PSICHIATRIA E RAZZISMI
Storie e documenti
di Luigi Benevelli

Amerigo Sollini e la soglia del dolore nelle razze di colore

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9 agosto, 2016 - 18:34
di Luigi Benevelli
Sulla rivista "Archivio italiano di scienze mediche coloniali e parassitologia", 1935, pp. 533-537, il dottor Amerigo Sollini pubblicò l'intervento dal titolo Che c'è di vero nella pretesa resistenza delle razze di colore al dolore, ai traumi e alle loro sequele?

Alla domanda il nostro, sulla base di “osservazioni fatte su neri, indhu, arabi e arabizzati”, rispondeva positivamente:
“Nel bianco, uomo, il sentimento di amor proprio farà sì che egli cerchi, per quanto possibile, di frenare o rattenere le urla che il dolore vorrebbe strappare dalla sua bocca; nella donna bianca, invece. questa specie di ipocrisia non esiste e, per dare un esempio, all’atto di un parto una donna europea tenterà di alleviare le sue doglie con delle grida talvolta veramente belluine. Ma fra le donne nere, indhu o arabe, il gridare mentre si compie il miracolo della nascita di un essere umano, è un atto di grave infrazione alla legge dell’impassibilità; ed è così che tali donne partoriscono, contraendo spasmodicamente i tratti del viso e stringendo convulsivamente i pugni, ma senza lasciare sfuggire un gemito dalla loro bocca. D’altronde la suocera è lì al capezzale con la scusa di dare un colpo di mano, ma in effetto per studiare se la nuora sia più o meno degna di far parte della sua famiglia […].
E che dire della calma olimpica con la quale certi neri vengono a presentarsi al medico con una mano in lembi perché strappata viva forza dalle fauci di un coccodrillo o con l’omero messo a nudo dal colpo d’unghia di un leopardo o di un leone?”.

Qui riporta esempi constatati de visu all’ospedale dei neri di Coquilhatville (Congo belga):
·         un uomo con una mano destra troncata quasi del tutto netta e una bambina di 6 anni con la testa aperta da un colpo d’ascia “da un parietale all’altro, come un popone da un coltello” che, seduta “ingannava l’attesa giocando con dei sassolini!”. Le meningi messe a nudo dal colpo non presentarono in seguito la benché minima reazione infiammatoria e il tessuto osseo tornò a proliferare fino a riempire la fessura, con un tessuto cicatriziale calloso durissimo;
·         un nero operato di occlusione intestinale cui era stato praticato un ano iliaco aveva utilizzato il nuovo orificio  come un taschino “nel quale riponeva volta a volta piccole monete, pezzetti di matita e mozze di sigaretta”. Un giorno, credendo di avervi perso dentro del tabacco, “non pensò di rovesciare… la tasca  ed in questo maneggio riuscì a estroflettere più di 20 cm  del suo intestino”. […] Operato con una entero-enteroanastomosi, “25 giorni dopo il messere usciva dall’ospedale sulle proprie gambe!”;
·         un arabo con largo sventramento addominale venne operato, “ma quando venne la sera, sentendo nel vicino villaggio i tam-tam che chiamavano a celebrare la nuova luna, l’uomo non resistette al richiamo. Fuggito dall’ospedale, corse al villaggio e ballò finché non mi fu ricondotto in barella; tutti i punti erano naturalmente saltati” […] eppure anche questo corifeo si salvò!”.
“In nessuno dei casi riferiti ho mai riscontrato il collasso della volontà che ho rammentato per i nostri feriti europei.”

Concludendo, si doveva indurre che la sensazione dolore fosse meno forte nelle razze di colore e che tali razze avessero "particolari poteri di resistenza ai traumi ed alle possibili sepsi consecutive”. Questo avrebbe potuto essere dovuto a un ritardo di conduzione dello stimolo-dolore o ad un numero molto scarso di terminazioni nervose dolorifiche.
Insomma, sempre attributo un meno, rispetto agli europei. Le donne europee, invece, sarebbero state meno “ipocrite” di quelle di colore.

 

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