GALASSIA FREUD
Materiali sulla psicoanalisi apparsi sui media
di Luca Ribolini

Febbraio 2015 I - Parole, silenzi, generazioni

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11 febbraio, 2015 - 18:16
di Luca Ribolini

Nella foto, Lou Andreas-Salomé

LOU ANDREAS SALOMÉ, LA VIRAGO CHE INFLUENZÒ NIETZSCHE. Senza Zelda Fitzgerald, Tenera è la notte non sarebbe mai stata scritta, senza Geltrude Stein il cubismo mai iniziato, senza Suzanne Valadon Degas, Renoir e Toulouse-Lautrec non avrebbero dipinto alcuni dei loro capolavori più importanti. Oggi parliamo di Lou Andreas Salomé, una donna che ebbe un impatto decisivo su alcune delle opere più importanti del secolo scorso 

di Iris De Stefano, europinione.it, 5 febbraio 2015

Il 5 febbraio cade l’anniversario della morte di Lou Andreas Salomè, una delle figure più interessanti del secolo scorso, ingiustamente poco conosciuta al grande pubblico. Con il fascino proprio delle donne libere, si raccontava che nessun uomo potesse resistere dall’innamorarsi di quell’aristocratica russa, scappata da San Pietroburgo ancora giovane per fuggire al destino deciso per lei dalla famiglia. Se però ad invaghirsi di una donna del genere furono Friedrich NietzscheSigmund FreudPaul Rée e Rainer Maria Rilke tra gli altri, ci si rende conto di quale impatto possa aver avuto nel completamento di alcune delle opere più importanti del secolo scorso.

Nata a San Pietroburgo il 12 febbraio 1861 (in coincidenza con la fine dell’istituto della servitù della gleba da parte di Alessandro II). Figlia di uno dei massimi generali dell’impero russo, discendenti degli ugonotti francesi e con diritto di residenza nel Palazzo dello Stato Maggiore generale, di fronte al Palazzo d’Inverno. A diciassette anni, dopo la morte dell’amatissimo padre e lo shock provocato dalla richiesta in moglie fattale dal suo istitutore, decise di lasciare il paese per dirigersi in Svizzera, a Zurigo, all’epoca centro dell’elite rivoluzionaria russa.

Alois Biedermann, professore di teologia a Zurigo scrisse alla madre di Lou: Sua figlia è in verità una giovane donna assai singolare, con una purezza e un’integrità quasi infantili e al contempo una dirittura d’intelligenza e un’indipendenza di volontà che non sono certo infantili e quasi neppure femminili. In tutte le sue manifestazioni è un diamante”. Il riconoscere in Lou qualità poco femminili è un leitmotiv che sarà ripreso per tutta la sua vita, a causa della sua forma snella e poco prorompente e della sua pretesa continua di un’indipendenza che poco trovava riscontro nel genere femminile dell’epoca. Dalla Svizzera, dopo un periodo di corrispondenza epistolare, la ragazza si diresse a Roma per incontrare Malwida von Meysenburg, tra le figure più importanti del femminismo tedesco, nel cui salotto si riunivano personaggi come Garibaldi, Mazzini, Wagner e appunto Nietzsche e Rée.

Nel marzo 1882, mentre una sera sedevano nel salotto della von Meysenburg, entrò Paul Rée, discepolo di Schopenhauer e fraterno amico di Nietzsche. Nacque un’amicizia affettuosa tra i tre, con Lou che – seguendo un sogno che aveva fatto nelle settimane precedenti – immaginò una grande casa in cui avrebbero abitato insieme dedicandosi ognuno ai propri studi. Ma per Malwida von Meysenburg, così come per la madre di Lou e per la società tutta, l’idea che una giovane donna vivesse sola con due uomini era scandalosa e riprovevole, eppure si realizzò. L’idillio durò però pochi mesi, in cui il terzetto si spostò prima a Milano e poi di nuovo in Svizzera. I problemi erano sorti poiché entrambi i due uomini erano innamorati di Lou e iniziavano ad avere grosse crisi di gelosia nei confronti dell’altro. Quel che è certo però è l’influenza che Lou ebbe nella stesura delle prime due parti di Così parlò Zarathustra, a cui Nietzsche stava lavorando proprio in quel periodo. Tutte le parti sulle donne sono dure e piene di risentimento, proprie di un uomo rifiutato in quello che fu il suo più grande amore prima dell’aggravarsi del suo stato psico-fisico. I tre, infatti, alla fine dell’anno si erano separati e Lou iniziò un periodo di convivenza con Paul Rée, mentre Nietzsche, rifiutato, scriveva frasi come: Vai con le donne? Non dimenticare la frustra!” o ancora: “Colui che è avvolto dalle fiamme della gelosia, da ultimo come lo scorpione volge il pungiglione velenoso contro se stesso.”

Paul Rée, anch’egli rifiutato ma disposto ad accettare il ruolo da “dama di compagnia” di Lou, come lo definì la cerchia dei suoi amici più cari, visse con la donna a Berlino, dove si erano trasferiti, fino al 1901 quando ammise all’amico di essersi fidanzata con l’orientalista Carl Andreas. I due furono sposati per quarantatre anni, in un matrimonio di distanze che permise ai due di lavorare alle proprie passioni senza vincoli familiari e, allo stesso tempo, di intrattenere relazioni extraconiugali senza gelosie. Se Lou si era interessata fino a quel periodo prima di teologia e poi di filosofia, fu in Germania che scoprì la psicoanalisi e la poesia e si dedicò ad esse con l’interesse vivo e la curiosità di sempre.

