Riflessioni (in)attuali
Uno sguardo psicoanalitico sulla vita comune
di Sarantis Thanopulos

L’oscuro oggetto del desiderio e l’analista

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2 novembre, 2015 - 11:06
di Sarantis Thanopulos

Può l’analista gestire il proprio lavoro senza mai sentirsi toccato nel suo modo più personale di essere e entrare in crisi?
La domanda è stata posta al “Colloquio” organizzato il weekend scorso dal Centro di Psicoanalisi di Palermo e avente come tema il “controtransfert”.
Il controtransfert è la reazione dell’analista al “ transfert” del paziente.
Il transfert è la tendenza universale a trasferire nelle relazioni significative della vita aspetti conflittuali rimossi della propria infanzia nella speranza che possano essere risolti.
Anche il controtransfert ha carattere universale: ci relazioniamo con le persone a cui siamo affettivamente legate, accettando, inconsciamente, di abitare, in parte, la scena della loro storia obliata.  
L’analisi è impostata in modo da facilitare lo sviluppo di entrambe le correnti, che sono fatte della stessa materia del sogno, il luogo in cui i vissuti rimossi tornano alla vita.
Attraverso la comprensione del posto che inconsciamente occupa, di volta in volta, nella storia del paziente, che torna al presente, l’analista può accedere alla natura più profonda della domanda che gli è rivolta.
Ciò gli consente anche la riparazione delle aree di una propria cecità nei confronti della relazione, l’elaborazione della riluttanza ad affrontare questioni che attivano i propri conflitti inconsci.
L’analista è impegnato in modo più diretto quando incontra il paziente a partire dal proprio desiderio e mette in discussione il proprio modo di essere nel mondo. L’analisi riceve dalla madre del paziente in eredità il modo in cui lei l’ha accolto. La madre accoglie il bambino in due modi opposti.
Per certi aspetti proietta su di lui parti irrisolte di sé e, affidandogli un ruolo messianico, rimanda al futuro, in modo consolatorio, l’incontro con l’inconsueto.
Nella direzione opposta, il nuovo arrivato attiva in lei il desiderio di rimettersi in gioco, accettando le perturbazioni necessarie di cui è foriero il cambiamento.
Più la madre (sostenuta dal padre) riesce a mantenersi nella seconda prospettiva, più il bambino è vivo e desiderabile e la madre gode della riapertura dei propri confini con la vita.
L’analista deve farsi carico di situazioni in cui la madre non è riuscita a far sentire il figlio pienamente autorizzato a essere vivo per conto suo.
Nelle condizioni più drammatiche il paziente lotta per evadere dalla prigionia di uno sguardo esterno alla sua soggettività, che ha preconfezionato la sua posizione nel mondo. Non può farlo se non destabilizza l’assetto dell’analista, obbligandolo a uscire dal suo centro di gravità, a esporsi, rischiare.
L’analista è in difficoltà: la persona che cura si è posta fuori dall’obnubilamento della propria esistenza e non vuole essere interpretata, ma vista come se fosse arrivata al mondo per la prima volta. La domanda del paziente, inevitabilmente contraddittoria e confusa, disorienta.
L’analista rischia una crisi perturbante d’identità, la confusione dei propri interessi con quelli dell’altro (il caso di Jung con la Spielrein).
Tuttavia, questa è per lui l’opportunità di andare oltre la paura che oscura il nostro oggetto di desiderio, al punto di fare dell’oscurità la cosa desiderata.
Scoprire che l’irriducibile differenza dell’altro, percepita come minaccia di destabilizzazione della propria identità (il fondamento della paura), è per costui l’unica possibilità di sentirsi vivo.
Chi è veramente vivo non ci minaccia, il pericolo viene dalla non vita che invade la vita. Liberare la vita dalla morte, attraversando una crisi delle proprie vedute, è la vocazione di fondo dell’analista.

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Commenti

La questione del ‘desiderio dell’analista’ è la pietra miliare che accompagna, anno dopo anno, la formazione dell’analista, da quando neo laureato si iscrive ad un qualche corso di formazione post universitaria, sino al momento in cui entra in contatto con alcune delle scuole analitiche che operano su scala nazionale. Cosa ti motiva? Quale il motore del desiderio? Quale momento della tua vita ha generato l’idea di porsi come pietra di scarto, all’ascolto dell’altro? Questa una brevissima sintesi della costante domanda che molti ti fanno, che tu stesso ti poni, quando inizi questo percorso. Perché?
Terminato il percorso, aperta la porta agli analizzanti con il corredo della tua analisi personale e dei controlli periodici sui casi, si comincia.
Ma, e te ne accorgi solo allora, la domanda da fare era piuttosto: perché no?
Poche cose ho visto e provato essere pericolose come il controtransfert, vera pietra di misura di un desiderio davvero temperato.
Perché desiderare di fare l’analista , non basta. Bisogna, o almeno bisognerebbe, dare prova a chi di dovere di aver fatto luce in tutte quelle ‘aree grige’, quei ‘giacimenti di carbone’ che altrimenti, messi in tensione con un analizzante che li tocca nel vivo, corrono il rischio di riaccendersi come il Vesuvio, eruttare e travolgere tutto. Il desiderio non basta. J.A. Miller , come ho scritto su queste pagine, mette in guardia sull’uso e sul controllo del controtransfert quando dice: ‘’se si trascurasse quell’angolo dell’inconscio dell’analista, ne risulterebbero delle vere e proprie zone cieche, da cui conseguirebbero eventualmente nella pratica fatti più o meno gravi e incresciosi: misconoscimento, intervento mancato o inopportuno, o persino errore”.
Già, e qua ecco al questione cruciale: chi controlla chi?
Il fenomeno Verdiglione è lontano, ma nemmeno poi tanto. Come scrissi, chi va su un lettino oggi, non ha precise garanzie di terzietà, di protezione da errori. Non solo non ha alcuna prova che il suo analista abbia dato testimonianza del proprio desiderio. Ma anche non ha alcun riparo se si trova innanzi qualcuno che dirige l’analisi obbedendo a questioni personali. Nel campo della psicoanalisi, se una cura si inceppa o deraglia, purtroppo, non esiste luogo nel quale portare le proprie rimostranze. Un analista che commette errori, magari distratto da altre cose, o semplicemente con un lavoro su se stesso stagnante, o assente, espone il paziente a rischi talora altissimi.
Io so cosa significhi avere a che fare con le bordate contransferali non regolate, con l’incapacità di tenere la posizione di analista. Con desiderio di latta. La fuga.
All’interno della comunità analitica, questo è un problema assai sentito, visto il continuo fiorire di casi di analisi malandate, malcondotte quando non invalidanti.
Chi controlla il desiderio di un analista, ora che basta fondare un associazione analitica e fregiarsi del titolo di analista? Chi controlla la formazione di chi? Chi vaglia questo desiderio?


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