PENSIERI SPARSI
Tra psichiatria, impegno civile e suggestioni culturali
di Paolo F. Peloso

L’ABISSO NEL MARE, E DENTRO DI NOI - Sulla consapevole insensibilità dell’Europa

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2 marzo, 2018 - 00:39
di Paolo F. Peloso
 L’abisso, piccolo mosaico del disumano di Flore Murad-Yovanovitch (Stampa alternativa, 2017), al quale ho già accennato su questa rubrica[i], è senz’altro un libro duro, chiaro, vero. E’ il terzo di tre opuscoli dedicati da questa operatrice umanitaria a un progetto, quello di comporre un “piccolo mosaico del disumano”, nel quale trovi spazio la lucida ricostruzione dei fatti tragici dei quali uomini, donne, bambini migranti sono vittima in quell’abisso che separa l’Africa dall’Europa, il Mediterraneo[ii]. O, se riescono a raggiungerlo, all’approdo. Ma anche in un altro abisso, che è quello della nostra coscienza di cittadini europei: l’abisso dal quale ritornano a emergere dalla nostra storia il colonialismo e il fascismo. E’ un testo, credo, che ciascuno di noi “bianchi” che abbiamo la fortuna di abitare la sponda nord del mare dovrebbe leggere, per porsi il problema di cosa i governi UE stanno facendo anche in suo nome. Un libro destinato a chi vuole comprendere l’essenziale del tempo e dello spazio - questa lingua di terra che la natura ha protesa dalla parte ricca verso quella povera del mondo - che viviamo, nel quale giorno per giorno ci è dato di esistere. Un testo che pone domande radicali, dalle quali il battibecco inutile di questa campagna elettorale ci distrae; ma alle quali essa dovrebbe essere invece ricondotta.
E’ lecito descrivere le politiche migratorie di oggi come un “fascismo delle frontiere”, che quotidianamente pratichiamo? Non è forse descrivibile in termini di sterminio il fenomeno che è in atto sui nostri confini, che ha portato a un numero di morti da frontiera stimato intorno a 30.000 in mare, molti altri senz’altro prima di raggiungerlo, negli ultimi vent’anni? Perché non abbiamo fatto di più, non stiamo facendo di più per impedire la devastazione dell’Africa e del Medio oriente, e i viaggi della disperazione che ne sono la diretta conseguenza? Dov’è finito l’art. 2 della nostra Costituzione: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo (…) e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale?» (dell’uomo quindi, non solo del cittadino, e certo i costituenti non hanno operato per caso questa scelta). Non sta, infondo, prevalendo nei fatti in chi governa (e ahimè forse anche in chi abita) l’Europa il pensiero che è meglio lasciare che donne e bambini muoiano sulla frontiera, che permettere loro di entrare, e pensare al modo di fare loro posto nella nostra opulenza? (già, perché per fare posto agli altri, dobbiamo stringerci un po’; ed è il rifiuto di questa prospettiva che ci rende tanto insensibili[iii]). Non stiamo forse, di fatto, nel governare fenomeni migratori distribuendo la morte, perseguendo anche uno scopo dissuasivo? E’ lecito, quando eventi letali identici nella loro dinamica si ripetono prevedibilmente, regolarmente da vent’anni, continuare a percepirli come incidenti occasionali? Non sono queste le battaglie di una guerra che stiamo combattendo contro esseri umani poveri e inermi? E, come recita il Codice penale italiano in un articolo divenuto famoso per altre ragioni tra noi psichiatri, non impedire un fatto che si ha la possibilità d’impedire, non corrisponde forse a cagionarlo?
Queste le domande che in parte il libro ci pone, in parte ci vengono in mente nel leggerlo. Ma, più ancora di queste domande, sono soprattutto i “casi”, così esposti uno dietro l’altro, a destare impressione. 