Conobbe così René Maria Rilke, il più longevo dei suoi amanti, ma di certo non l’ultimo. Le poesie che lui le dedicò sono tra le più belle del secolo scorso, ma anche questa relazione si concluse poiché, dopo svariati periodi di convivenze in Germania, come in Francia e in Svizzera, il giovane poeta iniziò ad essere geloso della libertà che aveva contraddistinto il pensiero di Lou da tutta la vita, chiamandola suo “futuro”. Lou decide di chiudere la relazione e di tornare dal marito che le assicurava l’indipendenza e la libertà di cui non poteva far a meno. Nel 1911 incontrò Freud e solo da quel momento di dedicò anima e corpo alla psicoterapia, anche se la produzione letteraria che aveva caratterizzato tutta la sua vita stava già ormai scemando. Dopo aver scritto libri, diari e romanzi e anche a causa della guerra che si stata per abbattere sulla Germania, nel periodo tra il 1911 e il 1937, data della sua morte, scrisse solo pochi articoli e un librino divulgativo. Perì di uremia nella sua casa di Gottinga, in bassa Sassonia e dato che non aveva mai frequentato la borghesia del paese, non stabilendo alcuna relazione amichevole con i suoi concittadini, il giorno dopo la Gestapo sequestrò tutta la sua biblioteca con l’accusa di esser coinvolta nella scienza ebrea. Quasi tutta la sua produzione venne così perduta ma l’influenza che ebbe sugli uomini che la conobbero ed amarono resta forse il suo più grande lascito.

http://www.europinione.it/lou-andreas-salome-la-virago-che-influenzo-nietzsche/

PSICANALISI E CIFREMATICA IN SVEZIA 
di Redazione, Mats Svensson, lacittaonline.com, n. 62, febbraio 2015

Da una ricerca della London School of Economics and Political Science, pubblicata sulla rivista online “PLoS” (plosone.org), nel periodo tra il 1995 e il 2009, risulta un aumento annuo del 20 per cento del consumo di farmaci antidepressivi in tutta Europa. In questo scenario inquietante, la Svezia risulta il paese con il maggiore incremento: oltre il 1000 per cento tra il 1980 e il 2009. A che cosa può essere attribuita questa medicalizzazione della società?
In Svezia c’è una tendenza a chiedere soluzioni rapide e semplici, e taluni accusano la psicoterapia di non aiutare abbastanza le persone che hanno un disagio. Ma, oltre alla medicalizzazione, assistiamo a una sorta di secolarizzazione della società, seguita alla diminuzione della centralità della religione. Già da cinquant’anni, si sta diffondendo in Svezia una tendenza a sostituire la religione anche con la medicina e molte persone perseguono la salute del corpo come una volta perseguivano quella dell’anima: la palestra è il nuovo altare e gli esercizi fisici hanno soppiantato quelli spirituali. Tutti devono apparire in forma, per molte persone oggi la cosa più importante è la perfetta forma fisica.

L’imperativo della rapidità, a discapito della ricerca e di tutto ciò che è ritenuto difficile e richiede uno sforzo intellettuale, è riscontrabile in molti paesi occidentali. Ma nella sua pratica clinica e attraverso i seminari dell’istituto da lei presieduto (Göteborgs Kliniska Seminarium), lei contribuisce alla diffusione della lettura di autori come Lacan, Freud, Verdiglione e altri, che non sono certo facili, eppure hanno un’importanza capitale per l’avvenire della civiltà, non solo della psicanalisi. Ci sono altri psicanalisti, filosofi, scrittori o artisti interessati alla promozione di un itinerario intellettuale nella sua città?
Qui a Göteborg stiamo lavorando con un’associazione costituita da molti giovani intellettuali, fra cui molti psicologi e filosofi, che organizza dibattiti e conferenze intorno alla letteratura e alla psicanalisi. Alcuni di loro frequentano i nostri seminari e hanno intrapreso un itinerario analitico e clinico con me.

In che modo tiene conto delle acquisizioni della cifrematica nella sua pratica clinica?
Soprattutto quando lavoro con persone che svolgono la loro attività in ospedali o nelle istituzioni, ho rilevato nel corso di molti anni quanto la cifrematica sia efficace nel momento in cui c’è una situazione di incertezza o ci sono reticenze da parte delle persone in cura. Ci sono casi in cui un medico non ha idea di ciò che sarebbe interessante dire al paziente, per esempio quando la diagnosi è incerta. In un grande ospedale svedese, un medico raccontava di una persona che assumeva morfina a sua insaputa, oltre ad altri farmaci da lui prescritti. In molti casi, ho individuato la tendenza dei pazienti a non voler confrontarsi con la malattia, anche perché magari è il prodotto della storia con l’ospedale e con il medico (in altre parole, la causa della malattia è nella medicalizzazione della sua vita): ne parliamo con i medici e cerchiamo di capire insieme cosa dire e come intervenire, perché s’instauri un dispositivo di parola con quelli che si chiamano pazienti. È importante che un medico abbia modo di parlare di questi casi particolari, anziché agire in modo automatico. E la cifrematica, come scienza della parola, è di grande aiuto in questo senso.
E magari sarebbe interessante se i medici intraprendessero anche un itinerario intellettuale…
Anche perché a volte sono in serie difficoltà. Ricordo il caso di una psichiatra che, quando ha incominciato l’analisi, aveva un tumore al seno. Mentre due sue colleghe con la stessa patologia hanno seguito le indicazioni dei medici e purtroppo sono morte nel giro di un anno, lei ha lavorato con me per vent’anni, finché è partita per andare sull’Himalaya. In seguito ho saputo della sua morte, che tuttavia non è stata causata dall’aggravarsi del tumore, ma ovviamente dagli effetti collaterali a lungo termine dei farmaci che aveva assunto. È importante il collegamento della psicanalisi e della cifrematica con la realtà, e la medicina offre un terreno vastissimo: una collaboratrice psicologa, per esempio, ha approfondito alcuni casi di tossicodipendenza nei pazienti con problemi reumatologici. Attualmente, sto lavorando come supervisore in un programma di formazione di alcuni psicanalisti molto interessati e felici degli argomenti che propongo loro. Dobbiamo cercare di colmare il grande divario che si pone fra l’esperienza della parola, la scienza della parola, che è alla base del nostro lavoro di clinica, e le droghe psicotrope, gli psicofarmaci: dobbiamo limitare il più possibile la tendenza ad assumere pillole da parte di chi soffre d’ansia o ha ricevuto una diagnosi che non è chiara.

