La teoria dei complessi di Jung e le neuroscienze

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21 dicembre, 2016 - 10:25
Abstract
A reflection on the Jung’s theory of emotional-toned complexes  and the latest research in neuroscience based on neuroimaging techniques in the course of audio-visual stimulation of the subject. In particular, the function of the limbic brain to take command in stressful situations and cause an automatic reaction type of attack, flight or freeze. It is legitimate to think that Jung, with the theory of complex based on clinical observations, was already describing the mechanisms we know today through the results of these researches of neurosciences.

Abstract
Una riflessione sulla teoria dei complessi a tonalità affettiva di C.G. Jung e le ultime ricerche di neuroscienze basate sulle tecniche di neuroimaging con stimolazione audio-visiva del soggetto. In particolare la funzione del cervello limbico di prendere il comando in situazioni di stress e provocare una risposta automatica di tipo attacco, fuga o congelamento. E’ legittimo pensare che Jung, con la teoria dei complessi basata su osservazioni cliniche, stesse già descrivendo i meccanismi che oggi conosciamo attraverso i risultati di queste ricerche di neuroscienze.

 
Nel 1905 Carl Gustav Jung pubblica i suoi studi su “L’associazione verbale negli individui normali” [3] relativi agli esperimenti sulle associazioni di parole. Aveva notato che in alcuni soggetti alcune parole somministrate come stimolo suscitavano una reazione inattesa: i tempi di reazione si allungavano, o compariva una componente emotiva nelle reazioni non verbali del soggetto, o la parola che veniva associata risultava in qualche modo incongrua, con un nesso tangenziale rispetto alla parola stimolo. In queste particolari condotte, Jung ipotizza un coinvolgimento emotivo del soggetto innescato in qualche modo dalla parola stimolo. Nel 1934 Jung pubblica “Considerazioni generali sulla teoria dei complessi”, teoria che partendo dalle osservazioni sugli esperimenti relativi alle associazioni verbali, viene integrata dalle osservazioni dei dati clinici dei suoi pazienti.
Jung parla di complessi a tonalità affettiva, riferendosi a quelle situazioni in cui c’è un eccesso di energia psichica, affettività esagerata rispetto al contesto, tendenza all’agito, autonomia dalle funzioni dell’Io  [4].  Un complesso è “un insieme di rappresentazioni, pensieri, ricordi, in parte o del tutto inconsci, dotati di una forte carica affettiva” [1], che limita la libertà dell'Io. Una specie di buco nero che assorbe energie.

Neuroscienze

E’ interessante associare questi aspetti clinici della teoria dei complessi di Jung con i risultati delle ultime ricerche di neuroscienze, studi resi possibili dalle tecniche di neuroimaging in corso di stimolazione audio-visiva del soggetto, tecniche utilizzate a partire dagli inizi degli anni 90. In particolare mi riferisco agli studi di Van der Kolk [8], psichiatra attivo come clinico, ricercatore e docente nell’area dello stress post-traumatico dal 1970, fondatore del Trauma Center di Brookline (Massachusetts) e direttore del Complex Trauma Treatment Network.
Secondo Paul MacLean [6], abbiamo tre diversi cervelli:

  • il cervello rettiliano, il più antico nella scala evolutiva, compare già nei rettili, deputato alle funzioni vitali di base (arousal, sonno/veglia, fame/sazietà, respirazione, equilibrio chimico)
  • il cervello limbico o emotivo, compare solo nei mammiferi e serve ad attribuire significati emotivi agli input sensoriali, all’elaborazione dei segnali sociali e all’attivazione delle emozioni.  [7]
  • la neocorteccia è la struttura più recente deputata all’elaborazione delle rappresentazioni percettive ed astratte dei processi associativi del pensiero. [7] La corteccia prefrontale dorsolaterale si occupa degli input che provengono dall’esterno, la corteccia prefrontale mediale gestisce gli input provenienti dall’interno.
MacLean [6] paragona il rapporto tra il cervello razionale e il cervello emotivo come quello tra un cavaliere e il suo cavallo.
“Finchè il tempo è buono e il percorso è tranquillo, il cavaliere può sentire di avere un ottimo controllo. Ma rumori improvvisi o minacce di altri animali possono far imbizzarrire il cavallo, mettendo il cavaliere in difficoltà” [van der Kolk, 8].
Ogni volta che il sistema limbico realizza di essere in pericolo, le comunicazioni tra il cervello emotivo ed i lobi frontali si indeboliscono [8], ed il cavallo prende il comando della situazione.
Secondo le recenti ricerche di neuroscienze, l’amigdala è la struttura del cervello limbico deputata all’interpretazione emotiva delle informazioni sensoriali provenienti dal talamo. Se viene rilevata una minaccia, l’amigdala invia messaggi all’ipotalamo che secerne gli ormoni antistress provocando una reazione del tipo attacco, fuga o congelamento [8]. LeDoux chiama questo percorso “la via breve”[8]. L’altra via, “la via lunga”, prevede il coinvolgimento dell’ippocampo fino alla corteccia prefrontale che interpreta l’input sensoriale attraverso i ricordi immagazzinati nell’ippocampo e le reti neurali della corteccia prefrontale, rendendoci coscienti degli input percepiti [8]. Se l’amigdala interpreta la minaccia come troppo pericolosa e/o il sistema di filtraggio della corteccia è troppo debole, le risposte automatiche di emergenza prendono il sopravvento con l’attivazione di reazioni di iperarousal o scoppi di rabbia come accade nel Disturbo Post Traumatico da Stress [8]. La via breve è una specie di arco riflesso che produce una reazione senza il coinvolgimento della corteccia, e quindi determina una risposta automatica e non cosciente.

