PSICHIATRIA E RAZZISMI
Storie e documenti
di Luigi Benevelli

Salvatore Misdea, Cesare Lombroso e il misdeismo (2)

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1 marzo, 2017 - 09:54
di Luigi Benevelli

Francesco Romano, giurista e storico del diritto, ha proposto di recente importanti riflessioni  sul valore paradigmatico in campo criminologico e penale che assunse la vicenda di Salvatore Misdea, grazie all’interpretazione che ne diede Cesare Lombroso[1]. Romano scrive:
«L’ossessione dei medici positivisti fu quella di presentarsi ai giuristi come i propugnatori
di una scienza rinnovata, basata su una sperimentazione scevra da pregiudizi, alla ricerca
di verità oggettive, soprattutto nell’ambito dell’eziologia criminale, ovvero nella ricerca
delle patologie che procuravano l’alienazione. […] Tra diverse alterazioni, fu individuata nell’epilessia quella che più pesantemente influenzava il comportamento umano. Una malattia che, abbastanza improvvisamente e sorprendentemente, fu identificata quale causa principale della follia morale e quindi della genesi di “tipi criminali”, la malattia, insomma, che rende criminali, almeno secondo la scuola positiva.
Fu proprio la causa napoletana a offrire a Lombroso una delle prime occasioni di
presentare, con la sua perizia, questa speciale patologia al pubblico, riconoscendo in
Misdea tutte le caratteristiche del malato di epilessia, rintracciabili, come suggeriva il suo
“metodo sperimentale”, a partire dalla storia familiare del soldato e dai suoi caratteri fisici
e psichici, che trovavano conferma nella particolare ferocia dell’assassinio, e nel contegno tenuto in seguito. Misdea, come è noto, fu condannato, ma Lombroso, che raramente si
scoraggiava di fronte alle sconfitte, aveva potuto dichiarare già al processo, contro la
sentenza sfavorevole che presagiva: “È una sventura che la scienza, se il Misdea sarà
condannato a morte, non potrà proseguire le sue esperienze. Forse fra l’ultimo supplizio e
le sostanze narcotiche che gli somministreremmo noi nell’interesse della scienza, la scelta
non dovrebbe esser dubbia”.
Porre il Misdea, e in generale i criminali anormali, sotto la tutela e la disponibilità degli
alienisti, non avrebbe significato soltanto una vittoria nella lotta per l’egemonia tra i saperi
circa la gestione degli anormali, ma sarebbe servito a proseguire le ricerche utili a
indagare più a fondo le pericolose patologie da cui erano affetti, fino a rendere
incontestabili ai giudici i risultati dell’antropologia criminale, volti in quel momento a
precisare l’importante scoperta di una radice epilettica comune alla quasi totalità dei “tipi
criminali” lombrosiani. L’epilessia divenne principalmente, da questo momento, una malattia che poteva anche comportare accessi convulsivi, ma che si manifestava principalmente attraverso disturbi del comportamento legati a una disorganizzazione cerebrale, era quindi un equivalente della follia e poteva, così rovesciata, entrare nel campo teorico della psichiatria. […]
 Così inquadrato dalla scienza psichiatrica, l’epilettico, affetto da una lesione cerebrale, resa evidente dalle convulsioni, diventava il prototipo del degenerato perché la degenerazione ne colpiva l’organo principale, responsabile della sua intelligenza del mondo, la sua facoltà di discernimento, e per quello che ci interessa, la sua capacità a vivere e ben comportarsi in una società “sana”. L’epilettico diventò dunque in breve tempo il campione della “asimmetria”, della irregolarità, e a partire da queste premesse fu oggetto di minuziose e instancabili misurazioni. […]
Si comprende allora, a mio avviso, perché l’antropologia criminale abbia puntato con decisione su un’epilessia costruita in questa forma: anzitutto riusciva a combinare la teoria della degenerazione con quella dell’ereditarietà (l’asimmetria si trasmette geneticamente), non escludeva l’atavismo tanto caro a Lombroso (ricomparivano i caratteri socialmente
accettabili in età arcaica, ma oggi ripudiati, quali cannibalismo e necrofilia) e soprattutto si
presentava come una malattia “vera e propria” in quanto sul tavolo anatomico si
riscontrava frequentemente nei malati un’alterazione cerebrale. […]
Al contrario della follia, per l’epilessia era concepibile la trasmissibilità, aveva la capacità di connettere teorie leggermente diverse come atavismo e degenerazione, aveva una nosografia molto antica (risalente addirittura ad Ippocrate) e soprattutto poteva essere considerata osservabile e riproducibile, rappresentando una verità scientifica capace di convincere e influenzare gli organi giudicanti, con un buon grado di certezza ricevuto dall’empirismo.
Preferì la denominazione di “equivalenti psichici, o epilettici” a quella di “epilessia larvata” poiché si poteva così testimoniare il parallelismo tra gli “atti bizzarrissimi” degli epilettici e gli attacchi convulsivi. Ipotizzò che la lesione dei centri corticali più evoluti liberasse l’attività di centri inferiori, sede del patrimonio atavico, e che fossero questi centri a generare i comportamenti criminali dei malati”.
Un articolo di Lombroso del 1885 su Identità dell’epilessia colla pazzia morale e delinquenza congenita inaugurava una stagione di studi: “Gli ultimi studi sugli epilettici in coincidenza coi nuovi sul pazzo morale, ingrossano di tanto queste analogie tra le due malattie da non lasciare dubbio sull’origine e sull’indole loro comuni”. Le prove si basavano sull’analisi delle analogie riguardo alla statura, al peso, alla fisionomia, al mancinismo, all’agilità, ai riflessi tendinei, alle pupille, alla psicologia, all’intermittenza degli impulsi, all’amnesia, alla temperatura corporea, ai tatuaggi, al tono sentimentale. La statistica sembrava provarlo colle sue inesorabili cifre sul numero di epilettici in carcere.
Opportunamente  Romano conclude annotando che “La questione dell’epilessia ebbe rilievo soprattutto nell’ambito della riforma degli articoli sulla imputabilità”.
 