* Psicanalista, presidente del Göteborgs Kliniska Seminarium, Svezia

http://www.lacittaonline.com/index.php?q=node/1654

VIOLENZA SULLE DONNE: SI PARTE CON MASSIMO RECALCATI. È il primo corso dedicato al tema della violenza contro le donne istituito in una università italiana. Al via la seconda edizione con un programma di quindici appuntamenti – tutti aperti al pubblico – da febbraio a maggio 
di Redazione, magazine.unibo.it, 2 febbraio 2015

È lo psicoanalista Massimo Recalcati il primo ospite relatore del seminario “La violenza contro le donne. Problematica dei sessi e diritti umani”, promosso dal corso di laurea in Filosofia dell’Università di Bologna, a tutti gli effetti parte integrante del percorso didattico della laurea di primo livello. L’appuntamento, che è aperto al pubblico, è per mercoledì 4 febbraio, dalle 15 alle 17, nell’Aula III della Scuola di Lettere e Beni culturali.

Il percorso si svilupperà in quindici incontri in programma da febbraio a maggio a cui interverranno giuristi, giornalisti, psicoanalisti, filosofi, storici, sociologi, operatori dei centri antiviolenza e scrittori. Per il suo alto valore formativo e sociale l’iniziativa ha ricevuto il plauso sia della Presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini che del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Il seminario si inserisce in quello spazio che la riforma degli ordinamenti degli studi universitari ha aperto ad attività formative sovradisciplinari – spiegano Annarita Angelini e Valeria Babini, rispettivamente la coordinatrice del Corso di laurea in Filosofia e la responsabile scientifica del seminario – e muove dalla convinzione che l’università sia una istituzione preposta alla trasmissione del sapere, ma anche alla formazione dell’individuo: che abbia dunque tra i suoi compiti diretti e istituzionali quello di promuovere una cultura del rispetto della persona e dei diritti umani. Per queste ragioni l’università non può rimanere indifferente alla questione della violenza contro le donne, che è oggi un’emergenza sociale. Di qui la convinzione che per contrastare con efficacia la violenza contro le donne sia indispensabile anche un’analisi rigorosa e profonda del sostrato culturale sul quale è cresciuta, nonché della mentalità sedimentata, diffusa, sottilmente connivente, che ancora la alimenta, tollerando relazioni di potere diseguali, abusi, violazioni, e/o relegandoli alla sfera dei comportamenti privati o patologici”.

http://www.magazine.unibo.it/archivio/2015/02/02/violenza-sulle-donne-si-parte-con-massimo-recalcati

SSSSSSHHHHH! FATE SILENZIO. Cellulari, musica ovunque, bla-bla ad alta voce… L’overdose di rumori mette a rischio salute, creatività, sentimenti. Ma è partita la riscossa del no-sound 
di Stefani Berbenni,panorama.it, 2 febbraio 2015

Quando nel 1787, a Philadelphia, si dettero appuntamento 55 delegati di 13 Stati americani per scrivere la Costituzione degli Stati Uniti, le strade intorno al palazzo sede dei lavori furono coperte di terra e sabbia, affinché i rumori esterni non pregiudicassero concentrazione e pensiero. Più di 200 anni dopo è il nostro cervello a reclamare silenzio, provato com’è dall’overdose di sollecitazioni acustiche, volute e subite. In pochi anni infatti il silenzio è quasi scomparso dalla nostra quotidianità, tanto che per trovarlo occorre impegnarsi e spesso pagare coloro che, intorno al bisogno di pace, si sono inventati un nuovo business.

La nostra giornata è scandita da musica a tutto volume, da messaggi pubblicitari, da trilli di cellulari, bit-bit di smartphone, conversazioni altrui, toni di voce da ballarò (il mercato di Palermo, ma anche la trasmissione), figli questi ultimi anche del venir meno delle regole base della buona educazione. Persino gli animali, secondo una ricerca della biologa tedesca Ulrike Lampe, hanno alzato il tono di «voce» in risposta al caos intorno. Si entra in un bar e ci sono la tv o la radio accese, si sale su un taxi e il martellamento non dà tregua; stesso discorso in treno, in metropolitana… Ristoranti, anche stellati, tengono musica di sottofondo, mal interpretando il termine «sottofondo».
I negozi cosiddetti 
trendy hanno la loro colonna sonora, così alta da non riuscire a sentire la risposta di un addetto alle vendite; nei supermercati e nelle banche vincono i messaggi garruli di promozioni e supersconti; le palestre stanno diventando delle discoteche senza la pista dove ballare: pare che il volume esagerato eviti di sentire il rumore delle macchine pompanti e la fatica; centri estetici, parrucchieri, persino molte sale d’aspetto dei medici, hanno bandito il silenzio. La musica d’ambiente, chiamata piped, ci perseguita.

