FREUD E L'IMPIEGATA VERGINE

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26 febbraio, 2018 - 10:12
Anche se si respinge la teoria freudiana delle paranoie, non si può fare a meno di ammirarne l’eleganza esplicativa. Eleganza nel senso corrente del termine: ottenere effetti di completezza con un dispendio minimo di materiali, senza aggiunte ad hoc né sbrodolature. Se Freud si fosse limitato a formulare la sua teoria delle paranoie, questo già basterebbe per farlo entrare nella storia della psichiatria.
            Chiave della sua spiegazione delle paranoie sono gli impulsi omosessuali rimossi. Oggi ovviamente nessuno crede più a questa teoria, del resto conosciamo molti omosessuali dichiarati - e praticanti l’omosessualità in apparenza senza problemi - che sono affetti da sindromi paranoiche. Basterebbero casi del genere a inficiare la sua tesi di fondo. Ma appunto, quel che lascia ammirati è l’ingegnosità della sua macchina esplicativa.
            Le paranoie venivano classificate – prima dei DSM - essenzialmente in quattro gruppi; a cui dovremmo aggiungere la querulomania, di cui però Freud non si occupa (forse perché non implica un delirio esplicito). Abbiamo la paranoia persecutoria, quando il delirio consiste nel sentirsi perseguitati a distanza da persone più o meno precise. Questo delirio spesso evolve nel delirio di grandezza, quando il soggetto crede di essere un grande personaggio storico del presente o del passato – figura emblematica, il paranoico che si crede Napoleone… (ma può arrivare a credersi Cristo, o Dio). L’erotomania consiste nell’essere convinti che una persona per lo più pubblica, spesso famosa, sia molto innamorata del soggetto, anche se questi non l’ha mai incontrata. Il delirio di gelosia consiste nella convinzione ossessionante che il partner o la partner lo tradisca, e questo anche quando i sospetti sono palesemente infondati. Freud si impegna a spiegare queste quattro varianti, senza soffermarsi sui quadri schizofrenici che possono accompagnarsi a esse. Più che la psicosi in generale, è la paranoia che pare affascinarlo.
            Freud costruisce la sua macchina facendo giocare quattro coppie di opposizioni. Abbiamo alcune opposizioni di fondo: io/altro, “stesso sesso”/”altro sesso”, amore/odio, e infine la direzione attiva/passiva sia dell’amore che dell’odio. Una batteria così semplice può essere illustrata da una matrice di questo tipo:
 
Soggetto femminile         FORMA MANIFESTA                                        PROCESSO INCONSCIO
 
Paranoia persecutoria:   IO sono ODIATA (perseguitata) da LEI                 IO  (F) AMO  LEI - negata
 
                                                                                                         IO  (F) ODIO  LEI
 
                                                                                                         LEI ODIA (perseguita) ME (F)
 
 
Delirio di grandezza       IO  AMO  ME  STESSA                                               IO  (F) AMO  LEI - negata 
 
                                                                                                         IO  (F) AMO  ---
 
IO  (F) AMO  SOLO ME STESSA
 
 
Erotomania:                 LUI  AMA  ME                                                IO  (F) AMO LEI - negata
 
                                                                                                         IO  (F) NON  AMO  LEI
 
                                                                                                         E’  LUI  CHE AMA ---
 
                                                                                                         LUI AMA ME (F)
 
 
Delirio di gelosia:          LUI  CHE  AMO AMA LEI                                IO  (F) AMO  LEI - negata
 
                                                                                                         E’ LUI  AD  AMARE
 
                                                                                                         LUI  AMA  LEI
 
                                                                                                                    
                                                                                                        
 
Qui abbiamo considerato un soggetto femminile, ma ovviamente possiamo illustrare la stessa cosa anche al maschile. Come si vede, la forma grammaticale originaria è “io [donna] amo lei”, e in questo caso amore e desiderio coincidono.
            Nel delirio di persecuzione, l’amore si rovescia in odio, l’attivo in passivo. Nel delirio di grandezza il soggetto da attivo (amo) diventa passivo (sono amata), l’altro si rovescia nell’io stesso. Nell’erotomania si rovescia il sesso (dal femminile al maschile), l’attivo in passivo, l’io in altro. Nel delirio di gelosia, si rovescia il sesso (l’amato è maschio e non più femmina), l’io che ama si rovescia nell’altro che ama, l’amore si rovescia nell’odio geloso.
 
 
1.         “Widersprechende....”
 
            Freud ci ha narrato il suo breve incontro – due sedute – con una paranoica, inviatagli da un avvocato, nell'articolo "Comunicazione di un caso di paranoia in contrasto con la teoria psicoanalitica" (Freud 1915). Seguirò qui la tendenza a battezzare in modo colorito certi casi di Freud, e mi riferirò a questo caso come a quello della Bella Impiegata Vergine. Costei, impiegata in una grande azienda, "era una ragazza di trent'anni eccezionalmente bella e attraente; pareva molto più giovane della sua età, ed era un tipo spiccatamente femminile", precisa Freud.
Che la nostra eroina fosse vergine, all'epoca in cui sboccia il suo delirio, è facile arguirlo. Figlia unica, viveva con una madre di cui era l'unico sostegno anche economico. Niente grilli per la testa, niente flirt. Senonché – racconta lei stessa - una volta tanto lei non scoraggia le attenzioni di un giovane collega, separato dalla moglie, che riesce anche, per ben due volte, a portarsela nel suo “appartamento da scapolo”. La seconda volta lui starebbe quasi per cogliere il frutto concreto dei suoi sforzi se lei, semisvestita sul letto, non venisse spaventata, e distolta dai giochi erotici, da un rumore come di scatto, o da un secco bussare.
Dopo questo incontro, la Bella Impiegata sviluppa un delirio persecutorio nei confronti del suo spasimante. Questi, secondo lei, avrebbe nascosto un fotografo dietro una tenda della sua stanza, il quale avrebbe "immortalato" la scena delle effusioni erotiche in una fotografia, utile al collega-amico, probabilmente, per ricattarla e tenerla in pugno. E siccome in questi casi il sedicente perseguitato si comporta sempre più da persecutore, comincia la serie di richieste di spiegazioni, minacce, ecc. Fino a che essa non effettua ciò che Giacomo Contri (1987) ha chiamato "passaggio all'atto giuridico", così comune tra i paranoici, ovvero, ella va a consultare un avvocato per querelare, appunto, il losco seduttore. Da klagend (lamentante, lamentosa) che era, diventa Klägerin (querelante).
Che cosa spinge Freud a raccontarci questo caso in bilico tra giurisprudenza e psicoprudenza? Il fatto che non quadri con la sua teoria della paranoia, come dice il titolo stesso della sua comunicazione. Un titolo che va letto con sensibilità freudiana. In tedesco esso suona Mitteilung eines der psychoanalytischen Theorie widersprechenden Falles von Paranoia, vale a dire "Comunicato su un caso di paranoia in contraddizione con la teoria psicoanalitica". Widersprechende è letteralmente "parlare contro", quindi contraddire (più che "in contrasto", come recita l'edizione italiana dell'Opera freudiana).
Il commentatore dell'edizione italiana si affretta subito a mettere le mani avanti, e precisa:
 
Non si tratta di un caso che effettivamente contrasta con la teoria psicoanalitica, ma di una situazione che solo a un primo e superficiale esame sembra contraddire tale dottrina, e in modo specifico la tesi (...) secondo cui nella paranoia agirebbe sempre un impulso libidico omosessuale.
 