300 morti e dispersi senza nome nel naufragio del 21 settembre sulle coste egiziane; è solo una delle tante tragedie del mare. Il 23 ottobre 2016 un’imbarcazione della Guardia costiera libica ha interrotto l’operazione di salvataggio di una ONG e bastonato i migranti facendoli naufragare; i morti stimati sono una trentina (pp. 94-95). Il 16 settembre l'Eurotunnel a Calais fa la  quattordicesima vittima: un adolescente afghano di 14 anni, ucciso da una macchina mentre tenta di salire su un tir. Anche Ventimiglia ha la sua prima vittima con la morte di Mjmelet, una ragazza eritrea di 17 an­ni uccisa da un TIR mentre cammina nel tunnel dell'autostrada A10 (p. 63). Un ventenne afghano muore colpito al petto sul confine serbo-bulgaro da cacciatori di uomini (p. 65). Una giovane donna, forse etiope, è investita di notte da un treno mentre cammina vicino al Brennero. Un eritreo diciassettenne è investito alla stazione di Bolzano mentre tenta di saltare su un treno. Un migrante è disperso nella piena del fiume Roja, nel cui alveo aveva cercato rifugio. Lo stesso giorno un afghano diciottenne è trovato morto di freddo mentre cercava di attraversare il confine tra Bulgaria e Serbia. Al confine tra Austria e Germania un uomo e una donna partiti da Verona sono schiacciati dalle ruote di un TIR dove erano nascosti (pp. 70-72). Tutti morti di frontiera. E sono solo alcuni. Molte più notizie del genere sono riportate nel libro, molte più ancora ci arrivano tutti i giorni attraverso i notiziari, molte altre probabilmente non ci arrivano. Centellinate un po’ per giorno, con l’effetto forse inevitabile di una mitridatizzazione che ci rende insensibili. E’ come se cadaveri che ci siamo abituati a vedere scendere pochi per volta lungo il fiume, incontrassero in questo piccolo libro una diga e, ammucchiati tutti insieme, facessero più impressione. Ne vale davvero la pena, non è un tributo troppo alto questo che stiamo pagando alla sacralità del confine?[iv]
Segue una postfazione di Alessandro dal Lago, scritta questa dopo il Decreto Minniti: cosa ne è stato di tutti i migranti che non sono partiti o sono stati costretti a rientrare in Libia? Possiamo chiudere gli occhi di fronte alla carcerazione e alla tortura nei campi della Libia che hanno suscitato lo sdegno dell’ UNHCR, delle ONG, di Amnesty International e dei pochi giornalisti che vi si sono avventurati[v]? Verso il loro biasimo per il cinismo del governo italiano? E il governo italiano che ha consegnato uomini, donne, bambini inermi alle organizzazioni criminali che spadroneggiano in quel Paese, può non rispondere di questa scelta? Si è forse scordato cosa dice l’art. 2 della Costituzione?
Si stampano tanti libri di questi tempi. Si scrivono tante parole sulla carta e sul web. Forse troppe; e io stesso sono consapevole di concorrere a questa inflazione. Forse non tutte sono indispensabili. Questo, invece, è un libro indispensabile, per le cose che dice, per come le dice. Cose che sappiamo, ma abbiamo bisogno di ritornare a sapere come una lezione da mandare a memoria, da avere sempre presente perché questo è l’evento più grande del tempo nel quale viviamo. Non è possibile non occuparcene, non prendere in merito ad esso posizione.
Un libro necessario, perciò. Forse il più necessario.
Solo su un punto mi sento di dissentire dall’impostazione dell’autrice. E’ un dettaglio, ma avverto la necessità di esprimerlo, perché mi pare che anche su questo sia necessaria chiarezza. Non condivido il suo richiamo ripetuto al delirio, alla psicopatologia, a concetti come quello di pulsione di annullamento di Massimo Fagioli o di percezione delirante di Roberto Altamura, per rendere ragione dell’atteggiamento dell’Europa. Di noi europei. Avverto in questa impostazione il rischio di fare del disumano la follia dell’Europa e questo sarebbe sbagliato (e tra i passaggi in cui questo rischio mi pare più evidente pp. 69, 80, 114). Il disumano invece è parte della nostra storia e della nostra realtà, una parte purtroppo non trascurabile affatto.
Mi è già capitato di dover rilasciare certificati di perfetta salute mentale a Hitler e Mussolini[vi], e poi ai terroristi di Al Qaida e dell’IS[vii]. Perché sono convinto che il disumano non è di per sé sintomo di malattia mentale; è una faccia della nostra normalità, della quale essere consapevoli e liberarci. Perché la storia in futuro non ricordi questa nostra generazione con troppo disgusto. Il disumano è una delle possibilità che ha la libertà dell’uomo normale; ed è una possibilità normale dell’uomo. E’, spesso, ciò che accade quando l’uomo avverte un potere totale sull’altro - quello che ci dà il nostro vantaggio tecnologico e militare sui popoli - e può usarlo male. Dostoëvskij lo imparò sulla sua pelle e quella dei compagni di prigionia nel reclusorio siberiano, Ivan Karamazov lo fa presente in uno splendido dialogo con Alioscia nel quale è compresa gran parte della storia dell’umanità .