Per continuare:

http://www.panorama.it/societa/fate-silenzio/

LO SPETTRO DEL TOTALIBERISMO 
di Francesco Bellino, avvenire.it, 2 febbraio 2015

Il sismografo lessicale e semantico della politologia è in fibrillazione. Destra/sinistra, post-sinistra, iperdemocrazia, post-democrazia, democrazia ibrida, populismo, antipolitica, impoliticità sono alcune delle categorie che rimettono in discussione il pensiero politico sul duplice versante ideologico-filosofico ed empirico-sociologico. La globalizzazione ha fatto cadere lo spazio pubblico e ha messo in crisi la politica  tradizionale con i propri soggetti, valori, forme, princìpi costitutivi. Come dimostra Francesco Giacomantonio nel suo acuto e ben documentato lavoro Sociologia dell’agire politico. Bauman, Habermas, Žižek (Studium, pagine 122, euro 10,00), i processi di globalizzazione hanno indebolito le relazioni tra i cittadini, da una parte, e le istituzioni e i partiti, dall’altra, questo perché «i primi hanno dovuto prendere atto che i secondi non sono in grado di rispondere alle domande sociali: il grado di legittimazione delle istituzioni pubbliche è stato ulteriormente abbassato dal ruolo crescente che attori non istituzionalizzati sono venuti ad assumere nel contesto della globalizzazione.

Per continuare:

http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/spettro-del-totalitarismo.aspx

OMELETTE, IN SCENA L’ALLEGORIA DEL RITORNO NEL VENTRE MATERNO. Nello Spazio studio di S.Orsola, per la regia di Flavio Cortellazzi e l’interpretazione di Alessandro Pezzali, abbiamo assistito a “Omelette”, un testo allegorico ispirato al pensiero di Antonin Artaud 
di Alberto Cattini, gazzettadimantova.gelocal.it, 3 febbraio 2015

Nello Spazio studio di S.Orsola, per la regia di Flavio Cortellazzi e l’interpretazione di Alessandro Pezzali, abbiamo assistito a “Omelette”, un testo allegorico ispirato al pensiero di Antonin Artaud. Conviene partire dal titolo che, però, è ripreso dagli “Scritti” (1966) di Jacques Lacan. Lo psicoanalista parigino osserva che il bambino, staccato dalla placenta, è come un uovo rotto che si espande in omelette. (Lo assimila anche al mito dell’androgino, diviso in due parti, nel “Simposio” di Platone). Omelette sta a indicare l’ultima propaggine della perfetta armonia, di quella fusione che il bambino vive nel ventre materno. Dovendo rinunciare al desiderio di onnipotenza (verso la madre), si china a desideri regolati da leggi. Una vita da esiliato, in cui si apre una frattura insanabile tra il profondo e il conscio. Se la vita è tragicamente dominata dall’Assenza, lo è anche dalla menzogna dei simboli, Cortellazzi e Pezzali prendono “omelette” come significante del ritorno all’unità indifferenziata, al tema dell’androgino, proprio di Antonin Artaud, che nell’ultimo periodo della sua creatività, si propone di bandire una nuova coscienza del corpo, tendendo a riappropriarsi della materia non deturpata dallo spirito. E attinge ai temi dell’alchimia, che gli permettono di vaticinare l’autoproduzione (“sono mio padre, mia madre, mio figlio, io”). Di riforgiare l’uomo primordiale, senza distinzioni sessuali, senza più perdite d’energia. Artaud sostiene che passare dalla “porta” che separa, è avallare l’atto della falsa nascita in un mondo in cui tutto si presenta sdoppiato.

Cortellazzi divide allora il palcoscenico in due settori, uno avvolto dall’oscurità, e dovrebbe significare le tenebre dell’inconscio (più un piccolo punto luminoso in rosso, che presumiamo sia l’uovo/uomo), il secondo sulla destra illuminato da un neon tremolante, senz’altro la porta del conscio, delle censure, dei simboli. Pezzali, alto, magrissimo e calvo, in controluce è una figura che richiama Nosferatu, il morto vivente, che transitando nei due sensi dalla luce al buio, si appoggia a una “voce”. Ricorda il passato, al fine di poter celebrare l’epifania del ritorno. E immagina una trama (il finale di “La signora della porta accanto” di Truffaut, con la frase “né con te né senza di te”), l’ultimo incontro con una donna, l’amplesso, gli spari che uccidono lui, e poi lei. E lo replica tre volte, a ritroso dal fallico, all’anale, all’orale (la romanza e la vestizione di Madame Butterfly), cioè l’assoggettamento della libido all’organismo, il cammino compiuto verso l’abisso fecale, come escremento del dio. Prefigurata la vicinanza all’androgino, all’interno della luce, la mano disegna la sua caricatura. Di nuovo gli atti di congiunzione con la donna, ma in modo meccanico, sempre più veloce. E come vuole Artaud, adesso non vi sono che schegge di corpo, liberate dallo psichico, sino al gesto del ritorno che consiste nel rompere l’uovo. Con il “corpo glorioso”, anche il teatro non è il doppio della vita, ma la vita stessa. Una prova ambiziosa, sorprendente, in cui il corpo di Pezzali magnetizza l’attenzione con movimenti ieratici. Medium, e non dimentichiamo il ruolo di Cortellazzi, di una celebrazione dell’ermetismo che ancora lusinga con i suoi misteri.

