IL SOGGETTO COLLETTIVO
Il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale
di Antonello Sciacchitano

Sul sembiante matematico in psicanalisi

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5 agosto, 2021 - 11:08
di Antonello Sciacchitano

Una teoria molto generale

I matemi che ricorrono nella teoria psicanalitica di Lacan non formano un briciolo di matematica. Non lo dico per polemica; semplicemente noto che tra essi non c’è l’ombra di un teorema; manca un enunciato del tipo: se a allora b. I matemi lacaniani hanno solo il sembiante della matematica. Sembrano matematici, ma in realtà sono solo artifici mnemotecnici: formule per condensare la teoria in pillole da far inghiottire senza errori agli allievi, che devono risputarle tali e quali nella pratica clinica. Lacan fu un maestro, non un ricercatore. Aveva a cuore la trasmissione della teoria più della teoria stessa. Gli allievi furono il suo sintomo; incarnarono il sintomo dell’ortodossia del maestro; il risultato fu che il medesimo sintomo fu trasferito agli allievi. Io sono un allievo malriuscito: l’ortodossia mi interessa poco; alla giustezza della verità preferisco la duttilità del sapere; ad esempio, di un sistema di equazioni mi interessa meno sapere la soluzione che dimostrare se ha soluzioni equivalenti in sistemi matematici differenti.

Non sto dicendo che la teoria di Lacan non sia potenzialmente matematica; lo è come ogni teoria degna di questo nome. Matematizzare Lacan, in generale la teoria psicanalitica, è il mio passatempo preferito. Qui accenno alla possibilità di sfruttare la freccia --> come segno di funzione (che consente di passare dall’oggetto a all’oggetto b), per sondare, senza esaurire, alcune possibilità di matematizzare il lacanismo. Esempio paradigmatico è la freccia che stabilisce il passaggio dal significante S1 al significante S2S1 --> S2, secondo l’arcinota “formula”: il significante rappresenta il soggetto per un altro significante. Le formule non sono peculiari della matematica; in ogni teoria rappresentano momenti di condensazione della verità nel sapere; come tali vanno apprezzate.

Il potenziale matematico della teoria lacaniana del significante dipende dal presupposto di base, che la estrania dalla classe delle teorie umanistiche. L’assioma del lacanismo è che tra significante e significato non esiste rapporto. Il significato non conferisce senso al significante, come pretenderebbe qualche benpensante; tra i significanti dell’inconscio esistono solo rapporti astratti, cioè formali, da indicare appunto con frecce --> dal significante di partenza a quello di arrivo. Insomma, le frecce inaugurano la malfamata astrazione.

La teoria delle frecce, detta teoria delle categorie, è la teoria matematica astratta delle funzioni; essa annovera le teorie matematiche in base a due assiomi sintattici molto generali:

a) per ogni oggetto esiste la funzione identica, che applica l’oggetto a sé stesso;
b) le funzioni si compongono tra di loro in base alla legge associativa, cioè
a(bc) = (ab)c = abc.

La composizione delle funzioni avviene applicandole in successione. La composizione delle funzioni f tra gli oggetti b e tra gli oggetti b e c avviene applicando prima f e poi g per dare la funzione h = gf tra a e c. Il fatto si schematizza nel seguente diagramma, detto commutativo, tra gli oggetti abc:
 

a --> b
  |
    c

 

a f b
  gf g
    c

 
Con tali diagrammi si rappresentano le operazioni insiemistiche di complementazione, inclusione, intersezione e unione tra insiemi, corrispondenti alle operazioni logiche di negazione, implicazione, congiunzione e alternativa tra enunciati, senza utilizzare la nozione di appartenenza – ecco l’astrazione – ma solo sfruttando le funzioni tra oggetti. Per esempio, l’appartenenza di un elemento a un insieme a si traduce nella funzione che applica quell’elemento all’oggetto a: 1-->a. L’astuzia di rappresentare gli insiemi come funzioni binarie, a valori 0 o 1, risale alla tesi di laurea di John von Neumann del 1925.[1] A un secolo di distanza vale la pena tenerne conto anche tra non addetti. Tali funzioni sono funzioni caratteristiche: assegnano il valore 1 all’elemento che appartiene all’insieme e 0 all’elemento che non appartiene.