I commenti editoriali del curatore italiano dell’Opera di Freud mirano spesso a eliminare ogni tentazione di leggere in modo un po’ freudiano i testi di Freud. Ogni sospetto di incoerenza, ogni dubbio suscitato dal testo, ogni ambiguità che potrebbe dar luogo a un approfondimento critico o a un’interpretazione (in senso freudiano o non), vengono stroncati sul nascere. In questo caso penso che sia piuttosto la conclusione del commentatore a essere un esame superficiale – per usare i suoi termini - perché in realtà questo caso a mio avviso contraddice veramente, e non solo apparentemente, la teoria freudiana della paranoia. E' quanto cercherò di mostrare qui.
            Credo che se ne rendesse conto - non so fino a che punto inconsciamente - lo stesso Freud, da qui il titolo alquanto sorprendente. In effetti, Freud non titola "...eines der psychoanalytischen Theorie scheinbar widersprechenden Falles". Termini come scheinbar o dem Anschein nach, che significano "in apparenza", qui non appaiono. Si tratta di un lapsus freudiano di Freud? In un certo senso sì, in quanto il titolo dice una verità che il contenuto esplicito del testo non dice. Da analisti, possiamo pensare che quel testo era un sintomo dei suoi seri dubbi sulla propria teoria della paranoia.
 
 
2.         Omosessuale o mammona?
 
            In effetti, secondo Freud nel delirio persecutorio femminile il soggetto nega la proposizione "Io (donna) amo lei" attraverso un rovesciamento della qualità affettiva, e attraverso proiezione nell'altro. Il rovesciamento affettivo è dall'amore all'odio, dato che per Freud amore e odio sono in un rapporto di riflessività speculare, come l'uno il rovescio dell'altro. Il delirio dice allora: "Non è vero che io (donna) amo lei, anzi la odio, dato che lei mi odia (mi perseguita)". Ma come spiegare allora il fatto che, in questo caso, il persecutore sia un maschio?
            Qui Freud indulge in uno stile da thriller: la sua indagine quasi poliziesca mette in evidenza la figura di una anziana dirigente dell'azienda della nostra impiegata. Questa signora "ha i capelli bianchi come mia madre", si lascia sfuggire la nostra querelante; e, scrive Freud, "aveva l'abitudine di trattarla in modo molto affettuoso anche se talvolta la prendeva un po' in giro [geneckt zu werden]; essa si considerava la sua prediletta [Liebling]". Da notare che liebling viene da Liebe, amore. L'inizio del delirio fa comparire proprio questa bonaria capoufficio: la bella impiegata si convince che tra il suo amoroso e la sua protettrice c'era da tempo una tresca erotica, e che la signora up sa ora tutto della loro avventura. Freud non aspetta altro per trasformare la confutazione (Widerspruch) in conferma:
 
anche in questo caso il persecutore originario, l'istanza alla cui influenza ci si vuole sottrarre, non è l'uomo, bensì la donna. La signora conosce la relazione amorosa della ragazza, la disapprova e le fa capire questa sua riprovazione con misteriose allusioni.
 
Evidentemente l'anziana dirigente prende il posto della madre di lei, come il collega prende il posto, a dispetto della sua giovane età, del padre. In forma trasposta, il delirio metterebbe in atto l'attrazione gravitazionale del legame omosessuale con la madre, che le rovina il suo primo tentativo di diventare una vera donna, cioè di darsi finalmente a un uomo.
            Che cosa c'è di poco convincente nell'argomentazione del detective Freud? Il fatto che, molto semplicemente, se le cose stessero come Freud le ricostruisce, si tratterebbe allora tutt'al più di una difesa della omosessualità della Bella Impiegata, non di una difesa contro la sua omosessualità. Ammesso che si possa qualificare semplicemente di omosessuale un "complesso materno", cioè un legame esclusivista con la madre o con un suo Ersatz, surrogato (ma ha senso chiamare omosessuale l'attaccamento che un bambino ha nei confronti del genitore del proprio sesso? cioè quando la questione cruciale della differenza sessuale non si è ancora posta?). La mancata emancipazione - Befreiung la chiama Freud: liberazione da - sessuale ha tutta l'aria di essere frutto di un attaccamento di tipo anaclitico (“per appoggio”), ancor prima che narcisistico, alle sottane materne[1]. Insomma, la Bella Impiegata è troppo mammona per permettersi avventure amorose con aitanti colleghi. Lo dice esplicitamente Freud stesso: „il legame con il proprio sesso si oppone agli sforzi di ottenere/raggiungere un membro dell’altro sesso come oggetto d’amore.”
            Nel caso del presidente Schreber (Freud 1910), in effetti, il ragionamento di Freud era più convincente. Schreber aveva alle spalle una lunga storia matrimoniale: l'esplodere tardivo del suo delirio può essere messo in relazione con l'irruzione inopportuna di un'omosessualità, attizzata dal fascino professionale del Dr Flechsig, da cui Schreber si difenderebbe sviluppando appunto la psicosi. Ma con la bella impiegata non ci siamo proprio: il delirio scatta, come un otturatore fotografico, non appena lei prova a sottrarsi alla protezione congiunta sia della povera mamma che della dirigente faceta. E' il contatto fisico con l'Altro sesso, e non un'occasione o una fantasia omosessuali, a innestare qui il romanzo giallo delirante. Freud riporta lo scatto, o colpo secco, o battito alla porta, a una proiezione all'esterno di una sensazione di pulsazione o di battito della propria clitoride - sensazione che l'impiegata non vorrebbe appunto ri-conoscere come propria. Ma questo scatto o colpo può essere visto come una metafora diversa: l'improvviso scattare o irrompere di una possibilità di relazione genitale con l'Eteros, di cui il delirio suggella il rifiuto.
            Insomma, questo caso va riesaminato con la minuzia e lo scrupolo a cui Freud ci ha abituati.
            In effetti, non basta dire che in questo testo Freud di fatto si auto-confuta: egli avanza un’altra tesi – benché proposta sotto mentite spoglie – secondo cui la paranoia scatta sullo sfondo di una Fixierung, di una fissazione a rapporti, figure e forme di vita infantili. Non la difesa contro impulsi omosessuali, dunque, ma il restare impegolato in relazioni (libidiche, affettive, etiche) arcaiche spiegherebbe lo “scatto” paranoico. In effetti, la teoria freudiana della paranoia è stata spesso attaccata e contestata dagli stessi analisti; e oggi, quando ne tengono conto, non la usano certo nella sua forma letterale e perentoria. Ad esempio, nella paranoia non si tratta tanto di un amore omosessuale per l’altro, quanto di amore per il proprio Io Ideale – che certo per lo più è anche ideale del proprio sesso. Di fatto, in casi come questo della Bella Impiegata è la dipendenza dal legame materno – nella misura in cui resta un legame narcisistico - quel che oggi ci colpisce, non le componenti omosessuali.
            Ma si dirà: per la psicoanalisi, ogni forma di nevrosi, per non dire di psicosi, non illustra il legame ancora forte, subdolo, del soggetto a complessi infantili? Insomma, la dipendenza della bella impiegata a una gravitazione materna non dice nulla della specificità della paranoia rispetto a tutti gli altri disturbi, che implicano sempre una qualche forma di regressione (e quindi di infantilismo o di immaturità). Ma un’analisi ulteriore delle patognomie paranoiche potrà forse metterci su una strada più proficua: la fissazione del paranoico a una forma di relazione infantile non è aspecifica, non è come qualsiasi altra mancata separazione dalla figura materna.
            La psicoanalisi certo non è l’unica dottrina – e forse non è stata nemmeno la prima – a parlare di fissazione (in particolare, a esperienze, funzioni e figure infantili) come fattore essenziale in molte psicopatologie. Gli sviluppi dell’attachment theory – ormai del tutto scollati dalla tradizione psicoanalitica, anche se da essa questa teoria è derivata - battono una strada simile. Gran parte di coloro che rientrano nello spettro psicopatologico sono, in qualche modo, dei regrediti, insomma, delle persone che sembrano attaccate alle gonne di mammà, o alle gonne o pantaloni di chi ne fece le veci. Eppure, rispetto a varie altre teorie o tecniche psicoterapiche e psichiatriche, la psicoanalisi ha nei confronti della fissazione un approccio caratteristico: per essa la fissazione non è tanto un effetto, più o meno secondario, del disordine o disturbo psichico, ma ne è, nel fondo, la causa. Non si resta legati a mamma e papà – o a chi ha preso il loro posto – perché si sta male e quindi si cerca in loro protezione e assistenza; ma si sta male, nel fondo, proprio perché si è rimasti profondamente legati a mamma e papà. La scommessa psicoanalitica nella valutazione dell’evoluzione individuale – e quindi nella valutazione di ogni emancipazione – consiste proprio in questo: il conservatorismo libidico del nevrotico o dello psicotico non è conseguenza del suo scacco nell’avere rapporti cosiddetti “adulti e maturi” col mondo, ma ne è la causa profonda. Il soggetto non riesce a creare nuovi legami sociali o amorosi inediti perché resta legato ai vecchi legami. Ma occorre cercare di capire qual tipo di legame con le figure originarie la paranoia implichi.
 