Secondo van der Kolk [8] e Siegel [7], ci sono alcuni input sensoriali, ricordi, affetti che, stimolando l’amigdala, ci fanno vivere la paura, l’ansia, o la rabbia, bypassando la modulazione della corteccia prefrontale. Il cervello limbico prende il comando innescando una risposta neurovegetativa che bypassa la corteccia cerebrale e attiva direttamente l’ipotalamo. Quando lo stimolo mette in allarme il sistema limbico, questo prende il sopravvento, non viene più modulato dalla corteccia e innesca una risposta massiccia di tipo attacco, fuga o congelamento.

Riflessioni

E’ legittimo pensare che Jung, con la teoria dei complessi basata su osservazioni cliniche, stesse già descrivendo i meccanismi che oggi conosciamo attraverso i risultati di queste ricerche di neuroscienze.
I complessi a tonalità affettiva sono quadri clinici in cui c’è un eccesso di energia psichica, l’affettività è esagerata rispetto al contesto, ci può essere tendenza all’agito e le reazioni sono autonome rispetto alle funzioni dell’Io [4].  Spesso queste reazioni sono sovradimensionate rispetto agli stimoli esterni, una errata percezione di pericolo che si è interiorizzata nel soggetto.
Gli studi sulla “via breve” di LeDoux, sulle funzioni dell’amigdala e sul cervello limbico in situazioni di stress con risposte di attacco, fuga o congelamento, confermano, a livello neurofisiologico, quello che Jung aveva visto e concettualizzato in ambito clinico.
Quando si parla di trauma, non dobbiamo pensare necessariamente ad un unico evento traumatico eccezionale, come può essere un terremoto, un grave incidente stradale, una perdita improvvisa. Esistono anche traumi meno riconoscibili, un insieme di microtraumi che perdurano per lunghi periodi, come per esempio in relazioni di attaccamento non sane dove c’è trascuratezza o abuso. Abuso, deriva dal latino “ab uti”, cattivo uso, e si riferisce a relazioni di attaccamento in cui non vengono riconosciuti i bisogni del bambino, ma il piccolo viene spesso usato per soddisfare i bisogni dell’adulto. Anche questi traumi possono provocare reazioni di attivazione allo stress che bypassa la corteccia prefrontale, innescando una serie di risposte automatiche al di fuori della modulazione della corteccia cerebrale. A questo proposito Van der Kolk parla di “disturbo da trauma dello sviluppo”, dove relazioni di attaccamento non sane determinano trascuratezza o abuso. Perciò quando si parla di trauma, non bisogna pensare solo a degli eventi eccezionali, ma anche a situazioni legate al contesto di vita dei soggetti. Nella pratica clinica è consuetudine osservare l’emersione di aspetti non risolti che si manifestano con reazioni di eccessiva animosità, alta attivazione psichica, difficilmente modulabile e al di fuori della gestione dell’Io e delle sue funzioni di regolazione. Reazioni sovradimensionate rispetto alla situazione ambientale esterna.
Quello che affascina è sicuramente il concetto che analizzando le cose con orizzonti ampi, si possono integrare concetti molto distanti come punti di vista clinici e neurofisiologici dello stesso fenomeno.
Sul filo di questa riflessione, se operiamo un confronto sistematico tra le teorie psicodinamiche e le teorie delle neuroscienze possono emergere altri collegamenti, come per esempio sarebbe molto interessante approfondire eventuali associazioni tra gli elementi beta di Bion [2] e questi concetti di neurofisiologia.

 
Bibliografia
[1] Galimberti, U. (1992) Dizionario di psicologia, UTET Torino
[2] Grotstein, J.S. (2010) Un raggio di intensa oscurità. L’eredità di Wilfred Bion, Raffaello Cortina Milano
[3] Jung, C.G., (1905) L’associazione verbale negli individui normali, Opere vol. 2 tomo I, Bollati Boringhieri Torino
[4] Jung, C.G. (1934) Considerazioni generali sulla teoria dei complessi, Opere vol. 8 La dinamica dell’inconscio, Bollati Boringhieri Torino
[5] LeDoux, J. (2003) Synaptic Self (How Our Brains Become Who We Are),Penguin Putnam, Paperback
[6] MacLean, P.D. (1990) The Triune Brain in Evolution: Role in Paleocerebral Functions, Springer New York
[7] Siegel, D.J. (2013) La mente relazionale, Raffaello Cortina Milano
[8] Van der Kolk, B. (2015) Il corpo accusa il colpo,  Raffaello Cortina Milano

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