Le corrispondenti categorie, dette topoi, generalizzano la teoria degli insiemi e offrono la semantica per la logica intuizionista. In tale logica i concetti si costruiscono solo dall’interno di sé stessi; non si definisce il concetto a partire dal complementare, cioè in base a ciò che non rientra nel concetto, la sua negazione. Perciò in logica intuizionista non vale il principio del terzo escluso: la proposizione A vel non A non è sempre vera. Il prezzo da pagare per tale generalizzazione è che i risultati – i teoremi – valgono a meno isomorfismi, cioè valgono per tutte le funzioni che hanno funzione inversa a destra e a sinistra.

Mi soffermo un attimo su un chiaro esempio di topos dove non vale il principio del terzo escluso; intendo Set2, il topos degli insiemi prodotto di insiemi, costituito dagli insiemi formati dalle coppie di elementi di due insiemi. Per esempio, il prodotto di A = {1,2,3} per B = {1,2} è in Set2 l’insieme

AxB = {(1,1), (1,2), (2,1), (2,2), (3,1), (3,2)},

distinto da BxA. I valori di verità per la variabile prodotto sono 00, 01, 10, 11, cioè (0,1,2,3) passando dalla notazione binaria a quella decimale. La negazione non Axdi AxA, ha valori di verità (3,0,0,0), in base all’algoritmo di Heyting:
 
0-->3,
1-->0,
2-->0,
3-->0.

I valori di verità dell’alternativa AxB vel non Axsi calcolano come massimi dei valori di verità diAxe non AxB, cioè

(0,1,2,3) v (3,0,0,0) = (3,1,2,3),

che non è una tautologia, non avendo come valori di verità solo il valore massimo, 3. Il non-teorema si estende da Set2 a Setn.

Sono categorie essenzialmente distinte la teoria degli insiemi, la teoria degli ordinamenti, la teoria dei monoidi, la teoria dei gruppi, la teoria degli anelli, la teoria delle topologie. Si dimostra il teorema di chiusura: la teoria delle categorie è una categoria nell’ambito delle funzioni che conservano le funzioni. Le categorie sono strutture simmetriche; infatti capovolgendo il senso delle frecce si ottiene ancora una categoria, la categoria opposta. Non aggiungo altro, perché tanto può bastare come prima colazione per stomaci deboli.

Venendo al lacanismo, un esempio di traduzione con frecce è il matema del cosiddetto discorso principale, con due significanti, S1 e S2, e due oggetti: il soggetto sbarrato $ e l’oggetto del desiderio a. Con l’algoritmo delle frecce il matema del discorso principale si può scrivere così:
 

S1 --> S2
|   |
$ --> A

 
Si tratta di una struttura tipica in teoria delle categorie, detta pullback. Nel caso indica una sorta d’“identità all’indietro” nel senso che la funzione all'in giù può essere pensata come regressione rispetto a sé stessa, ripercorrendola all’indietro lungo la funzione ortogonale da sinistra a destra. Tramite i pullback si definiscono le funzioni di verità di negazione, congiunzione, disgiunzione e implicazione, quindi si costruisce la logica degli enunciati. Si ottiene un’algebra di Heyting, che estende l’algebra di Boole, valida per gli insiemi. La differenza tra le due algebre sta nella definizione della negazione attraverso la complementazione. Nell’algebra di Boole la negazione si fa complementando il corrispondente insieme. Nell’algebra di Heyting la negazione si fa per via di pseudo-complementazione, calcolando l’insieme più grande che, intersecato con l’insieme dato, dà l’insieme vuoto.