            Quindi, metterò in rilievo i seguenti aspetti:
 
a) Nella paranoia, agente della persecuzione è (di frequente) una persona non solo dello stesso sesso, ma una che occupa anche un ruolo sociale o legale o spirituale (o tutte e tre le cose) gerarchicamente superiore.
 
b) Il delirio paranoico si sviluppa di solito in una sorta di frontiera logica, nel senso che i personaggi che mette in scena fanno collidere ambiti diversi, cioè sfera pubblica e sfera privata; il delirio denuncia insomma un Disordine etico-sociale. Il paranoico di solito denuncia una trasgressione e rottura di un supposto Ordine del Mondo.
 
c) L’aurora di ogni paranoia è in un sentimento di aura, quello dell'"essere preso in giro"; è un sentimento fondamentale, in quanto esso rileva la presenza di significati doppi e nascosti, anche se il soggetto non sa dire quali.
 
d) La rilevanza di ciò che Contri ha chiamato "il passaggio all'atto giuridico": il paranoico direttamente o indirettamente coinvolge le istituzioni giudiziarie, dando di solito al suo dramma privato il carattere di scandalo pubblico e di questione da dirimere di fronte alle istanze della Legge e dell’Ordine costituiti.
 
 
3.         Narcisismo estroverso
 
            Interpretando il delirio femminile di gelosia, Freud notava che spesso l'altra, la supposta rivale della delirante è una donna anziana. In queste rivali "si reincarnano nutrici, governanti, amiche d'infanzia, o più direttamente le sorelle che erano state sue rivali in amore".
            Notevole slalom concettuale. Vada per le nutrici e per le governanti; non si vede però come l'età matura possa connettersi alle amiche o alle sorelle dell'infanzia.  E poi perché non parlare già qui ‑ come sarà costretto a fare con la bella impiegata ‑ di amore per la madre, che è la principale nutrice e governante? Forse proprio perché parlare di impulsi omosessuali di una figlia per la madre ha un sapore un tantino comico? In ogni caso, nutrici e governanti evocano non tanto una disposizione narcisistica, ma qualcosa che Freud aveva chiamato Anlehnungstypus, un tipo di scelta dell'oggetto amoroso "per appoggio" o anaclitico: si tende a riamare la nutrice, più che l'immagine ideale di sé.
            Si dirà che la teoria di Freud della paranoia come effetto di un'omosessualità negata dovrebbe essere riletta alla luce di elaborazioni psicoanalitiche posteriori, più guardinghe e meno spavalde. Nella ricostruzione della teoria della paranoia da parte di Lacan, la persona del proprio sesso che il paranoico desidera senza voler riconoscere questo desiderio sarebbe in realtà l'Ideale dell'io narcisistico del soggetto[2]. Per esempio nel caso Aimée (Lacan 1932), la persecutrice della paziente Aimée è dello stesso sesso della perseguitata perché in un primo momento costei era l’Io ideale della paziente, la donna idealizzata, e quindi una sorta di immagine speculare splendente di lei stessa. Ciò che Freud aveva preso per omosessualità è in realtà una declinazione del narcisismo. In effetti, l'oggetto narcisistico da una parte è un doppio, un "gemello immaginario" direbbe Bion, un riflesso speculare del soggetto stesso. Dall'altra però è il suo Ideale, l'incarnazione di un modello trascendente per il soggetto stesso - fino agli estremi megalomanici del presidente Schreber, che giunge ad amare (ovvero a essere amato da) Dio in persona, dall'Ideale iperbolico. E' un'ambiguità produttiva del Narzissmus freudiano: da una parte è infatuazione per una istessità derisoria del soggetto, dall'altra esso dispone il soggetto a intersecarsi drammaticamente con una alterità assoluta, spesso schiacciante, proprio perché super-ideale.
            Peccato che Lacan – dopo aver pubblicato nel 1932 la sua tesi di dottorato sulla paranoia e la personalità - abbia ripudiato la ricerca psicoanalitica sulla personalità, lasciandola agli americani. In effetti, se consideriamo la tipica personalità del paranoico, ci colpisce la sua personalità spesso anti-narcisistica. Per lo più, ancor prima che si metta a delirare o a querelare, il paranoico ci appare tutt'altro che un regredito: sicuro di sé, iperattivo, spesso sfacciato, facondo, proiettato nel reale. Egli tende spesso e volentieri a porsi come una sorta di campione ideale della normalità. Egli è il rovescio ‑ speculare? ‑ di quel ripiego malinconico, amletico, schivo, che la nostra tradizione culturale tende a identificare al narcisismo. La personalità paranoica è invece tuffata nella realtà, passa spesso all'atto (non si lamenta malinconicamente, querela), è pienezza intenzionale priva di indulgenze riflessive.
            In questo senso, il fare della paranoia una delle due facce dell'alienazione narcisistica più esemplare ‑ l'altra faccia, inversa, è la depressione ‑ è stata una scommessa temeraria di Freud: ritrovare nell'anti-narcisismo paranoico il rovescio speculare del narcisismo stesso, se inteso classicamente come contemplazione del Self su se stesso e idillio riflessivo con esso.  Elaborando il concetto di narcisismo, Freud lo ha teso fino allo spasimo in modo da fargli significare anche il suo contrario.
 
