I Peter Pan della globalizzazione
Dall'adolescenza all'età adulta oggi, nell'epoca del precariato e della globalizzazione
di Leonardo (Dino) Angelini

La latenza latente

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30 giugno, 2014 - 20:22
di Leonardo (Dino) Angelini

Spesso dimentichiamo che fin dal 1925 Freud aveva posto in luce la natura cultural-specifica del concetto di ‘latenza’ che – come diceva in “La mia vita e la psicoanalisi” - “può provocare una completa interruzione della vita sessuale solo nelle organizzazioni culturali che hanno incluso nel loro programma una repressione della sessualità infantile.” [1] Ed in base a questa dimenticanza tendiamo ad attribuire al termine ‘latenza’ un significato che va al di là del tempo e dello spazio.
Però chiunque negli ultimi tempi abbia avuto modo di operare in scuola elementare avrà potuto rilevare un fenomeno, evidente soprattutto nei territori più metropolitani, in base al quale un numero crescente di bambini maschi autoctoni segnalati agli psicologi presenta un quadro d’instabilità psicomotoria, che non si rileva fra le femmine (come già da tempo indicavano le indagini epidemiologiche), ma non si rileva, o almeno non si rileva con la stessa enfasi neanche fra i bambini maschi che abbiano genitori provenienti di recente da altre culture.
In linee sfumate e meno problematiche ritroviamo tracce di questo fenomeno, che nella rappresentazione della scuola diventa “il problema delle regole”, nella maggior parte dei bambini odierni: maschi o femmine ch’essi siano.
Per linee più nette e più problematiche – e perciò più distinguibili – in una parte di essi: quella rappresentata dai bambini maschi con un background familiare più debole ed esso stesso più problematico.
Ho detto “bambini autoctoni": e cioè bambini per i quali fino a qualche tempo fa valeva il discorso freudiano sulla latenza come momento in cui il piccolo Edipo , dopo essersi reso conto della sproporzione di forze in campo, tira i remi in barca, accetta la sottomissione all’autorità genitoriale (e -su questa base - di ogni autorità, a partire da quella del docente cui sta per essere affidato), ed introietta imago genitoriali fortemente connotate sul piano superegoico.
Il fatto è che, come dice Charmet, oggi Edipo non c’è più, ed è stato sostituito dal piccolo Narciso: un bambino che fin dai primi vagiti appare ai genitori ed a tutti gli adulti che si prendono cura di lui (o di lei) non  più come vortice istintuale da domare, ma come naturalmente dotato di grandi potenzialità che vanno scoperte ed esaltate.
A partire da questo forte investimento, tutto incentrato sugli aspetti ideali e non più superegoici,  tutte le relazioni che s’intessono nella prima infanzia, ed anche gli ultimi passi che Narciso fa prima di dirigersi verso la scuola sono contrassegnati da un rispecchiamento bidirezionale che dai genitori va al bambino e viceversa, sostanzialmente incentrato sulla esaltazione dell’Ideale dell’Io.
Lo stesso tipo di rispecchiamento il bambino ricerca nel docente e – cosa importantissima e decisiva per comprendere ciò che poi accadrà in scuola – anche il docente cercherà nel bambino che gli viene affidato.
Vedremo meglio in una prossima nota perché il docente si dispone su questo piano: per ora ci basti sapere: - che ciò accade soprattutto nei giovani docenti, maschi o femmine ch’essi siano; - e che ciò, almeno ad una prima lettura, appare come il fatto che anche la maggior parte dei giovani docenti sono stati educati a casa ed in scuola in una atmosfera ‘narcisogenica’.
Ho detto ‘bambini maschi autoctoni’ non per negare l’esistenza del fenomeno fra le bambine, ma per sottolineare che gli elementi di problematicità si ritrovano soprattutto fra i maschi. E nei casi più eclatanti si presentano in termini sintomatici sotto le vesti della instabilità psicomotoria, che come sappiamo si presenta ormai in termini epidemici in tutto l’occidente e che coinvolge otto bambini maschi su nove ipercinetici segnalati.
Si tratta di una instabilità che si presenta prevalentemente a scuola, e che – come ci suggerisce la scuola francese – va ricondotta ad una presenza genitoriale ‘passiva’, e perciò incapace di guidare e calibrare il processo di separazione (checché ne dicano i dispensatori di psicofarmaci per l’infanzia!).