A documento della solida e diffusa acquisizione dell’interpretazione di Lombroso, propongo tre citazioni  tratte da scritti e trattati di psichiatri del Novecento: 
 
1.      “Epilessia: Tra le psico-nevrosi è questa la più importante, dal lato medico-legale, com’è la più importante dal punto di vista psichiatrico […]. L’epilettico riesce assai dannoso ad una qualsiasi collettività- e specialmente alla militare in ragione delle speciali condizioni d’ambiente e della facilità di avere armi, - soprattutto negli episodi di equivalenza psichica, tante volte provocanti i famosi casi di misdeismo, dal triste protagonista di Pizzofalcone. Potenzialmente ciascun epilettico è capace di produrre tali fenomeni dolorosi in una collettività: potenzialmente ciascun epilettico può dare episodi di equivalenza psichica […] nella forma spaventevole dell’eccidio cieco, della strage furibonda.  Ma l’epilettico è anche dannoso, e pericoloso […] per le note del suo carattere: la disarmonia, lo squilibrio, l’asinergia funzionale che ne sono il fondamento e la caratteristica, lo fanno impulsivo, eccitabile, violento, facile a reagire ed eccessivamente, lo rendono turbolento, irrequieto, indisciplinato, riottoso o testardo, tendente all’alcool ed ai vizi.”[2].
 
2.      “[Nell’ epilettico ] il disturbo psichico non manca quasi mai. Tutta la vita dell’epilettico costituzionale dimostra l’odio dissimulato, inverniciato di bontà, ma che esplode alla minima occasione […]. La religiosità dell’epilettico ha carattere primitivo […]. Il padre di Misdea che non era un convulsionario epilettico, ma mostrava le note più culminanti del carattere epilettico, bestemmiava nel cappello, durante la processione, sotto la statua della Madonna o del Cristo, ogni volta che i fratelli (della congregazione) non procedevano ordinatamente, e non eseguivano rigorosamente i suoi ordini di dirigente della processione”[3].
 
3.      Epilessia  (pp. 258-270)” Sono da ricordare le crisi di malumore, di eccitamento e di stati crepuscolari o onirici, per cui il malato, in stato di incoscienza o subcoscienza, atterrito da allucinazioni, può commettere atti violenti e delittuosi. Tristemente celebre è nell’esercito la storia del bersagliere Misdea, che la sera di Pasqua, dopo aver festeggiata la giornata con frequenti libazioni, si ritirò nella caserma di Pizzofalcone in Napoli ed, in seguito a discussione insorta coi compagni, caricò il fucile e fece una carneficina. Risultò epilettico ed il reato era stato commesso in preda ad accesso di epilessia psichica […], la cui diagnosi precoce ha particolare importanza”[4].



[1] Francesco Rotondo, Diritto penale e malattia: l’epilessia al tempo di Lombroso, «Historia et ius», 4/2013, pp. 1-12.
 
[2] Placido Consiglio, Studii di psichiatria militare,  parte II- Le forme di alienazione mentale nei militari,
«Rivista Sperimentale di freniatria», 1913,  792-819, p. 799.
 
[3] Leonardo Bianchi, Trattato di psichiatria, Napoli 1924, pp.345 e 346.
 
[4] Raffaele D’Alessandro,  Medicina e medicina legale militare, Roma, 1939, p. 265.
 

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