 
4. Il potente trasgredisce la legge
 
            Freud è colpito da questo dato clinico - oggetto della gelosia delirante nelle donne è spesso una donna anziana - ma non riesce a inserirlo nella sua teoria della paranoia come narcisismo proiettato. Si arrampica sui vetri per inserire il dato, ma non ci riesce.
            Prendiamo alcuni casi di paranoia tra i più noti: il presidente Schreber, questa Bella Impiegata, l'Aimée di Lacan (1932). In tutti questi non si tratta di deliri di gelosia, ma di persecuzione; eppure il rivale del geloso e il persecutore hanno tratti comuni. In effetti, nel caso che stiamo esaminando, la capo-ufficio tende a condensare le due qualità: a un certo punto essa si precisa soprattutto come agente persecutorio, ma siccome da prima supponeva una storia amorosa tra la capoufficio e il collega a cui pensava di concedere i propri favori, possiamo arguire che di costei fosse, almeno inizialmente, gelosa. L'altro come causa della gelosia e l'altro come persecutore tendono a sovrapporsi.
            I persecutori principali del presidente Schreber erano il suo psichiatra Flechsig e poi Dio. La prima incarnazione persecutoria che Aimée incontra è la nobile Mademoiselle C. de la N., personaggio che la paziente di Lacan aveva abbondantemente idealizzato, e che poi - proprio grazie a questa idealizzazione - si trasforma per lei in campionessa dell'invidia persecutoria. Nel caso dell’impiegata, la persecutrice è l'anziana dirigente. In tutti questi casi, a Freud - e a Lacan sulla sua scia - preme mettere in rilievo soprattutto il fatto che i persecutori siano dello stesso sesso del perseguitato. Ma tutti questi persecutori o cospiratori sono anche in una posizione di potere sul soggetto - fino all’estremo limite della divinità, come nel caso di Schreber. Per età, o per classe sociale, o per posizione nella gerarchia del lavoro, o per prestigio, sono tutti personaggi che insomma dettano legge al soggetto stesso. In quanto suo medico psichiatra, Flechsig, per esempio, tiene in pugno non solo il corpo, ma anche la mente di Schreber. E i persecutori sono, per lo meno, personaggi in posizione autorevole per interpretare la legge.
            Di queste persone mi sembra rilevante, ancor più che la qualità ideale, il loro apparire come alterità complementare rispetto all'identità sociale e pubblica del soggetto: esse occupano la posizione up in una relazione nella quale il paziente è in un modo o nell'altro down. Il persecutore, ma anche l'innamorato nell'erotomania, o il rivale nella gelosia, sono tutte persone up: o nella relazione medico/paziente, o in quella capo/impiegata, o leader/seguace, o maestro/allievo, o creatore/creatura, ecc. 
            (Da notare che il delirio spesso si concretizza quando il soggetto viene a occupare un ruolo di dominanza simbolica, di chi "detta legge": la promozione di Schreber a presidente di Corte d'Appello; la maternità di Aimée; nel caso dell'impiegata, forse, l'essere divenuta lei stessa la nutrice, per così dire, di sua madre, oltre che nel sentirsi erede in pectore della capo-ufficio.)
            Quindi Freud sottolinea, di questo Altro oggetto del delirio, il suo essere similis del soggetto, in particolare, il suo appartenere allo stesso sesso del paranoico. Abbiamo visto che Lacan, sviluppando poi la sua teoria dell'immaginario come distinto dal simbolico, sottolinea piuttosto il carattere ideale di questo altro, immagine speculare idealizzata del soggetto stesso.  Ma va anche sottolineato il carattere di superiorità gerarchica di questo Altro, in quanto garante o interprete di una legge trascendente il mondo familiare. Ora, perseguitando o amando il soggetto, questo Altro infrange però la legge di cui egli pur dovrebbe essere il garante. Anche senza arrivare all'uso sodomitico di Schreber da parte del suo Dio-amante lussurioso - abuso che Schreber denuncia accoratamente come "contrario all'Ordine del Mondo" - possiamo dire che in ogni paranoia c'è una contrarietà, di cui l'Altro è responsabile, all'Ordine del Mondo. In questo senso la tresca tra la dirigente con i capelli bianchi e il collega pretendente viene supposta non malgrado il disordine anagrafico che essa implica, ma piuttosto a ragione di questo disordine.
            In effetti, questa dirigente è artefice di una doppia infrazione alla Legge, che Lacan chiamerebbe simbolica:
(a) infrange l’invisibile barriera tra le generazioni, in quanto fa all'amore con uno che potrebbe essere suo figlio; e
(b) è artefice o mezzana in rapporti sessuali tra colleghi d'ufficio, tra persone cioè che dovrebbero avere solo rapporti professionali.
            E' vero, all'epoca in Austria nessuna legge proibiva rapporti sessuali tra giovani e anziani, né tra colleghi di uno stesso ufficio. La Vienna dell'epoca non era come l'America di oggi, ossessionata dalla sexual correctness. Ma entra qui in gioco una legge tacita, non scritta, che pare svolgere una funzione importante in ciò che chiamerei legalità paranoica.
            Come abbiamo visto, non Freud né Lacan si soffermano sul fatto che la maggior parte dei paranoici preferisca rivolgersi a un avvocato anziché a uno psichiatra o a uno psicoanalista. Ora questo appello alla giustizia, per proteggersi, non va ridotto a una semplice reazione di difesa da un supposto attacco. In molti casi questa inclinazione a rivolgersi a uomini di legge ha una portata non puramente tattica: il paranoico fa appello all'istanza superiore della Legge in quanto questa appare al di là del rapporto personale tra lui o lei, e il persecutore. E soprattutto, come nel caso che stiamo esaminando, corrisponde al tentativo di dare un'assise pubblica a un rapporto che si situa in un registro squisitamente privato. Nella paranoia il riferimento al pubblico è sempre comunque essenziale. In certe forme l'oggetto del delirio è spesso un personaggio pubblico, una notorietà; si tratta spesso di un leader politico, di una star dello spettacolo. Nel caso dell’erotomania, il soggetto è convinto di essere amato da una personalità in vista. In altre forme piuttosto persecutorie, il paranoico lamenta la diffamazione, la calunnia pubblica, il mettere in giro maldicenze nei confronti di sé stesso. Nella querulomania si appella ad avvocati, portando il contenzioso sulla scena pubblica. Come già a suo tempo aveva rilevato Lacan, “Il delirio d’interpretazione [...] è un delirio del pianerottolo, della strada, del foro” (Lacan 1932, p. 212). E’ un delirio che implica non l’intersoggettività ma il diritto, nel senso proprio in cui esso si oppone alo storto.
            In certe paranoie decisamente sul versante schizofrenico, il soggetto lamenta l’impossibilità di avere una vita privata tout court: tutto quello che lui pensa o fa, tutto quello che gli accade, è noto ad altri, o a chiunque altro, attraverso dispositivi vari (oggi si tratta per lo più di computer, o internet, o laser: attraverso questi aggeggi si agisce pubblicamente nel suo mondo privato). Molti di questi soggetti evocano il film Truman Show (1998) di P. Weir come il “loro” film. Truman ha vissuti paranoici (si rende poco a poco conto che la realtà in cui vive è artefatta da altri) ma nel film non è paranoico, in quanto veramente egli vien fatto vivere in una realtà costruita a sua insaputa per uno show.
            Mi chiedo allora se questa apertura su un pubblico smisurato non sia un carattere essenziale di ogni paranoia: essa intreccia sempre due piani incommensurabili, quello del privato spesso anche più intimo con quello di un pubblico a cui il soggetto ha accesso solo attraverso i media, lo spettacolo sociale anonimo e collettivo.
 
