I Peter Pan della globalizzazione
Dall'adolescenza all'età adulta oggi, nell'epoca del precariato e della globalizzazione
di Leonardo (Dino) Angelini

Fermate questo evento, voglio scendere! Qualche nota sulla fruizione coatta

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12 maggio, 2016 - 20:13
di Leonardo (Dino) Angelini
1. A Reggio Emilia – città in cui vivo da oltre quarant’anni - c’è un luogo - il Campovolo (scritto così: tutt’uno) – che ormai è diventato il luogo degli eventi per antonomasia. In molti ricorderanno la foto che ritrae quel Berlinguer, leggerissimo e divertito, tenuto in braccio da Benigni di fronte ad una moltitudine di persone plaudenti. Ebbene quella foto fu scattata al Campovolo, che già a quel tempo era diventato il luogo reggiano degli eventi. Il luogo in cui ogni anno già da tempo si teneva, e anche dopo continuò a tenersi la festa laica dell’Unità.
Da un po’ di tempo in quello stesso luogo si tengono dei grandi eventi musicali destinati, a prima vista, solo a coloro che decidono di volerne fruire; in effetti a tutti, per via dei livelli megagalattici di decibel con cui viene diffusa la musica e per il vero e proprio sequestro della città che deriva dall’arrivo di decine di migliaia di aficionados, che ingombrano lo spazio urbano e lo sottraggono letteralmente ad ogni altro uso.
 
2. Completo questa introduzione alla mia riflessione , da una parte parlando del luogo delle mie origini: la Murgia dei trulli, dove ogni anno ‘da sempre’ continuano a tenersi le cosiddette feste padronali: eventi religiosi che comprendono tutta la cittadinanza, e che costituiscono un importante elemento identitario anche per quei cittadini che, come me, non sono credenti. E, dall'altra,  ragionando sulla mia appartenenza generazionale, che è quella del Sessantotto, che a mio avviso rappresenta (anche) un importante punto di svolta sul piano della immaginazione e della organizzazione degli eventi.
E faccio questa premessa innanzitutto perché mi rendo conto del fatto che quello che sto per dire è sicuramente influenzato da questi, così come da altri elementi personali che emergeranno mano a mano che procedo nel mio ragionamento. E poi per porre in evidenza la parzialità del mio punto di vista sul fenomeno.
 
3. Ribadisco quindi: oggi a Reggio, ma un po’ dappertutto va diffondendosi un certo tipo di evento che è caratterizzato dalla diffusione dei propri contenuti ben al di là del perimetro che circoscrive il luogo dell’evento, e spesso dalla alterazione del ritmo sonno – veglia anche di coloro che hanno deciso di non essere fruitori dell’evento.
Per il medesimo evento si determinano in questo modo due ‘pubblici’: quello di coloro che hanno deciso di disporsi sul piano della fruizione; e quello che comprende coloro hanno deciso per vari motivi di non fruirne.
 
4. Mi sono sempre chiesto se gli organizzatori di questi eventi siano consapevoli di questa coazione alla fruizione, che in determinate circostanze può comprendere una parte considerevole della comunità limitrofa all’evento, che solo per questa vicinanza si ritrova costretta a parteciparvi.
Assolutamente no, pensavo fino a poco tempo fa; ma poi la iterazione, per imitazione, di questa ostentata propensione all’intrusività nello spazio privato del sé da parte di gruppi (associazioni varie) o di singoli (bar, luoghi di ritrovo) che si dispongono in ogni dove ed in ogni tempo alla fruizione di un evento senza alcuna considerazione per i gusti degli altri, mi ha fatto ripensare al tutto in termini più attenti e critici.
 
5. Le ipotesi che vado maturando sono le seguenti: intuitivamente gli organizzatori di questi eventi ricercano un coinvolgimento che travalica l’universo circoscritto di coloro che si dispongono alla fruizione ‘spontanea’[1] e si estende fino alla pretesa di  comprendere anche coloro che non desiderano affatto parteciparvi; questa modalità basata sulla fruizione coatta è diventata un modello che innesca comportamenti imitativi, connotati da una identica propensione alla induzione di una fruizione coatta, che però viene vissuta come un segno di distinzione e di raffinata competenza, quando non come un dono fatto alla comunità.
 
