fosse omosessuale.
Il caso omosessuale forse è stato venduto male. Certamente in Italia la situazione anche dal punto di vista legale è molto penalizzata rispetto ad altri stati europei e americani, ma anche là a volte…
In Italia non è solo in questo aspetto che siamo arretrati. Siamo parte di un popolo di sudditi che tale si sente, esonerandoci da un’evoluzione, delegando a un padre che ci punisca o che ci premi, senza mai aver fatto alcuna forma di rivoluzione, uccidendo il padre, come gli inglesi prima e i francesi dopo. Questo ci avrebbe insegnato il significato della vita civile e democratica.
Il fatto che non si possano adottare bambini, ad esempio, anche per coppie di sorelle etero o i single, non solo per le coppie gay, ma per garantire un accadimento che sarebbe una situazione migliorativa rispetto ad un orfanotrofio, in fondo è un crimine contro l’umanità.
Quando questa ipocrisia sarà smascherata e vinta questa battaglia, sarà considerata una  battaglia vinta contro lo schiavismo.
 
 Parliamo allora di politica: Berlusconi e Ruby, un caso di Lolitismo?
 
No , decisamente no! E’ una questione di compulsività di una persona che vive in un modo estremamente disarmonico ogni aspetto della sua esistenza.
 
Qual è la tua opinione sul Lolitismo, che in Italia ha quasi sempre solo esempi eterosessuali, ma ha un passato gay greco più celebre e istituzionalizzato. Secondo te è una perversione, una libertà, un modo di essere…altro?
 
Può anche essere tutte queste cose insieme. Penso che ci  sia un punto ed una linea di demarcazione quando il Lolita o il Lolito siano dei bambini, rispetto appunto agli adolescenti ormai intrisi di una dimensione di sessualità che loro stessi usano in modo evidente.
Per gli adolescenti è molto importante il contesto, anche per capire cosa offre la loro seduzione  nei confronti dell’adulto e quello dell’adulto verso l’adolescente. Se comporta un grado anche se diverso di scambio culturale ed emotivo, io non me la sento di censurarlo.
Fino a qualche anno fa le donne si sposavano a dodici, quando il corpo della ragazza è appena pronto per espletare quel tipo di funzione, che diventa pertanto una funzione culturale.
Allo stesso modo anche per il maschio, quando siano evidenti i segni della maturità puberale questi può rientrare nel gioco della passione anche con adulti, ma questo non deve valere ovviamente per i minori, non perché penso che siano dei Bambi alla Walt Disney, ma perché non devono avere appunto fatti entrare in certi contesti.
 
 
Informo Filiberti e i lettori che a Napoli e provincia c’è una parte precisa della popolazione che ha una gravidanza ancora a quell’età, con ragazzi più adulti, con matrimoni o interruzioni di gravidanza relative, assecondando l’antica tradizione greco-romana.
 

 
La masturbazione, tanto vituperata, tanto inevitabile, è ne Il Compleanno una complessa scena a due, che avviene attraverso lo sguardo dell’adulto dal buco della serratura: una citazione di Tinto Brass?
 
Non credo che ci sia una relazione con quel tipo di cinematografia, dove chi guarda è eccitato in modo voyeuristico. Quando il protagonista vede il ragazzo che si masturba, piange, infatti, perché capisce che non è solo per quello si è arreso ad una relazione incompatibile con il suo assetto di vita attuale.
 
Hai già visto il film Gerontofilia di Labruce?  Parla dell’amore di un giovane per un pensionato, condannato alla sedazione farmacologica in un ospizio, da cui lo libera, godendo anche del sesso e soffrendo con lui fino alla fine.  In qualche modo questo film è l’opposto del Compleanno.
In quale modo ti confronti con questo fenomeno dall’altro punto di vista, appunto la gerontofilia?
 
E’ una tipologia relazionale che non conosco e non ho potuto vedere il film, immagino si debba contestualizzare anche in quel caso l’aspetto della relazione e della passione.
 