http://gazzettadimantova.gelocal.it/tempo-libero/2015/02/03/news/omelette-in-scena-l-allegoria-del-ritorno-nel-ventre-materno-1.10797002

PERCHÉ RACCONTIAMO I NOSTRI SEGRETI AGLI ESTRANEI 
di Oliver Burkeman, internazionale, 3 febbraio 2015

Provate a chiedere in giro e farete una strana scoperta a proposito dei viaggi in treno e in aereo: quasi tutti ricordano di essere rimasti bloccati accanto a uno sconosciuto che non finiva mai di annoiarli con i dettagli sulla sua salute, sul suo lavoro o sul suo matrimonio, ma quasi nessuno ammetterà di aver fatto la stessa cosa.

Forse esiste veramente un tizio che passa la vita sui trasporti pubblici a raccontare i fatti propri e che, prima o poi, tutti abbiamo incontrato. Ma una spiegazione più probabile, alla luce degli studi del sociologo di Harvard Mario Luis Small, è che ci confidiamo con gli estranei più di quanto pensiamo.

Molti studiosi danno per scontato che “le persone con cui parliamo di più” siano quelle a noi più vicine. L’ideale romantico moderno è “sposare il proprio migliore amico”, qualcuno che sia al tempo stesso amante, confidente, padre o madre dei nostri figli e compagno di bevute. Tuttavia, da un sondaggio è emerso che alla domanda: “Con chi ti sei confidato l’ultima volta?”, circa la metà degli intervistati ha risposto che non si trattava di una persona importante per loro, ma di un barista, un parrucchiere o magari qualcuno intrappolato vicino al finestrino su un volo di sei ore.

Può sembrare una pessima notizia: in questo mondo atomizzato siamo così disperati da confidarci con chiunque sia disposto ad ascoltarci? In una minoranza di casi, dice Small, il vero motivo è semplicemente la disponibilità, ma molte volte ci sfoghiamo con persone estranee proprio perché sono estranee.

Tanto per cominciare, non vogliamo discutere le nostre relazioni extraconiugali con il nostro coniuge, o magari non vogliamo che un fratello o una sorella vadano a raccontare a un altro familiare i nostri problemi finanziari. Ma soprattutto ci abbandoniamo volentieri a quella che i sociologi chiamano downward social comparison, cioè ci piace pensare di essere al di sopra degli altri. E questo ci riesce più difficilmente con i nostri intimi. Perché se pensiamo che il nostro migliore amico sia una nullità, come mai lo abbiamo scelto come amico?

Parlare con qualcuno che non ci conosce bene comporta anche altri vantaggi. Questo ci aiuta a capire perché gli analisti tendono a rispondere a qualsiasi domanda personale con un’altra domanda (“Perché è importante per lei saperlo?”). L’analista, diceva Freud, “deve essere opaco agli occhi del suo paziente, deve essere come uno specchio e non mostrargli altro che quello che il paziente mostra a lui”. Sapere che il nostri strizzacervelli ha tre figli e suona l’armonica, pensava, interferirebbe con il processo psicoanalitico.

Ma non c’è bisogno di condividere le teorie di Freud per capire i vantaggi di essere costretti ad ascoltare veramente quello che stiamo dicendo e a rifletterci sopra. Un amico potrebbe interromperci per rassicurarci, o per dirci che cosa farebbe al nostro posto. Senza dubbio lo farebbe con le migliori intenzioni, ma non ci sarebbe molto utile.

Forse la nostra tendenza a confidarci con chi non è nostro intimo dimostra piuttosto quella che in un suo famoso saggio il sociologo Mark Granovetter chiama “la forza dei legami deboli”. Molti dei vantaggi che derivano dall’appartenere a una rete sociale, a quanto sembra, non derivano dai nostri legami forti, ma da quelli deboli. Chi cerca lavoro, si legge nel saggio, lo trova più facilmente attraverso i legami più deboli. E questo ci porta a chiederci quanti matrimoni e quante amicizie si potrebbero salvare se non si pretendesse che le persone svolgano tutti i ruoli possibili all’interno di una relazione.

Comunque, ora smetto di parlare e vi lascio tornare al vostro libro. Da un momento all’altro atterreremo.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

http://www.internazionale.it/opinione/oliver-burkeman/2015/02/03/perche-raccontiamo-i-nostri-segreti-agli-estranei

I FORZATI DI UN ETERNO PRESENTE. «C’è una vita prima della morte?» di Miguel Benasayag e Riccardo Mazzeo per Erikson editore. Giovani e anziani. Due condizioni biologiche negate da un esasperato giovanilismo 
di Benedetto Vecchi, ilmanifesto.info, 3 febbraio 2015

Un dia­logo sull’anzianità, sul rap­porto tra le gene­ra­zioni. E dun­que anche una rico­gni­zione sull’adolescenza. Sono que­sti i temi affron­tati nel volume fir­mato da Miguel Bena­sa­yad e Ric­cardo Maz­zeo (C’è una vita prima della morte?, Erick­son edi­zioni, pp. 134, euro 15). Due autori diver­sis­simi tra loro, ma acco­mu­nati da una stessa ten­sione, l’irriducibilità a una con­ce­zione domi­nante che can­cella la pos­si­bi­lità di un dia­logo tra diverse gene­ra­zioni e un’alterità verso chi ritiene che i pro­blemi delle società con­tem­po­ra­nee deri­vino dalla man­cata «rot­ta­ma­zione» di chi siede da decenni sugli scranni del potere senza avere nes­suna inten­zione di lasciare il passo ai «giovani».

