LA PAZIENTE CHE VOLEVA DIVENTARE MARILYN MONROE WEB 2.0

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11 giugno, 2014 - 08:56
Le giovani pazienti che seguo in terapia aggiungono nuovi aspetti psicologici rispetto alle generazioni di qualche anno fa: glaciali, apatiche, “vuote”, compensano il loro disagio attraverso un uso smoderato e abusato dei Social Network, come nella pratica del “sexting” o negli atti di bullismo elettronico, in un crescendo senza confini (pettegolezzi, derisioni, insulti, minacce).
Ragazze e ragazzi che già da piccoli, attraverso facili ricerche sul web 2.0, sanno l’abc del porno, ragazzine che ammettono di “averne già passate di tutti i colori nella vita” e sono deluse dall’amore, tanto da ribellarsi fortemente, dichiarandosi bisessuali (senza averne però l’adeguata consapevolezza). Oppure, ancora, sono paurose e timorose e riportano forti stati d’ansia, “tremendi attacchi di panico” che non lasciano loro via d’uscita, o all’opposto, sono terribilmente coraggiose tanto da cambiare esistenza e allontanarsi da famiglie invischiate, con madri controllanti e fusionali. Ragazze straniere che vogliono prostituirsi on-line per tornare nel paese natio con qualche soldo in più e comprarsi da sole una casa, a 20 anni. Ragazze che, in qualche modo, negano i potenziali pericoli che possono nascondersi su Internet: “Non ho progetti per il futuro.. boh non so cosa farò. Voglio guadagnare abbastanza … anche fare la prostituta con la webcam, perché no?”.
Minuti carichi di dolore si affannano nel silenzio; intanto passa il tempo, nella speranza, forse, che l’ora di terapia finisca presto. Ma con una sorpresa: “Grazie dottoressa!”. Almeno, il senso del riconoscimento, del lavoro che stiamo facendo insieme, c’è: “grazie per avermi fatto conoscere un’altra realtà”
Le loro storie sono drammatiche; e sebbene ci sia sofferenza, i loro volti appaiono tranquilli e sereni, segnalando una notevole disarmonia tra espressione visiva, espressione verbale e ricordo autobiografico. Sembrano “non essere al mondo” oppure sono proprio su un altro Pianeta: lo sguardo fisso contempla un punto (sempre quello) della stanza, i movimenti del corpo sono rigidi, o immobili, il tono della voce monotono e impaurito.
Poi un’altra “novità”: dicono di essere pronte per divenire madri e assumersi le responsabilità della vita adulta; senza un progetto, però…. Non c’è voglia di studiare (e quindi di sapere), non c’è desiderio dell’altro se non attraverso il “mi piace” su Facebook, la condivisione sui Social Network delle proprie foto in bikini, la sfida all’ultima sbornia (il cosiddetto “neknomination”) o i 1000 selfie o più su Instagram. Anche il desiderio sessuale sembra essere scomparso e, come ho scritto all’inizio, viene compensato soprattutto dall’invio di immagini e/o video a sfondo sessuale, in una sfida-gioco che non conosce limiti e confini. Ancora una volta, un rapporto morboso con la corporeità, che segnala fortemente momenti di regressione e di distorsione dalla realtà, come in questa giovane paziente: “su Facebook posso mettere nel mio profilo immagini di modelle o belle attrici; poi tutti gli altri pensano che quella sia io….mi creo un falso account… Invece peso 70 kg e arrivo con difficoltà a 1,60mt… Vorrei dimagrire in una settimana e arrivare a pesare almeno 60 kg” .  La paziente dice che vorrebbe diventare come “Marilyn Monroe… in versione moderna-tecnologica!”. E poi sottolinea: “magra ma con seno”. La tinta preferita di questa ragazza è il rosso: vorrebbe avere un guardaroba con tanti completini di pizzo (rosso), da utilizzare per guardarsi allo specchio, ma non per avere e condividere  una vita sessuale adulta. La paziente che ha quasi 19 anni, non si immagina proprio il sesso.
A questo proposito, dice:“l’ho già fatto, è andata bene, ma non mi interessa.” Poi, quasi come a giustificarsi, ammette che però le piacciono la sensualità e la seduttività di Marilyn, anche se nega di avere queste caratteristiche, nonostante le sfoderi on-line, utilizzando identità fasulle.