Perché hai fatto psicoterapia?
 
Perché sono una persona complessa e non è stato immediato trovare una mia collocazione e una mia integrazione armonica, visto che ho sempre disatteso una certa tendenza all’omologazione, che ho sempre rifuggito. Per aiutarmi ad affinare gli strumenti per trovare una mia definizione ed anche una mia messa in opera migliore. Avevo anche una serie di dolori e ferite aperte, con il quali mi sono dovuto confrontare per parecchio tempo. Per renderli una materia produttiva, visto quello che faccio nella vita, avevo bisogno di farmi aiutare a superare la fase più traumatica, che aveva solo un’incidenza depauperativa.
 
 
L’uso di sostanze o psicofarmaci, o di psicoterapia è ancora una modalità creativa artistica per te e nell’ambiente cinematografico?
 
Credo che non si possa generalizzare così tanto. Non me la sento di fare assurgere questi strumenti a necessità per il talento o la verità artistica, che sono invece connaturati alla nostra persona nella sua pienezza, non nella sua alterazione. Se poi la sofferenza di vivere è insostenibile, non me la sento di sindacare su questo, ma che questo sia una scusa o un metodo per attingere alla pienezza conoscitiva, oggi non lo possiamo più dire per niente, a differenza della fine dell’ottocento, quando l’uso delle droghe era avvolto in una mitologia. Oggi che abbiamo demitizzato anche questo, non credo sia un vademecum poetico.
 
A causa del tema trattato non posso non chiederti quale rapporto hai avuto con i tuoi genitori o parenti da bambino, se hai mai avuto avances romantiche o esplicite o se hai subito violenza da piccolo.
 
No non mi è capitato, sono vissuto in un contesto familiare vivace, articolato, con forti tensioni, ma mai con accezioni di questo genere.
 
Hai mai avuto al contrario una storia con un minore, tanto importante?
 
Nemmeno
 
L’evento della morte nel film Il Compleanno si risolve in una veglia funebre a tratti comica e irriverente, che credo preannunci un futuro felice per i due protagonisti. Quale rapporto hai con la morte e con i rituali, nella tua vita e nella tua arte?
 
Per me l’ultima scena è una veglia funebre sulle proprie omissioni, non sulla morte, infatti in quel tavolo ancora una volta viene omesso ancora tutto.
Il cadavere è ancora fresco, ma quello reale potrebbe anche non essere tale.
Non so se avranno un futuro felice. All’unica domanda sul dove era non c’è nessuna risposta del protagonista. Se lo avesse fatto si sarebbe potuto far partire un processo di elaborazione del lutto. Con la sua reticenza lui invece si condanna alla punizione non per quello che ha fatto, ma per la sua incapacità ad assumersi la propria responsabilità e il proprio ruolo.
Finisco quindi su un altrove aperto, che magari interrogherò in un’altra opera.
La morte è ineludibile, un appuntamento che tutti ci riguarda, talmente totalizzante che o mi riponi la domanda o ne parliamo la prossima volta.
 
La mancata assunzione di responsabilità è, quindi, il vero dramma di questo Paese in tutti gli aspetti politici e non soltanto per la proposta di emendamento alla presunta legge contro l’Omofobia, che di fatto permette a qualunque istituzione di continuare a propagandare odio e non solo nei confronti delle persone omosessuali e transessuali. L’emendamento Gitti, se dovesse passare, di fatto permetterà, anzi istigherà, citandoli uno ad uno, tutti i compartimenti sociali a mettere liberamente in atto campagne contro donne, migranti, diverse religioni ed ogni altro tipo di circostanza sociale, oltre ai gay, le lesbiche ed i transessuali.
Occorre invece una rivoluzione culturale ed emotiva, come quella suggerita dal film di Marco Filiberti e questo per responsabilità anche verso le nuove generazioni, distratte dal consumismo e dall’alta tecnologia.

 
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