Riflessioni (in)attuali
Uno sguardo psicoanalitico sulla vita comune
di Sarantis Thanopulos

Il dono e la carità

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13 ottobre, 2014 - 08:12
di Sarantis Thanopulos

Con un decreto di legge approvato dal Senato il 4 Ottobre, festa di San Francesco, è stato dichiarato "giorno del dono".
La prima volta di questa nuova ricorrenza è stata celebrata in tutta l'Italia con dibattiti e manifestazioni culturali. Il dono è spesso oggetto rituale di scambi strumentali o inutili, privi di intensità emotiva, e re-interrogarsi sul suo significato potrebbe essere una cosa buona. A condizione di non confonderlo con la carità, il soccorso compassionevole dei bisognosi, che si sta affermando come la più autentica disponibilità nei confronti degli altri (complice l'aumento della diseguaglianza).
Nella sua celebre definizione dello scambio di doni, Marcel Mauss propone una sequenza di tre momenti: dare - ricevere - ricambiare. Il primo momento è attualmente in grave difficoltà perché richiede un'esposizione all'altro senza garanzie preventive che può essere definita, nei termini di un ossimoro, come reciprocità unilaterale.
Il dono è in primo luogo un atto d'amore. Ha le sue radici nel primo amore del bambino: la passione per la madre. L'amore non è autentico, vero senza una componente passionale che ignora le ragioni dell'oggetto amato e aspira a un suo possesso assoluto, senza limiti e preoccupazioni. Questa pretesa della passione di ignorare la soggettività del suo oggetto mette in discussione la sua permanenza perché un oggetto privo di una propria autonomia e volontà e ridotto a cosa inerte, manipolabile, non è realmente vivo e desiderabile. Se vuole persistere, la passione deve proteggere ciò che ama, assumendo la responsabilità dei suoi eccessi. L'amore responsabile riconosce l'autonomia del suo oggetto a costo di una propria limitazione che è anche esposizione alla passione dell'altro: ciò che, superata una soglia, non si può ottenere per possesso diretto senza distruggere l'oggetto, lo si ottiene lasciandosi possedere da esso. Alle sue radici il dono è esposizione, dono di sé che comporta il rischio di essere strumentalizzati. Questa esposizione -donarsi alla possibilità di una reciprocità anelata ma per nulla scontata- non è ancora un dono per l'altro. Diventa tale se l'altro accoglie la relazione d'amore che la donazione di sé insegue, senza abusare del donatore.
Nella relazione d'amore il dono di sé diventa dono di libertà all'amato: libertà di ricambiare secondo un modo proprio, personale di ricevere e di amare, senza essere determinato dal desiderio dell'amante (libertà di essere interamente nella relazione senza essere interamente dell'altro). Questa prima forma di dono reciprocamente riconosciuto come tale, che istituisce l'incontro tra gli amanti come luogo della più intima e devota delle cure, è la premessa dello scambio di doni come offerta d'amore: donare l'uno all'altro il proprio coinvolgimento che rende possibile la più compiuta (mai assoluta) realizzazione del godimento. Il passo successivo - la più evoluta configurazione del dono nella relazione amorosa- è la possibilità/libertà del soggetto amato di amare altro dal soggetto amante.
Il rischio connesso al dono è annullato nell'atto di carità: con esso si proietta nell'altro la percezione della propria mancanza e provvedendo al suo bisogno materiale si crea l'illusione di sfamarla. Il sentimento di povertà (espressione della propria condizione desiderante) si trasforma in presunzione di ricchezza e in questo modo viene concepita come generosità la riluttanza a esporsi. Il dono non è magnanimità ma dichiarazione rischiosa di povertà: "Mi dono a te perché mi fa sentire povero la tua mancanza". Donare è la generosità in cui l'umiltà diventa coraggio.

 

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