Mi credano i colleghi, la pseudo-complementazione di un insieme, che dà il più grande insieme disgiunto dall’insieme, ha molto a che fare con la negazione freudiana che non sempre nega, nel senso che non si dà in modo automatico ma è da calcolare come massimo tra tutti gli insiemi che non intersecano l’insieme dato. L’intuizionismo, che l’algebra di Heyting formalizza, è molto vicino alle idee metapsicologiche di Freud, senza usare concetti non topologici come interno ed esterno, introiezione e proiezione, pulsione di qui e pulsioni di là e altri concetti antropomorfi, come la libido, energia pulsionale maschile.

Nel discorso principale di Lacan il pullback indica che la relazione tra significante binario S2 (il significante del sapere) e l’oggetto del desiderio a può essere “tirata indietro” alla relazione tra significante unario S1 (il significante dell’essere) e il soggetto $. Detto più filosoficamente, il sapere dell’oggetto (S2 --> a) si retrotraduce nell’essere del soggetto (S1 --> $). Questo pullback formalizza il cogito cartesiano, che passa dal sapere all’essere, superando tutte le filosofie idealistiche che passano (o pretendono di passare) dall’essere al sapere. La psicanalisi non è un idealismo, perché è cartesiana, anche se Freud non lo sapeva. Il pensiero di Cartesio rimase inconscio per Freud.

Lascio al lettore il piacere di esercitarsi con le formule degli altri discorsi secondo Lacan, rispettivamente dell’isteria, dell’analista e dell’Università. Scoprirà, per esempio, che il discorso dell’analista, è l’inverso del discorso principale, perché inverte le frecce orizzontali; allora il soggetto dell’essere si retrotraduce nell’oggetto del sapere. Oggettivando l’oggetto del desiderio termina l’analisi del soggetto. Sono teoremi dell’umile pratica clinica, anche se sembrano astrusi filosofemi.

Insomma, basta poco per scoprire la matematica latente in un discorso, appena lo si formalizzi. Basta superare l’onnipresente resistenza al sapere, che ha il proprio vertice in un certo umanesimo, inteso come filosofia senza oggetto, cioè una vera e propria forma di non-pensiero. L’umanesimo esalta l’uomo ignorante, nel senso che resiste al sapere.

In proposito lancio un warning: diffidare delle filosofie che si presentano come teorie senza oggetto, tanto più pericolose quanto più esaltano il soggetto, elevandolo a livello trascendentale dietro quattro dita di empatia. La comparsa del significante “empatia” è segno di debolezza teorica; l’empatia cela il rapporto del soggetto con l’oggetto dietro l’intersoggettività. Da lasciare agli umanisti.
 
L’infinito

Il punto dolente del discorso matematico è proprio l’oggetto, che nel caso è l’infinito, l’oggetto per eccellenza, kat’exochén, ma “fuorcluso” prima dalla cultura classica e poi dall’umanistica, culture destinate con tale mossa a non progredire. Aristotele relegò l’infinito allo stato ontologico potenziale; disse che il matematico non lo usa. Non è così. Euclide fa un uso discreto ma preciso dell’infinito; usa la nozione molto moderna d’infinito come “sempre più grande”. Nella brillante dimostrazione dell’infinità dei numeri primi (Elementi, Libro IX, Prop. 20), dimostra che, data una serie finita di numeri primi, ovviamente dotata di massimo, è contraddittorio non ammettere un numero primo più grande.

Euclide regola la questione dell’infinito in due postulati iniziali (aitémata, “richieste”). La richiesta numero due chiede di potere “prolungare senza soluzione di continuità un [segmento di] retta in linea retta”. Postula l’uso del righello, con cui si può congiungere ogni punto con ogni altro punto dello spazio (prima richiesta). La richiesta numero cinque – il famoso quinto postulato – postula che, “qualora una retta incidente su due rette faccia due angoli minori di due retti gli angoli [coniugati] interni e dalla stessa parte, le due rette prolungate illimitatamente incidano dalla parte in cui sono gli angoli minori di due retti” (Elementi, Libro I, Richieste). Postula l’uso del compasso, formalizzato nella terza richiesta, che pretende tracciare un cerchio qualunque dovunque; lo ribadisce nella quarta richiesta, che presuppone l’uguaglianza di tutti gli angoli retti, necessaria al trasporto rigido delle figure nello spazio.[2]

Insomma, Euclide usa una forma di infinito che oggi si direbbe potenziale, nel senso che, dato un valore (finito), si può sempre costruire un valore più grande (ancora finito). Euclide, come tutto il mondo classico fino a Freud, non dispone della nozione moderna di variabile, quindi del concetto di valore, ma usa grandezza (méghethos), presupponendo l’unità di misura. Così anticipa il senso intuizionista di infinito, che ha una forte connotazione costruttivista, tanto da poterla usare nelle costruzioni psicanalitiche, rese più rigorose.