Miguel Bena­sa­yag è uno psi­coa­na­li­sta con una solida pre­pa­ra­zione filo­so­fica (la prima lau­rea l’ha avuto pro­prio in que­sta disci­plina). Diri­gente poli­tico della sini­stra rivo­lu­zio­na­ria in Argen­tina, ha fatto la scelta della lotta armata per con­tra­stare il potere mili­tare. Arre­stato ha cono­sciuto il car­cere e la tor­tura. Ripa­rato for­tu­no­sa­mente in Fran­cia, ha appro­fon­dito gli studi della psi­coa­na­lisi e da alcuni decenni si occupa di devianza, mar­gi­na­lità e disagi psi­chico nelle isti­tu­zioni psi­chia­tri­che fran­cesi. Spi­no­ziano con­vinto ha scritto un for­tu­nato sag­gio sulle Pas­sioni tri­sti del tar­do­ca­pi­ta­li­smo (Fel­tri­nelli). Ric­cardo Maz­zeo, invece, è un edi­tor della casa edi­trice Erick­son, ma da alcuni anni ha incon­trato più volte alcuni «grandi vec­chi» della cul­tura euro­pea (Edgar Morin e Zyg­munt Bau­man), traen­done mate­riali per impor­tanti libri sull’educazione, su Marx e ristam­pando sem­pre per Erick­son, con una nuova tra­du­zione e intro­du­zione, il sag­gio di Edgar Morin su L’uomo e la morte .

Il dia­logo pre­sen­tato in que­sto libro segue due diret­trici paral­lele, anzi inter­di­pen­denti. L’anzianità è una con­di­zione umana negata. Chi ha dop­piato la boa della matu­rità dif­fi­cil­mente accetta di entrare in una fase della pro­pria vita che ha una sua spe­ci­fi­cità (l’esperienza accu­mu­lata, un certo deca­di­mento fisico) che nel pas­sato erano sino­nimo se non di sag­gezza, almeno di mag­giore capa­cità di affron­tare una vita sociale non sem­pre gene­rosa. Gli anziani, afferma Bena­sa­yag inse­guono il sogno di una eterna gio­vi­nezza. La chi­mica, il fit­ness sor­reg­gono que­sto esa­spe­rato e tri­ste gio­va­ni­li­smo. Ma quello che lo stu­dioso argen­tino rifiuta è l’irrilevanza che tanto gli anziani che gli ado­le­scenti asse­gnano alla «tra­smis­sione» dell’esperienza accu­mu­lata. Se per i gio­vani ciò è com­pren­si­bile, la rinun­cia a que­sta fun­zione degli anziani è cata­stro­fica per l’insieme della società. Né Bena­sa­yag, né Maz­zeo fanno pro­pria la cam­pa­gna con­tro i gio­vani che in molti paesi euro­pei e negli Stati Uniti vede pro­ta­go­ni­sti espo­nenti poli­tici, comi­tati di geni­tori o «esperti» nel trat­teg­giare i gio­vani siano come una «classe peri­co­losa» da repri­mere per­ché attenta all’ordine sociale Sono tut­ta­via con­sa­pe­voli che la man­cata tra­smis­sione dell’esperienza tra gene­ra­zioni accen­tua com­por­ta­menti «devianti» tra gli ado­le­scenti. E che se qual­che respon­sa­bi­lità di que­sta situa­zione va cer­cata è da tro­vare pro­prio nel «gio­va­ni­li­smo» esa­spe­rato degli anziani. A ognuno il suo ruolo, sosten­gono i due autori. Gli anziani sono forti della loro espe­rienza. Hanno una per­ce­zione del tempo e del dive­nire della realtà meno rap­so­dica, sin­co­pata di quanto può invece per­ce­pire un gio­vane. Due moda­lità dif­fe­renti del vivere in società entrambi legit­timi. Entrambi sono però con­dan­nati a vivere in un eterno presente.

Ci sono pas­saggi molti belli in que­sto ser­rato dia­logo. Come quando Bena­sa­yag segnala le dif­fi­coltà dei gio­vani a tro­vare il loro posto in società a causa del «gio­va­ni­li­smo» degli anziani. Oppure quando Maz­zeo segnala la sof­fe­renza pro­vo­cata da una società che ammicca all’esasperato con­sumo dei gio­vani, met­tendo con­tem­po­ra­nea­mente in campo poli­ti­che sociali che con­si­de­rano una quota della popo­la­zioni degli «scarti umani» da get­tare nelle disca­ri­che sociali che costel­lano le metro­poli contemporanee.