6. Gli antenati più remoti di questi eventi nel mio ricordo sono le feste che comprendevano tutta la comunità, s’intrecciavano con le feste civili e nella loro circolarità costituivano quel calendario religioso e civile che punteggiava il lavoro contadino e artigianale.
Le caratteristiche principali di queste feste erano da una parte la spontanea e massiccia adesione ad esse di tutta la comunità, che anzi definiva gli stessi tempi e gli stessi ritmi di lavoro intorno a questo succedersi di eventi secondo un vero e proprio crescendo, che diventava via via più spasmodico mano a mano che la festa si avvicinava. Dall’altra il fatto che, come dicono i demologi, questi eventi si tenevano solo quando “venivano a cadenza”.
Il coinvolgimento a questo tipo di feste era così massivo e spontaneo che anche un lutto, o un qualche altro grave evento personale o familiare, erano subordinati, anche se non elisi dalle esigenze della festa.
 

7. A fianco a questo tipo di festa a partire dal secondo dopoguerra il PCI togliattiano, ormai diventato partito di massa, ne istituisce un’altra: la festa dell’Unità. Che, come le feste del calendario religioso, deve venire a cadenza: cioè non può avvenire al di fuori di un calendario definito, che muove dalle stesse preoccupazioni identitarie. Anche se l’area a cui si rivolgono non comprende l’intera cittadinanza, ma solo iscritti e simpatizzanti, chiamati a ribadire la propria appartenenza a quella che specie all’inizio era una vera e propria controsocietà, che aveva propri miti e propri riti separati.
Cosicché il teatro di questa nuova festa non può essere la città, anche quando questa, come accade in Emilia, è maggioritariamente rossa. Ma un luogo separato, anche se spesso allusivo, proprio come accadeva per il Primo Maggio nella tradizione socialista.
 
8. La generazione del Sessantotto, a partire da Woodstock e dall’Isola di Wight, poi iterati per ogni dove e con lo stesso spirito anche in Italia (Licola!), s’inventa una nuova festa, nuovi grandi eventi, che sono volti a sostenere e ad esaltare una nuova identità gruppale di massa: quella dei giovani. Questi nuovi luoghi presentano dei punti di continuità, ma anche alcuni decisivi punti di discontinuità con il tipo di eventi precedenti.
Sul piano della continuità c’è innanzitutto la loro collocazione in luoghi separati e distanti, quasi a volere significare una cesura, che sul piano identitario ora, più che con la città, avviene con la comunità degli adulti.
Sul piano della discontinuità c’è l’abbandono di ogni riferimento di tipo calendariale, di ogni inserimento in cadenze laiche o religiose.
 
9. Ma, oltre a questo già importante elemento di discontinuità, c’è un altro elemento, a cui solitamente non si fa caso; un elemento che comincia nascere intorno a questi eventi, si presenta originariamente in forma subdola, ma insieme al primo è destinato a pesare sempre sui grandi eventi di oggi: il rapporto fra questo tipo di eventi ed il consumismo.
Sono dapprima le case discografiche, l’industria delle confezioni e tutto l’indotto che gira intorno a questi eventi, e a questi nuovi divi che si esibiscono in essi come protagonisti che si pongono al timone, e a poco a poco diventano sempre più pervasivi e capaci di imporre i loro gusti a questa comunità che ora in certi momenti sembra imporsi come ‘classe’, quasi che aderendo a questi riti e a questi gusti si immunizzasse contro le ingiurie del tempo.
 
10. Si determina così una specie di gara a rimpiattino che vede da una parte comunità di giovani che sono alla ricerca di eventi autentici, dall’altra i persuasori occulti che operano nel mercato rivolto ai giovani cercando di colonizzarli con il miraggio che deriva dall’aura di autenticità che l’evento ed i suoi protagonisti originariamente hanno: di occupare e colonizzare l’Isola che non c’è attraendola di soppiatto nell’area consumistica.
E in questo modo quel luogo liminale, che fino agli anni ’70 era l’adolescenza, viene continuamente minacciato nella sua autenticità spingendo – spesso drammaticamente - i giovani, ma anche gli artisti più in cerca di messaggi autentici[2] a sottrarsi all’assedio ed a ricercare nuovi elementi capaci di nutrire la loro crescita.
La velocità di penetrazione e di colonizzazione possono essere individuate se si fa caso al rapido rincorrersi delle mode, e all’altrettanto rapido tentativo di sottrazione ad esse che si susseguono senza tregua nelle varie periferie metropolitane: un vero e proprio gioco a rimpiattino che nella vecchia Isola che non c’è, cioè nei vecchi luoghi dell’adolescenza, semplicemente non esisteva.