 
5. Sfottò
 
            Una ragazza lavora come psicologa; non ha mai sviluppato una psicosi a dispetto di una sua chiusura domestica solitaria che la spinge a escludersi un po' dai legami sociali. Un giorno va a letto con il suo stimato professore, psicoanalista fra l'altro, di vent'anni più anziano di lei. In realtà cede un po' a malincuore alle di lui profferte: lei ne idealizza il sapere e le capacità, ma dice di non nutrire desideri francamente sessuali nei suoi confronti. L'indomani mattina, dopo la notte d'amore a casa di lei (lo psicoanalista è sposato), fanno colazione assieme. Allora lei legge nei gesti più banali del professore ‑ per esempio, nel suo modo di disporre la tazza del caffelatte – un modo di "prenderla in giro". Comincia a nutrire il sospetto che lui se la sia portata a letto per sputtanarla, in qualche modo. Troncata di lì a poco la relazione, la sensazione psicotica cessa. Non approfondisco qui la dinamica dell'intreccio; si tratta comunque di situazioni e sensazioni niente affatto eccezionali nella vita delle persone.
            Ciò che qui fece scattare l'aura di quel sentimento persecutorio fu probabilmente l'infrazione di una barriera simbolica, quella maestro/allieva oltre che quella figura paterna/figura filiale. In generale, la collisione paranoica si sviluppa quando, in un modo o nell'altro, il soggetto entra in collusione con l'Altro in quanto tutore o interprete di una legge pubblica, che esclude (se non altro logicamente) rapporti troppo intimi. Il superamento della barriera invisibile - che in parte coincide con la barriera tra pubblico e privato - è percepito come contrario all'Ordine del Mondo. Come vedremo, la collusione-collisione equivale anche all'intersecare, in una forma di vita privata o comunque in un circuito ristretto, relazioni e complementarietà trascendenti questa privatezza. Il "gioco" della vita pubblica appartiene a un circuito allargato che il soggetto non padroneggia.
            Nel caso della giovane psicologa che va a letto con il professore, c'è un tratto che ritroviamo nel caso dell'impiegata di Freud: il sentimento di essere presa in giro. In effetti lei dice a Freud che l'anziana dirigente – se non altro complice del maschio persecutore ‑ "la prende spesso in giro", la punzecchia, la sbeffeggia. Ora, la sensazione dell'essere presi in giro, con tutte le sue possibili derivazioni ‑ "si ride di me", "dicono che sono pazzo", "mormorano alle mie spalle", "non mi dicono il vero", ecc. ‑ è una delle sintomatologie che possiamo chiamare elementari di ogni paranoia. To make fool of someone [letteralmente: fare di uno un pazzo], prendere in giro qualcuno, è una sensazione di soglia della paranoia. 
            Alcune bouffées deliranti si limitano alla sola sensazione del sentirsi sbeffeggiati.  Ma molti deliri sbocciano come fiori lussureggianti da questa gemma unica dell'esser presi in giro. Perché è così caratteristica questa percezione dello sfottò, del sentire che si parla alle loro spalle?
            La ragazza di cui abbiamo parlato leggeva la presa in giro nel modo in cui il suo anziano amante disponeva le posate, i bicchieri, in cui aggiustava la sedia. Lei voleva dire che questi gesti non erano puramente funzionali, ma avevano un significato, erano messaggi – anche se non riusciva a capire di che, e per chi. La paranoia comincia con la sensazione che atti e parole significhino oltre, di più, di quello che letteralmente fanno e dicono. Gli atti plus-significano. Quando il delirio si dispiega nella sua sistematicità e coerenza, siamo passati già a un altro livello: ora il soggetto sa che cosa quell'aura significante voleva dire. Ma alla fonte c'è sempre non un'interpretazione paranoica precisa, bensì la sensazione che qualcosa del mondo vada interpretato. In questo senso, il delirio sembra essere la soluzione di una perplessità penosa, è quasi un conforto chiarificatore. Salomon Resnik parlò di "ideologia del delirio": il delirio è come una bandiera a cui il soggetto si aggrappa, e che gli permette di continuare a vivere. Delirare è la sua nobiltà, meglio comunque dell'enigma aurorale dell’"essere presi in giro".
            Possiamo vedere il geloso, per esempio, come chi cerca a ogni costo di dare un'evidenza definita e un contenuto precisamente sessuale a ciò che anche il linguaggio comune definisce tradimento. In francese “tradire”, nel senso dell’infedeltà, si dice tromper, ingannare; in inglese to cheat, barare; in tedesco betrügen, ingannare, illudere. Le lingue europee tendono insomma a legare strettamente il tradimento sessuale al raggiro. Il geloso sente che da qualche parte c'è inganno, che la sua donna dice e non dice. La gelosia risolve questa insopportabile ambiguità "che mi fa uscire pazzo". Si diventa paranoici "per non diventare completamente pazzi". Si costruisce un racconto da vaudeville per superare il tarlo ineffabile di una allusività senza sbocco. La soglia della paranoia è proprio questa: l'altro mi parla, eppure sento che dietro il significato letterale di quello che dice significa dell'altro.
            Come si vede, l'analogia del delirio con il partito preso dell'ascolto analitico è molto forte. In effetti la paranoia ‑ è questo il suo fascino, ma anche la sua difficoltà, per gli analisti ‑ mette a nudo ciò che nella psicoanalisi è essenziale, così essenziale che gli analisti stentano a interrogarlo: la specificità dell'interpretazione (Deutung) nel suo complesso rapporto sia con la verità che con l'erranza. Ed era in fondo quel che già il giovane Lacan nella sua tesi di laurea aveva messo a fuoco: “Possiamo dire che, contrariamente ai sogni, che devono essere interpretati, il delirio è di per sé un’attività interpretativa dell’inconscio” (Lacan 1932, p. 293). Il delirio interpreta, proprio come fa l’analista.
 