Il costruzionismo secondo Brouwer richiede una logica più debole della logica aristotelica; in particolare pretende una logica, come già detto, che non ammette in generale il principio del terzo escluso: A vel non A. Lo ammette solo nel caso in cui si può costruire effettivamente una costruzione o di A o di non A. Questa logica è molto vicina alla logica freudiana della negazione, che non nega a priori sempre e comunque, perché si può sempre trovare, prima o poi, uno stato epistemico in cui essa non vale. Si tratta di una logica che fa giocare il tempo, non in senso cronologico ma epistemico; è una logica del tempo di sapere, in pratica il tempo di calcolare il valore di verità della negazione non o dell’implicazione se A allora B.[3]

L’oggetto del desiderio è infinito in questo senso costruttivistico. Molta psicopatologia oggettuale deriva dall’infinitezza dell’oggetto, a prescindere da tutte le sottigliezze antropologiche, anche freudiane, che l’immaginario può costruirci sopra. Ne dico in breve qualcosa.

Il cibo è un infinito che non cessa di non darsi, se l’altro acconsente a darlo; la cacca è infinita nel senso che non cessa di non prodursi in modi quantitativamente diversi: dalla diarrea alla stitichezza. Uso di proposito la nozione lacaniana della modalità “impossibile” come ciò che non cessa di non scriversi. Lacan è ancora aristotelico nella misura in cui ritiene l’infinito impossibile. La metonimia, l’eterna concatenazione dell’identico – la solita zuppa dell’anoressia – non basta a esaurire il desiderio infinito. L’anoressia contesta in modo sintomatico che il desiderio sia finito, come i modelli convenzionali della cultura vigente impongono.

Lo sguardo è infinito nel senso che il soggetto è visto dagli infiniti punti dello spazio in cui è immerso, con esclusione di sé stesso. Nello sguardo emerge per via metaforica tutta la dimensione di alterità del desiderio. È l’altro che vede il soggetto, prima che il soggetto veda l’altro. La voce è un diverso oggetto metaforico; è infinito nel senso che è composto da infinite armoniche, che si combinano tra loro nell’altro prima che nel soggetto. La musica realizza nell’altro ­– solista o orchestra – l’intuizione musicale del musicista. La formula lacaniana del desiderio come desiderio dell’altro è formalmente ineccepibile in questa logica.

La legge del divieto dell’incesto non è estranea all’infinito: istituisce il desiderio dell’incesto, che, secondo l’ortodossia psicanalitica, non ha riscontro biologico. La legge precede il desiderio, non viceversa: c’è il desiderio perché c’è la legge che lo vieta, non c’è la legge per vietare il desiderio. È l’occasione per una precisazione che rivaluta la biologia in psicanalisi. La legge d’interdizione dell’incesto, che secondo Lévi-Strauss segna la transizione dalla dimensione individuale (finita) alla collettiva (potenzialmente infinita), cioè dall’individuo alla popolazione, grazie alla simmetria tra cugini paralleli interdetti e incrociati non interdetti (da Freud ignorata), ha un profondo impatto biologico. Infatti conserva, quando non aumenta, la variabilità genetica. La quale è il terreno di coltura della biodiversità, necessaria alla selezione di specie adattate ad ambienti di vita diversi. Darwin non parla d’incesto ma difende Freud. Darwin parla di variabilità, Freud no.