 
11. Negli ultimi tempi assistiamo ad un ulteriore riposizionamento di tutti gli attori presenti sulla scena. Compresi – come cercavo di dire all’inizio – coloro che, almeno in certe circostanze, non ne avrebbero alcuna voglia. Si tratta di un cambiamento sistemico all’interno del quale ogni attore contemporaneamente influenza gli altri ed è da essi influenzato.
Cerco di elencare qui quelli che a me paiono come i principali punti di torsione e di ridefinizione del sistema, ben sapendo che ognuno di essi meriterebbe un’attenzione più circostanziata:
 
12. Innanzitutto l’espansione del campo della gioventù, che oggi va ben al di là dell’area della post-adolescenza; comprende, attraverso vari artifici, praticamente tutte le età successive, e finanche quelle precedenti; e tende a cancellare tutte le tracce che rappresentino le altre età.
 
13. E, in stretto e biunivoco rapporto con essa, la formazione di un apparato consumistico che non solo continua a giocare a rimpiattino con questo dilatato mondo ‘giovanile’, ma opera attivamente per venire incontro ad ogni esigenza di camuffamento, di ringiovanimento, di violenza più o meno definitiva sui corpi, tesa a estendere l’area della colonizzazione dei corpi e delle menti.
 
14. L’uso dei nuovi idoli come testimoni di questa età senza tempo attraverso la loro perpetua riproposizione come giovani e come rappresentanti dei giovani, anche qui contro ogni ingiuria del tempo ed in base ad esigenze farlocche, che rendano ciascuno di essi ”arbiter elegatiarum” di una determinata subcultura giovanilistica.
 
15. La diffusione di questa nuova formula di auto-rappresentazione giovanilistica, indotta dai nuovi idoli, a tutti gli altri opinion maker, compresi quelli della politica, come è possibile riscontrare anche in molti aspetti della politica attuale, ed in special modo nello storytelling renziano. Il che fa si che questo modello si diffonda in ogni ambito della vita quotidiana che, attraverso l’assimilazione dei frutti tossici insiti in questo tipo di fruizione, risulta totalmente conformata al consumismo.
 
16. Per cui ritornando alle mie ipotesi iniziali direi che, più che l'intuito, ciò che muove gli organizzatori di questi eventi ad un coinvolgimento che travalica l’universo circoscritto di coloro che si dispongono alla fruizione ‘spontanea’ e che abbraccia totalitariamente tutti, sia quella propensione all’eccesso ed alla tracotanza che deriva loro dal fatto che la diffusione del loro modello di comunicazione ormai appare come vincente, grazie alla sua diffusione endemica, e soprattutto alla sua capacità di autoriprodursi in ogni dove.
Se questo modello di vita piace a tutti – essi pensano istintivamente - non si vede perché qualcuno dovrebbe sentirsi autorizzato a sottrarsi alla sua influenza. Soprattutto se questo autoinganno sembra avere la forza di vincere la senescenza a la morte, e di propagare il fluido magico dell’eterna giovinezza.
 
17. Infine, fra le conseguenze più evidenti di questa nuova modalità di fruizione vi è la sua iterazione e la sua replica ad libitum, che sostituisce quel ‘venire a cadenza’ tipico dei vecchi modi di introdursi alla festa e all’evento.
E la cancellazione del calendario che ne deriva, cioè di una delle più caratteristiche modalità circolari di marcamento del tempo, rappresenta visivamente la collocazione fuori del tempo di questa ultima forma di evento. Direi della sua pretesa all’immortalità. Pretesa così sfacciata e nello stesso tempo così foriera di autoinganno da impedire al pubblico, ed agli stessi nuovi divi che si esibiscono di fronte ad esso, di vedere ciò che altrimenti saprebbe evidente: che – hai voglia a nasconderle! - le ingiurie del tempo sono evidenti sui loro volti e nei loro corpi.
 
18. Una nota finale sul rapporto fra questo tipo di festa e quelle precedenti: come avviene per i  grandi sistemi di stabilizzazione del mondo, il prevalere di questo tracotante modello di festa non implica affatto la scomparsa di quelli precedenti. Anzi può accadere che nello stesso territorio, o anche nello stesso soggetto, si assista alla compresenza di più modelli di festa ed alla conseguente capacità di fruire dell’uno o dell’altro modello a seconda delle diverse esigenze che insorgono sul piano dell'appartenenza.
Ognuno dei quali si rivela utile a sentirsi parte di un ‘tutto’ che può variare, a seconda della necessità. Parte di un idem – direbbe Napolitani – che dialoghi con il nostro autos .... ma non fino ad estinguerlo! aggiungo io. Altrimenti mi pare sacrosanto gridare: “fermate l’evento! voglio scendere!”


[1] vedremo poi che anche questa fruizione oggi non  è così spontanea, ma indotta
[2] basta pensare agli innumerevoli casi di suicidio fra di loro in quegli anni per rendersene conto!


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