 
6. L’infedele geloso
 
            Da segnalare che, accanto alla sua teoria canonica della paranoia, Freud nel corso della sua carriera ha sviluppato, come su un piano di sfondo, una tesi quasi parallela: l’idea che il delirio riproduca una percezione perspicua della realtà. Ma non si tratta della realtà esterna, quanto piuttosto di quella inconscia. Egli si sofferma, ad esempio, su un delirio di gelosia (Freud 1921). Il suo paziente, dopo aver consumato un atto sessuale con la moglie, sviluppa ogni volta nei suoi confronti attacchi di gelosia che durano parecchi giorni. Ora,
 
L’attacco prendeva spunto e materia dall’osservazione di indizi minutissimi che gli rivelavano la presenza, nella moglie, di una civetteria del tutto inconscia e che nessun’altra persona avrebbe potuto notare. [...] In definitiva l’anormalità di quest’uomo si riduceva al fatto di osservare l’inconscio di una moglie più attentamente degli altri. (Freud 1921, p. 370)
 
Ovvero, un geloso, uomo o donna, normale o paranoico, ha sempre qualche buona ragione per esserlo: capta nell’altro un desiderio più o meno inconsapevole di infedeltà. E questo vale persino nel delirio di persecuzione. Il fatto che il paranoico legga come atti ostili dei gesti che dimostrano semplice indifferenza nei suoi confronti non è del tutto ingiustificato: “il paranoico non ha poi tutti i torti se sente come avversione questa indifferenza contro cui si scontra la sua richiesta d’amore” (p. 370). I deliranti di fatto “spostano sull’inconscio delle altre persone l’attenzione che hanno stornato dal proprio” (Freud 1921, p. 370-1).
            Ma proprio il caso del marito geloso su cui Freud ci intrattiene ci mostra, obliquamente, l’importanza della rottura dell’Ordine del Mondo. Freud accenna a “un [suo] umiliante trauma omosessuale risalente alla prima fanciullezza”, all’irrilevanza per lui del padre, e al suo legame particolarmente forte con la madre. Quando poi si fidanzò con la sua attuale moglie, fu ossessionato da dubbi sulla verginità della promessa sposa. Dopo il matrimonio, divenne un marito infedele e intrecciò una lunga relazione con un’altra donna. E solo dopo che ebbe rotto con l’amante si manifestò il suo delirio di gelosia nei confronti della moglie. A ciò bisogna aggiungere certi impulsi omosessuali riguardanti il suocero. C’è abbastanza materiale per autorizzare Freud a concludere che il suo delirio di gelosia è un riflesso della sua stessa infedeltà, e che comunque l’omosessualità entra qui nel gioco.
            Ma quel che mi colpisce ancor più è il carattere trasgressivo di tutte queste esperienze, almeno rispetto alla mentalità dell’epoca: infedeltà, omosessualità, perdita della verginità prima del matrimonio, ecc. E’ vero che molto spesso il paranoico ha un’acuta percezione psicologica dell’inconscio altrui, ma sembra che questa percezione si specializzi nel cogliere quel che nell’altro è trasgressione o disordine. L’altro, ancor prima di diventare persecutore, è essenzialmente qualcuno che ha infranto una regola. Specchio della propria infrazione.
 
 
7. Spostarsi e camuffarsi
 
            Victor Tausk (1919), allievo di Freud, ha scritto di Emma A...: costei si sentiva influenzata, anche se in modo vago e diffuso, dal suo fidanzato. Gli occhi di questi, secondo lei, non erano situati al centro della sua faccia, ma come di traverso. Perciò lui era un bugiardo, uno che faceva "girare gli occhi". Un giorno, in chiesa, lei stessa sentì una scossa, come se fosse stata cambiata di posto: siccome il fidanzato verstellt sich, si camuffa, finge, così lei, influenzata da lui, verstellt, si sposta, cambia di posto. Questo fingere, questo "essere sinistro", questo camuffarsi da ciò che non si è, questa trasversalità sbieca dell'altro, ecc., sono tutti tratti quasi patognomici dell'interpretazione paranoidea. Molti paranoici dicono “tutti mi fanno un teatro, mi fanno credere che sia realtà e invece è un film”. L'uso delirante dell'ambiguità del verstellen ‑ che significa in senso transitivo spostare, e in senso riflessivo camuffarsi ‑ è qui più che mai eloquente: la paranoia è sempre esperienza di un verstellen, di uno spostarsi su ambiti e circuiti troppo 'altri' per il soggetto, e di un essere ingannati e "presi in giro" da un altro o dall'Altro, che entra così in collisione‑collusione con il soggetto.
            Per delirare, per diventare uno spostato, il soggetto si deve in qualche modo spostare. Nel caso della nostra impiegata, lei va nella "casa da scapolo" del suo sospirante: un verstellen importante per una donna di solito tutta casa e lavoro. Ma lo spostamento diventa anche visivo quando lei suppone, dietro una tenda, l'occhio super-egoico e fotografante del suo innamorato, che pur le sta addosso sul letto. Freud ricorre anche qui al deus ex machina della scena primaria, al supposto origliare il coito dei genitori. Ma forse la sua scena primaria potrebbe essere a sua volta una metafora di qualcosa di più generale: il bambino ‑ e anche l'adulto paranoico ‑ si trova a essere testimone di una scena del tutto incomprensibile, che come un buco spezza la continuità delle forme di vita a cui il piccolo è iniziato e familiarizzato. Qualcosa che appunto esige di essere interpretato.
            In realtà, Freud ha fatto della scena primaria ‑ e non solo della sua interpretazione sadica da parte del bambino, su cui scommettono per lo più gli analisti ‑ un nodo cruciale della soggettività perché sentiva che essa da una parte è incomprensibile per il bambino, ma allo stesso tempo è traumatizzante proprio in quanto gli è per altri versi ben comprensibile. Non tutto ciò che al bambino è incomprensibile della vita e del linguaggio adulto è traumatizzante. C'è effettività della scena primaria quando il bambino si rende conto non solo che si tratta di un atto molto importante per i genitori, ma che questo atto in qualche modo lo riguarda. Sa che lo riguarda, ma non sa esattamente come e perché. L'Urszene è insomma la metafora pertinente di ciò che pare costituire il "momento fecondo" (per usare la terminologia del Lacan psichiatra) del delirio: quando il soggetto è investito da una forma di vita (nel senso in cui Wittgenstein usa questo termine) che è per lui incomprensibile, e non semplicemente ignota, ma che per una qualche ragione gli è anche accessibile. Incluse certe sensazioni interne, che possono per esempio essere provocate da sostanze psicotrope, da allucinogeni, ecc.: esse da una parte appartengono a un altro mondo, ma la loro capacità di produrre paranoia, per quanto transitoria, consiste in una sorta di aura di allusività, nel fatto che il soggetto non le trova del tutto estranee. Perché delirio si articoli, occorre che, come in presenza del coito genitoriale, il soggetto si trovi da qualche parte toccato dalla nuova forma di vita, pur enigmatica. Non a caso, Henry James ha espresso nel suo racconto The Turn of the Screw (Giro di vite) una descrizione "dall'interno" dell'esperienza paranoica, il cui contenuto è appunto l'esibizione di un coito illecito – da parte di due fantasmi - a due bambini. James ha sovrapposto con sottigliezza la collusione‑collisione della scena primaria - disegnata nella trama tipica della ghost story - con il vissuto interpretativo della paranoia.
 