Bena­sa­yag lam­bi­sce anche il tema di come le tec­no­lo­gie modi­fi­cano la capa­cità comu­ni­ca­tiva e l’apprendimento tanto nei gio­vani che nei «vec­chi». La mani­fe­sta­zione di alcuni disturbi — il defi­cit di atten­zione, la per­dita di memo­ria, la dif­fi­coltà di appren­dere com­pe­tenze scien­ti­fi­che — deri­vanti dalla per­va­si­vità delle tec­no­lo­gie –com­pu­ter smart­phone, ma anche la tv — sono affron­tati da schiere di esperti che scen­dono in campo solo per «medi­ca­liz­zare» la realtà sociale. Le due con­di­zioni bio­lo­gi­che, l’anzianità e il suo con­tral­tare, l’adolescenza, sono affron­tati da come espres­sione del rigetto, meglio della rimo­zione della morte, anch’essa mani­fe­sta­zione di un ine­lu­di­bile approdo bio­lo­gico. Ma che nel fare que­sto, quella stessa società che ha paura della morte ali­menta un per­va­sivo e distrut­tivo sen­ti­mento mor­ti­fero nelle rela­zioni sociali.

http://ilmanifesto.info/i-forzati-di-un-eterno-presente/

http://www.dirittiglobali.it/2015/02/forzati-di-un-eterno-presente/

LA CITTÀ DEI BAMBINI NELLA MENTE DEGLI ADULTI': IL CORSO CHE ABBATTE GLI STEREOTIPI 
di Manuela Campitalli, ilfattoquotidiano.it, 4 febbraio 2015

Che tinte ha la città dei bambini nella mente degli adulti? Quali sfumature, quali ostacoli ma soprattutto, è una città accogliente, differente o indifferente? Fatta di integrazionepregiudizistereotipi? Ce lo siamo mai chiesto in che modo noi “grandi” disegniamo nella nostra testa lo spazio vissuto dai più “piccoli”? Sono questi i presupposti da cui Zeroviolenza Onlus prende le mosse per realizzare, anche quest’anno, il corso La città dei Bambini nella mente degli Adulti. Differenze e integrazione. Un progetto rivolto ai genitori e agli insegnanti delle scuole materne, elementari e medie, che pone al centro i ragazzi o meglio “la buona crescita come prevenzione alla violenza e come riconoscimento della differenza nello scambio con l’altro”, afferma Monica Pepe, presidente di Zeroviolenza Onlus. Il corso, che partirà domani 5 febbraio, sarà realizzato in quattro istituti comprensivi delle periferie romane: Alberto Manzi al Pigneto,Laparelli a Tor Pignattara, Rita Levi Montalcini al Tuscolano e all’istituto Poseidone a Torre Angela e verrà svolto nell’ambito del Progetto Gli Adulti imparano, gli adulti insegnano la relazione tra generi e generazioni differenti. Realizzato con il contributo della Regione Lazio, vede docenti di eccellenza quali Geni Valle e Simona Di Segni, psicoanaliste dell’A.i.ps.i. (Associazione Italiana di Psicoanalisi), e la scrittrice e giornalista Loredana Lipperini.

Cinque in tutti gli incontri per ogni scuola: “I primi 4 – afferma Monica Pepe -affronteranno il ruolo e le difficoltà dell’ambiente familiare e scolastico nello sviluppo dell’individuo. Si parlerà del processo di costruzione dell’identità di genere, della relazione tra uomini e donne e tra generazioni differenti, del passaggio dalla fisiologica dipendenza del bambino alla sua indipendenza. Il 5° incontro si occuperà dei processi di costruzione degli stereotipi di genere, facendo luce sui meccanismi di precocizzazione della identità di genere di bambine e bambini. Si passerà dal mondo della pubblicità alla televisione, dall’editoria ai social network,  mostrandone insidie e potenzialità. “Con questo corso – afferma Geni Valle psicoanalista dell’A.i.ps.i. – non vogliamo fornire risposte già confezionate ai dubbi e alle domande di genitori ed educatori, ma stimolare la consapevolezza nella ricerca delle proprie soluzioni ai problemi che accompagnano il compito educativo. L’intento quindi è quello di avviare una riflessionecritica per la decostruzione degli stereotipi più comuni, avvicinandoci in questo modo al significato più autentico dell’identità e dell’appartenenza a un genere. Al centro - conclude Geni Valle - sarà la crescita dell’individuo, nel suo districarsi all’interno delle relazioni più significative: famiglia, scuola, gruppo dei pari”. “L’idea di portare certe tematiche in ambiente scolastico – afferma Monica Pepe – nasce dalla necessità di diffondere una cultura della coppia genitoriale. Questo perché la prevenzione della violenza sta nella capacità dei genitori di creare le condizioni per la buona crescita del bambino o della bambina, che sarà poi capace di riconoscere la differenza come ricchezza nello scambio con l’altro”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/04/la-citta-dei-bambini-nella-mente-degli-adulti-il-corso-che-abbatte-gli-stereotipi/1395646/

PADRE, FIGLIO, RENZI 
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 4 febbraio 2015

Cosa muove Matteo Renzi? Azzardo: un incessante desiderio di realtà. Personaggio in movimento, Renzi sfugge alle facili catalogazioni e ama sorprendere, e sorprendersi; più che calcolate al tavolino della strategia politica le sue mosse paiono frutto di quell’“estro quotidiano” caro a Raffaele La Capria. Sempre piuttosto sospettoso nei confronti della figura paterna, lo psicoanalista Massimo Recalcati sostiene che per sua e nostra fortuna Renzi è un figlio e un fratello. Rassicurante? Per niente, se davvero lo fosse ci sarebbe da temere; le figure del figlio e del fratello in politica hanno sempre comportato dinamiche fratricide e parricide. Ma quale figlio! Renzi è uno che studia da Padre, e chi studia da Padre già è Padre.