Per cui bambini e bambine si trovano oggi ad affrontare quell’importante passaggio della loro vita che per la prima volta li condurrà in un gruppo secondario – la scuola – in termini del tutto nuovi. E cioè non più a partire dall’educazione all’interno di una atmosfera familiare impregnata d’impegno e sacrificio, ma in una in cui vige l’esaltazione delle potenzialità di ognuno. E, nell’arrivo a scuola, non più da una attesa di conferma o dal timore di una mortificazione attraverso il voto, ma dalla reciproca esaltazione delle potenzialità, e dalla delusione derivante dal non essere amati e compresi.
Tutto ciò s’incrocia e rafforza il passaggio dalla vecchia scuola incentrata sul rituale pedagogico (Fürstenau) alla nuova scuola centrata sulla isterizzazione della scena scolastica .
Ne deriva una latenza non più caratterizzata da una industriosità basata sulla rinuncia e sulla sublimazione, ma una nuova latenza in cui l’accesso all’operatività rimane circonfusa di istanze ed afrori mai perfettamente desessualizzati: una latenza latente per l’appunto!
E poiché sia i nuovi genitori (autoctoni) sia i nuovi docenti condividono questo nuovo modello di latenza – in cui non si comprende mai appieno se la classe è, o meno, un gruppo secondario – ne deriva per tutti i bambini – maschi o femmine che siano – il prevalere di un insieme di aspettative fortemente impregnate di affettività  che rendono la scuola un luogo di frontiera in cui i due ‘eserciti’ dell’affettività e operatività a volte guerreggiano fra di loro, a volte si sposano felicemente con risultati che nella vecchia scuola erano inimmaginabili.
Con una fondamentale eccezione che non è da ricondursi – come si sarebbe portati a credere – all’appartenenza di genere delle docenti (che rappresentano ormai il 99,9% dei docenti) quanto ai modelli ed agli stereotipi di mascolinità e femminilità che provengono da casa e dai media.
Ne deriva per le bambine una maggiore propensione alla quiete ed alla compostezza, nonché una loro collocazione elettiva nei luoghi chiusi. Per i bambini al contrario una maggiore esaltazione dell’aggressività, all’uso della forza, ed alla collocazione in luoghi aperti.
È soprattutto per questo che l’impatto con la scuola risulta per i secondi più difficile. Soprattutto se in precedenza non vi è stata alcuna misura profilattica da parte dei genitori. E ancora di più se il bambino non sia stato accompagnato in precedenza – cioè durante la prima infanzia - da un genitore continuamente presente ed attivo che lo abbia aiutato nel processo di individuazione – separazione.
Il bambino e la bambina! che però, al contrario del maschietto, è più improbabile che ‘scelga’ l’ipercinesi per esprimere il proprio disagio.
 


 
 

[1] Da: S. Freud, La mia vita e la psicoanalisi, cit in: Laplanche e Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi, Laterza, 1968, pag 287
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Commenti

Credo che “il problema delle regole”, nella maggior parte dei bambini odierni (maschi o femmine che siano), si presenti in maniera accentuata anche come effetto di una sommatoria di narcisismi... o per dirlo in altre parole per un narcisismo ormai transgenerazionale che investe genitori, figli, ed anche gli insegnanti di nuova generazione.

Concordo. E questo sta sconvolgendo la vita di classe.

Aldilà di Edipo e di Narciso mi pare che i bambini, oggi come ieri, tendano a rispondere alle attese degli adulti che rispecchiano principi e valori che sono molto "esteriori", anche se appariscenti, ma che non soddisfano affatto i bisogni "profondi" dei bambini.
Pertanto l'aumentata "instabilità psicomotoria, penso debba essere ricondotta più a una reazione "naturale" dei bambini all'insoddisfazione delle "cure genitoriali" o quelle "scolastiche" che ad un tentativo maldestro di "affermazione".


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