 
8.  La provinciale nel Gran Mondo
 
            C'è una psicopatologia della vita paranoica quotidiana che sarebbe un errore trascurare. Interpretazioni deliranti erratiche, come quella della ragazza che si sente presa in giro di cui sopra, possono offrirci una chiave di lettura per ricostruire sistemi deliranti molto più complessi e persistenti.
            Un'anziana signora, da poco tempo in pensione, e quindi già teledipendente, segue attraverso il telegiornale le vicende del rapimento di un uomo politico italiano, avvenuto proprio nella sua città, un personaggio che le era capitato, anni addietro, di incontrare.  La televisione accenna a indagini condotte nelle Marche, regione dove lei è nata e dove passò parte dell'infanzia. Mentre sta ascoltando questo, squilla il telefono; la comunicazione è disturbata, una voce maschile si perde e cade la linea... Un'idea‑lampo la seduce: dalle Marche si sono messi in contatto con lei per informarla in quanto conoscente dell'uomo politico, forse per trattare la sua liberazione. Avverte il partito del rapito, la polizia, con le reazioni che possiamo immaginare. Questa idea si è mantenuta per qualche giorno, non ha resistito alle critiche derisorie dei parenti; ma non ha dato seguito ad alcun sviluppo paranoico specifico. Notiamo anche che la signora, benché anziana, era all'epoca molto lucida e interessata alla vita politica e sociale, e non ha presentato alcuna traccia di Alzheimer fino alla morte. Che cosa era allora successo?
            Alcuni analisti, a proposito di questo caso, comincerebbero subito a interpretare, lasciando imputridire la ricca messe di analisi e descrizioni coltivate dalla psichiatria classica. Ancora prima che interpretare analiticamente un delirio ‑ o un'aurora di delirio ‑ occorrerebbe meditare sulle caratteristiche impressionanti dell'interpretazione paranoica. 
            Nel caso della pensionata, avviene qualcosa che forse tinge in modo tipico ogni paranoia: un corto circuito tra pubblico e privato, un verstellen, uno spostamento. Una narrazione pubblica (l'evento politico del giorno, su cui molto spesso si innesta l'egocentripeticità paranoica) viene trascritta in un circuito del tutto privato. Le origini marchigiane della signora, una telefonata casuale non chiara, sono entrate in collisione‑collusione con la storia politico-sociale. I due circuiti si sono sovrapposti, così come nel caso dell’impiegata le relazioni intime con il collega vengono, all'inverso, reinscritte nei rapporti istituzionali della ditta.  Questo innesto specifico di due grammatiche diverse non si produce a caso, ma in certi punti particolari dove si manifesta ciò che Lacan ha descritto come bovarismo paranoico. Il bovarismo sembra essere il corollario di ciò che definirei un certo patognomico provincialismo paranoico. Anche se è Rousseau, anche se è un re, il paranoico è sempre, in un certo senso, “provinciale”. Questo perché il bovarismo consiste nel cercare di vivere il proprio quotidiano ‑ che, per quanto regale sia, è sempre qualcosa di ristretto ‑ come se si trattasse di un romanzo.  Il paranoico vive la propria vita come se fosse letteratura o cinema, opera pubblica.
            Ma perché il circuito privato è stato toccato dal romanzo pubblico, o viceversa? Con la pensionata questo è avvenuto perché il trauma politico aveva in sé un carattere enigmatico, di res che aspetta ancora tutto il suo intellectus, cioè il suo senso, il "discorso" che lo interpreti. Agganciandosi bovaristicamente all'enigma politico, la signora entrava in contatto con ciò che possiamo chiamare la caduta di senso della sua vita: vedova già da qualche anno, con i figli lontani, respinta dalla vita professionale, essa era gettata in pieno nell'enigma – opaco e malinconico - del senso, divenutole a lei stessa problematico, della propria vita. E difatti la storia successiva della signora scivolerà verso la depressione ansiosa, non verso la paranoia. Dare una direzione alla propria vita non è difatti mai una pura invenzione arbitraria: implica una re-interpretazione dei propri desideri più profondi, ed è in questo punto che la sua forma di vita vacilla. La sottrazione dell’uomo politico alla vita civile faceva da specchio al suo essere sottratta agli scambi sociali e familiari.
            In effetti, tendono a interpretazioni paranoiche soggetti che, in un modo o nell'altro, si sentono tagliati fuori da una comunità a cui aspirano, e non capiscono perché. Vi tendono membri di minoranze emarginate, di gruppi sociali che si sentono svantaggiati o perdenti. Essi non colgono le regole che determinano il successo e la prosperità, e siccome non le capiscono risultano appunto marginali e perdenti, ma non capiscono perché. Il delirio viene quindi a colmare una lacuna, non riconosciuta però come tale. In questo senso possiamo ben dire, come Chesterton (citato da Lacan), "il folle è uno che ha perduto tutto, tranne la ragione." Il delirio dà ragione di una perdita che appare enigmatica e irragionevole.
            Nel caso della ragazza che fa sesso col professore, l'enigma è quello costituito dall'isomorfismo tra l'essenza del rapporto maestro/allieva e l'essenza della congiunzione maschio/femmina. Come Ionesco (1951) ci ha mostrato in La leçon, il rapporto maestro/allieva può entrare in corto circuito con altri rapporti, per esempio sado‑masochistici: in questa pièce, il maestro privato, preso da raptus pedagogico, uccide sistematicamente le sue giovani allieve. La nostra ragazza che si sente presa in giro può procedere, bene o male, in un circuito o nell'altro, ma la loro collisione fa scattare quel sentimento. "Prendere in giro" è la sensazione elementare che un messaggio è doppio: mi dice qualcosa di letterale, di preciso, ma allo stesso tempo allude ad altro, o forse è rivolto a un altro... Come in ogni sensazione paranoide, avviene qualcosa come la collisione tra due giochi. Immaginiamo che si venga a creare una situazione per cui, per un mirabile equivoco, una scacchiera con gli scacchi venga a interferire con una scacchiera con la dama; immaginiamo che le pedine degli scacchi siano le stesse della dama e che Ego debba giocare simultaneamente ai due giochi, e per giunta con alcuni pezzi comuni. Nella paranoia pare crearsi sempre qualcosa di simile: un evento esterno si pone come sulla superficie di interferenza di due "giochi", da qui il carattere enigmatico e allusivo che questo evento assume. Al di là della significazione letterale, il paranoico pensa di essere più intelligente e acuto degli altri nell'interpretare ‑ un po' come gli analisti, fieri della loro vis interpretativa ‑ ciò che si allude al di là della lettera. Per lui o lei, chi nega il suo delirio è nel migliore dei casi un sempliciotto, un ingenuo (a meno di non essere invece complice del persecutore).
 