Sceglie donne alte, sinuose, bionde, ma il suo modello rimane quello di una Monroe moderna web 2.0.  Inoltre, le piacciono immagini femminili che si discostano enormemente dal corpo della madre, che descrive come“bassa e grassoccia”. Rifiuta, poi, di identificarsi alla madre nello stile di vita, che dice “è monotono e sempre uguale”. Il forte desiderio e bisogno della paziente di lasciare il corpo-bambino per mettersi “nuovi panni”, avviene con la rottura nel rapporto con la madre, ma anche attraverso atteggiamenti difensivi di fronte alla propria sensualità e sessualità, che paradossalmente sono più “al sicuro” su Internet! Ma i fantasmi della paziente sono soprattutto reali, non virtuali! E’ un corpo che si ripara da fantasmi familiari, come alcune esperienze di violenza che ha subito nel corso della sua infanzia. 
Dopo mesi di lavoro, la paziente inizia a riconoscere la rabbia distruttiva che porta con sè, in particolare l’odio verso la madre e le violenze di cui è stata vittima, e la presa di consapevolezza di aver interiorizzato un oggetto interno cattivo che non è riuscita a contenere, anzi che è stato causa di frustrazioni e delusioni, esplose in crisi di panico.
A poco, a poco, inizia a tollerare questo stato d’angoscia e a discostarsi dall’interiorizzazione di una figura idealizzata (Marilyn Monroe web 2.0), diventando più “autentica” nell’espressione dei suoi bisogni e soprattutto nel rapporto con la corporeità. Il rapporto di fiducia, creato durante la terapia, ha permesso l’evolversi di una relazione stabile e rassicurante, anch’essa necessaria per confermare il senso di autonomia corporea e per fortificare l’Io, in un processo dialettico con l “Altro” (la terapeuta), in carne ed ossa; e non solo virtuale! La progressiva consapevolizzazione di un proprio sé (mentale e corporeo), è stata fondamentale per riunire “tutti i pezzi”, o meglio, le identità fittizie che la paziente utilizzava su Facebook. A questo proposito, sarebbe il caso di dire: “è necessario cambiare senza frantumarsi ulteriormente”! Perché le parti adolescenti sopravvivono anche negli adulti, come residui irrisolti, fastidiosi e bloccanti. La discontinuità nel percorso di crescita, presente anche nell’età adulta, unita alla regressione e alla fissazione, ostacola certamente il cambiamento; è il cosiddetto vantaggio secondario del sintomo nel nevrotico, che evita, attraverso le resistenze, la sofferenza.
Con la paziente ho lavorato anche sulla percezione e sulla rappresentazione corporea; in particolare sul sentirsi (sentire il proprio corpo, quali messaggi sta comunicando) e sulla sessualità. Non più un corpo alienato, che vive quasi esclusivamente nell’immaginario/virtuale ma corpo in quanto entità, dotato di una propria identità e soggettivazione. Il corpo della paziente aveva bisogno di essere riconosciuto, accolto, “comunicato”, espresso, soprattutto nella libido: insieme, abbiamo cercato di “tradurre” questa terra straniera e poco sentita, in un luogo più comprensibile e accessibile, mettendo l’accento sui bisogni, sui desideri e sulla loro dimensione simbolica. (“Il suo sangue puro ed eloquente / parlò nelle sue guance, e lavorò così chiaramente / che si potrebbe quasi dire che il suo corpo pensava”. Donne)

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