Ce n’è abbastanza per porre la teoria analitica del desiderio inconscio su basi più scientifiche di quelle aristoteliche escogitate da Freud, per via metapsicologica, o da Lacan, per via logocentrica. Si tratta di eseguire un’operazione alla Galilei, che pose fine alla scienza aristotelica delle cause prime con le “sensate esperienze e dimostrazioni necessarie”. Occorre solo formulare un principio d’inerzia, per cui l’oggetto del desiderio non cessa di non scriversi all’infinito, senza una causa che lo muova. Lacan, benché continui a parlare ancora in gergo aristotelico in termini eziologici di oggetto-causa del desiderio, ci è arrivato vicino ascrivendo tale condizione al reale.

In conclusione, l’infinito, o meglio dopo Cantor gli infiniti, sono un buon modello di inconscio; buono perché ci sbarazza dalla paccottiglia aristotelico-ippocratica della metapsicologia, fatta di pulsioni, resistenze e rimozioni e tutte le cause psichiche, all’insegna di un’unica energia psichica, la libido maschile, necessaria a impossessarsi dell’altro nel cosiddetto (non) rapporto d’amore (die Liebesbemächtigungdice Freud a più riprese), così prossimo all’odio. (Per il bambino l’amplesso dei genitori è un atto aggressivo). L’inconscio è come la retta euclidea, sempre incompleta, ma sempre completabile, a servizio di sempre nuovi teoremi, cioè di un sapere sempre nuovo. In questo assetto teorico, l’inconscio non è dato una volta per tutte, a servizio di qualche ortodossia e di qualche padrone. Insomma, inconscio è sinonimo di libertà di pensiero. Il ça pense di Lacan non presuppone un pensatore che lo pensi né un padrone che lo padroneggi: è un sapere potenziale in cerca di essere. Direi, per fissare le idee, che l’inconscio è un sapere collettivo in cerca di un individuo in cui calarsi. 

Arrivati a questo punto, non ci resta che aspettare un nuovo Euclide che scriva gli Elementi di psicanalisi, con postulati non euclidei o meta-euclidei, dimenticando la parte più umanistica di Freud, quella che il medico Freud dedicò alla psicoterapia. La psicoterapia è un sembiante di psicanalisi come i matemi di Lacan sono un sembiante di matematica; serve solo da pretesto per avviarla, se una psicoterapia intensiva non la blocca prima. La psicanalisi nel setting freudiano termina quando diventa psicanalisi in un setting qualunque, dimenticando la terapia.

Da ultimo segnalo un’urgenza. Urge rilanciare il discorso che disincagli la psicanalisi dalle secche della psicoterapia e l’avvii su binari scientifici – dico galileiani. La terapia presuppone di ristabilire una norma, il famoso status quo ante, alterato dal processo patologico. A sua volta, la norma presuppone un’autorità che la fissi. La medicina, che ha il monopolio della normalizzazione, è una tecnica dal sembiante scientifico a servizio del potere sulla vita, la cosiddetta biopolitica. Freud offrì al potere stabilito il controllo terapeutico sulla “vita psichica”, das Seelenleben, significante che ricorre ogni 20 pagine delle sue Gesammelte Werke. Basta ammettere e rispettare l’Edipo e la castrazione come pilastri “normali” della vita psichica, i due shibboleth del freudismo, come li definì lo stesso Freud, e si rientra nella norma comme il faut. Tutti gli scritti sociologici di Freud, nel quarto di secolo che separa Totem e tabù da L’uomo Mosè e la religione monoteista, esaltano questo conformismo.



[1] J. Von Neumann, Un’assiomatizzazione della teoria degli insiemi, “aut aut” 280-281,
1997, p. 107. 
[2] Da Euclide fino a Kant lo spazio geometrico è unico. Solo agli inizi del XIX secolo i lavori di Gauss, Bolyai e Lobacevskji aprono l’intelligenza a spazi non euclidei, generati dalla sospensione del quinto postulato. La generalizzazione sarà data dalle geometrie di Riemann, che Einstein userà nella teoria della relatività. 
[3] Ne ho trattato in A. Sciacchitano, Il tempo di sapere. Saggio sull’inconscio freudiano, Mimesis, Milano-Udine 2013.

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