9.  Giocare alla donna
 
            Nel "romanzo" dell’impiegata di Freud, il punto di collisione‑collusione è il contatto genitale. Ovvero, collisione e intersezione tra ciò che Freud chiama "complesso materno" (cioè il rapporto anaclitico e circolare nutrice/nutrita) e uno scambio eterosessuale dove la nutrita‑nutrice deve convertirsi alla complementarietà femminile. In questo punto scatta qualche cosa, metaforizzato dallo scatto delirante della macchina fotografica: lei non può ri‑conoscersi come amante femminile, perché non ha accesso alla grammatica di questo gioco, e qui può conoscere la sua congiunzione con l'Altro sesso solo nella forma dello spettacolo hard core. Guardandosi dall'esterno come amante, ci mostra il suo mancato accesso all’agire da amante, all’essere una partner adeguata dell'amante. Possiamo dire che non riesce a interpretare - nel senso in cui un attore interpreta - il nuovo ruolo. In modo rovesciato, infatti, lei esibisce la propria vanità, il suo essere-nel-mondo nella modalità dell'apparenza seduttiva.
            "Una ragazza eccezionalmente bella e attraente... ed era un tipo autenticamente femminile [einen echt weiblichen Eindruck]" scrive Freud. Siccome egli pensava che, in qualche modo, una donna non è mai irresponsabile della propria bellezza, la sua nota non è superflua. L’impiegata pare insomma essere quella che i francesi chiamano une allumeuse, e gli anglofoni a tease: una che tende a provocare gli uomini, lasciandoli però sempre a mani vuote. La sua femminilità è puro spettacolo, un modo di far gravitare l'altro attorno a sé senza mai entrare in relazione intima con lui. Possiamo quindi supporre che quell'"essere presa in giro" dalla sua dirigente scivoli direttamente nella supposizione di un suo coito con il giovane: in effetti, l'allusione del prendere in giro rimanda proprio all'enigma della relazione sessuale, la quale implica non una messa in scena erotica ma il ri-conoscimento di essere agente in un atto.
            In effetti, i rapporti sessuali, per andare a buon fine, richiedono un "gioco" particolare: il partner viene investito in un registro di estrema intimità, gli si concede il piacere e gli si chiede di dare piacere, ma nello stesso tempo lei o lui rimane altro, staccato, regola in qualche modo del piacere sessuale stesso. In ogni rapporto sessuale avviene l'incontro carnale tra due individui, ma anche un tentativo di congiungere simbolicamente due essenze: è ciò che molti - anche se sono atei - descrivono come carattere sacro del rapporto sessuale. Anche se il rapporto sessuale in quasi tutte le culture umane non si svolge mai pubblicamente, esso comunque pare incarnare una legge, di cui i due partner sono i ministri. Ora, è evidente che la nostra impiegata non ha accesso a questa dimensione sacra, simbolica, di alterità radicale del coito. O meglio, percepisce questa dimensione, ma non può integrarvisi. Il suo mondo resta quello delle leggi del cuore: il mondo affettivo intimo resta separato dal mondo regolato degli scambi sessuali e professionali.
            Posso immaginare l’obiezione di un lacaniano a tutto ciò, il quale certo evocherebbe l’aforisma di Lacan “non c’è rapporto sessuale”. Frase (volutamente) enigmatica, che qui sarebbe troppo lungo analizzare. Un lacaniano potrebbe dire che la paranoica qui realizza (nel senso anche di rendersi conto) che non c’è rapporto sessuale. Ma il punto è che non tutti quelli che lo “realizzano” sviluppano un delirio persecutorio. In termini lacaniani, potremmo dire allora che la paranoica qui interpreta immaginariamente – col delirio – questa mancanza di rapporto sessuale che l’atto sessuale implica. Perché la sacralità del coito – che difatti per la chiesa cattolica è un sacramento, il matrimonio – può essere interpretato anche come il fatto che questa congiunzione simbolica fallisce, e che quindi occorre far appello a qualcosa di reale anche se trascendente, all’atto mistico dell’amplesso. Con la paranoia, l’impiegata fallisce questo fallimento.
            La paranoica fallisce quindi la propria femminilità, ma non nel senso in cui la fallisce l’isterica. La fallisce perché fare la femmina nel rapporto sessuale implica il proprio scivolare in una posizione di “altra”, come colei che è vista e fotografata. Essere femmina coincide per lei con l’essere oggetto di uno spettacolo, non il godere dell’Altro. La femminilità è uno scacco da cui si trae piacere, ma evidentemente la Nostra non può accettare questo scacco.
 
 
BIBLIOGRAFIA

Benvenuto, S. (2007) “I mostri della porta accanto”, Lettera Internazionale, 92, 2° trimestre 2007, pp. 50-53.
http://www.sergiobenvenuto.it./ilsoggetto/articolo.lasso?ID=39.
 
Contri, G. (1987), "Il lavoro di querela", La Psicoanalisi, 1, aprile 1987, pp. 178-189.
 
Freud, S.:
 
- (1910) S. Freud (1910, "Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia paranoides) descritto autobiograficamente (Caso clinico del presidente Schreber)", 1910, Opere, vol. 6, Boringhieri, Torino, pp. 339-406; GW, 8, pp. 240-319.
 
- (1915) "Comunicazione di un caso di paranoia in contrasto con la teoria psicoanalitica", Opere, vol. 8, Boringhieri, Torino, pp. 159-171; Mitteilung eines der psychoanalytischen Theorie widersprechenden Falles von Paranoia, GW, 10, pp. 234-245.
 
- (1921) “Alcuni meccanismi nevrotici nella gelosia, paranoia e omosessualità”, Opere, vol. 9, Boringhieri, Torino, pp. 365-377.
 
Ionesco, E. (1951) La lezione, in Teatro, Einaudi, Torino 1972.
 
Lacan, J. (1932) De la psychose paranoïaque dans ses rapports avec la personnalité; riedito [anno non segnato] da Seuil, Paris [le citazioni sono prese da questa edizione]. Tr. it. La psicosi paranoica nei suoi rapporti con la personalità, Einaudi, Torino, 1979.
 
Tausk, V. (1919) “Über die Entstehung des Beinflussungsapparates in der Schizophrenie”, Zeitschrift für ärztliche Psychoanalyse, V, 1-33. “Della genesi della ‘macchina per influenzare’ nel corso della schizofrenia” in Tausk, Scritti psicoanalitici, Astrolabio, Roma.

 
 

 

[1] In effetti Freud distingue due tipi di amore: per appoggio o anaclitico (Anlehnung) o narcisistico.
[2] Per una ricostruzione della teoria lacaniana della paranoia, cfr. Benvenuto (2007).
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