Intervistandolo tempo fa, Gad Lerner chiese a Recalcati se certi atteggiamenti di Renzi, sbarazzini e ridanciani, non rievocassero il detestato Cavaliere. Una domanda maliziosa: Lerner non è convinto della natura di Renzi, della sua lontananza dal Cavaliere, e che a Massimo Recalcati, la nuova colonna pensante di Repubblica, Renzi piaccia, non va giù. Recalcati si affretta a rassicurarlo: il Cavaliere e Renzi sono agli antipodi, il primo è un papà “perverso e incestuoso”, l’altro un padre di famiglia con tre figli e va in chiesa. Sì, ma tutto quel riso? insiste il diabolico Lerner, da dove viene? Dall’attuale corrosione dei riti e della solennità, si affretta a precisare Recalcati, “e dall’evoluzione della specie”. Evoluzione della specie? Ma va là! Un uomo solo in questi ultimi vent’anni ha danzato sulle braci della morale e della politica, e sappiamo tutti chi è.

Penso che Renzi non vada analizzato per quel che è, o si crede egli sia, ma per quel che fa, e quel che fa chiama in causa Niccolò Machiavelli. Dal suo geniale conterraneo Matteo Renzi giorno dopo giorno apprende l’arte della politica; del beniamino del grande fiorentino, Cesare Borgia, su di sé rimodella e tempera l’audacia: non più il condottiero sanguinario ed eccessivo che finisce male i suoi giorni ma pur sempre un uomo d’azione. L’elezione del presidente della Repubblica con folgorante colpo di pugnale è una ferita sulle robuste spalle del Cavaliere che, da uomo forte ne è in cuor suo ammirato. Una seconda pugnalata Renzi l’assesta al più indifeso ma tenace Alfano. Senza alcuna pietà il Valentino lo invita a leccarsi le ferite, con una crudeltà che ci lascia sbigottiti e pieni di speranza: questo è il decisionismo, basta coi salamelecchi e i papocchi; l’abbiamo chiesto tanto e ora facciamo mostra di spaventarci? Smetta l’offeso di lamentarsi e “lecchi le sue ferite”, ne trarrà un insegnamento al limite del godimento.

Sul capo di Renzi pende una profezia sartoriana. Come Achille ha il piè veloce, troppo impetuoso il suo tallone sarà infilzato. Per governare l’Italia occorrono prudenza e ponderatezza, l’antica gravitas, i passi che pesanti risuonano nel Palazzo. Balle. Renzi sa che l’Italia esce da un tempo eterno; sa che la lotta di religione tra spagnoli e protestanti, ovvero tra il Cavaliere e De Benedetti alleato coi moralisti, ha provocato uno stallo fatale; sa che, come più volte nei secoli diede modo ai francesi di saccheggiarci, così oggi ha permesso ai lanzichenecchi di ridurci a vassalli. Contrariamente a quel che dice Sartori, che pensa Renzi un centometrista dal fiato corto, c’è da credere che proprio la velocità sia la sua arma migliore, le ali di Mercurio, un altro machiavellico che faceva della rapidità la sua forza. Mercurio, mercator, il protettore dei mercanti e del mercato. Attenzione, però, Renzi è veloce ma anche accorto: ben sapendo quanto la hybris può condurre alla perdizione e alla farsa dei servizi sociali, con mossa saggia ha eletto presidente della Repubblica un uomo che può fermarlo prima che commetta qualche sciocchezza: “Abbiamo scelto Mattarella perché saprà tirarci le orecchie quando sbaglieremo” ha detto la sua altrettanto veloce ministra, Maria Elena Boschi. Renzi è consapevole della propria fretta, dell’ansia di rinnovamento che per una svista può perderlo; il gesto di Renzi che si autotutela e tutela gli italiani da un’eventuale smania di potere ricorda quello del Triumphator cui lo schiavo sul carro sussurrava: “Hominem te memento”.  Nessuno nasce perfetto, né lo diventa, l’importante è prenderne atto.

http://www.ilfoglio.it/articoli/vr/125258/rubriche/padre-figlio-renzi.htm

LO PSICOANALISTA BOLOGNINI E I PARADOSSI DELLA CRISI: “LA MANCANZA DI DISTRAZIONI SPINGE A FARE PIÙ FIGLI” 

di Valerio Varesi, bologna.repubblica.it, 5 febbraio 2015

C’è la crisi, meno soldi per le famiglie, meno servizi per le mamme, ma malgrado tutto ciò si fanno più figli. Era dal ’77 che non ne nascevano così tanti. “Non credo che possa essere l’effetto degli 80 euro di Renzi”, scherza Stefano Bolognini, presidente dell’Associazione psicoanalitica internazionale fondata nel 1910 da Sigmund Freud.

Se non c’è una spiegazione logica a cos’è dovuta questa ripresa demografica?
“Forse c’è allora una spiegazione psicologica, vale a dire molto più profonda e intima. Appare paradossale che la crisi provochi la voglia di far figli, ma nella società è immanente un’oscillazione tra istinti di vita e istinti di morte. Probabilmente in questo frangente si è rinvigorito il primo proprio come reazione alla crisi”.

Per continuare:

http://bologna.repubblica.it/cronaca/2015/02/05/news/lo_psicoanalista_bolognini_e_i_paradossi_della_crisi_la_mancanza_di_distrazioni_spinge_a_fare_pi_figli-106634050/

 

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