Nessun dubbio dunque sul fatto che il disumano dell’Europa non nasce dall’irrazionalità della follia, non ha con esso niente a che fare; nasce invece dalla razionalità dell’egoismo, dalla preoccupazione per l’interesse per il proprio superfluo a scapito dell’interesse vitale dell’altro. Perché le categorie della psichiatria non vanno confuse con quelle della politica e della morale. La mancanza di umana pietà di noi europei della quale l’Autrice rende copiosa testimonianza è una scelta sanissima e consapevole, altro che delirio. E consapevole insensibilità alla disperata richiesta di aiuto dell’altro. E’ l’empatia semmai che ci manca perché soffocata dall’egoismo e dall’egocentrismo; categorie che non sono psichiatriche, ma morali. E passioni che ci rendono insensibili a ciò che percepiamo perfettamente, di cui abbiamo piena contezza. Sono questi i meccanismi che ci rendono, con una razionalità limpidissima, xenofobi[viii]; paura che l’altro stenda la mano con il palmo all’insù e ci chieda aiuto. E ci faccia per un attimo prendere contatto con l’insensibilità che quotidianamente pratichiamo. Le ordinanze della destra e di una sinistra che si dimentica di essere tale contro l’accattonaggio e per il “decoro” urbano hanno proprio il senso di proteggerci da questa emozione spiacevole. Di tingere di “decoro” il lercio che è dentro di noi, non la città intorno a noi. E’ quello insomma che don Milani sintetizzava nel motto fascista “me ne frego”[ix]: me ne frego dell’altro/a, di quello che gli accade quando sente, terrorizzato/a, che le onde stanno ribaltando la barca su cui naviga con i bambini; quando si sente costretto ad affrontare il gelo, la neve, gli ingranaggi spietati dei treni e dei TIR per attraversare un confine; quando sfugge ansimando i cacciatori di uomini che lo braccano soltanto per il suo affannato desiderio di esistere; quando la notte i fascisti danno l’assalto ai poveri campi nei quali ha cercato di raccogliere la famiglia e le poche cose.
L’Europa ha bisogno che le ragioni dell’empatia che ci fa sentire fratelli nella stessa condizione esistentiva di uomini provvisoriamente sulla terra sconfiggano in essa quelle di quella forma più subdola di odio che è l’indifferenza, e quelle degli interessi che la nutrono. Interessi egoistici, che  chiudono il cuore di fronte al dramma dell’altro e alle ragioni universali della giustizia e della solidarietà. Interessi accarezzati dai leader della destra, ma a volte anche da quelli di una sinistra che ha timore di essere tale. L’Europa ha bisogno di lotta e di scelta politica che imponga al dibattito le ragioni della libégalité (Balibar), non di cure. Non c’è nulla di folle nell’interesse egoistico lucidamente e coerentemente perseguito a nostri governi e da noi, i popoli che consapevolmente li eleggono perché difendano il nostro vergognoso privilegio dalle giuste ragioni degli  altri.
Non saranno, perciò, storici e psichiatri a dover spiegare un giorno le ragioni della nostra disumanità, come scrive Murad-Yovanovitch (p. 80); io penso che basteranno gli storici.
Ma, tolto questo appunto del quale mi scuso, questo di Flore Murad-Yovanovitch - come altri testi e poesie che sono disponibili sul suo blog “Floremy”, al quale senz’altro rimando[x] - è il libro per eccellenza, e non credo di esagerare, in grado di farci ascoltare il respiro e l’emozione del tempo che viviamo. Respiro affannato di uomini, donne e bambini che rischiano la vita sui confini d’Europa. Affanno dal quale siamo troppo spesso distratti.
 
Nel video allegato la canzone Non è un film... scegli da che parte stare di Fiorella Mannoia.
 
 
 

[i] Cfr. Tra 2017 e 2018 (2). Servizi, recensioni (clicca qui per il link).
[ii] I precedenti sono: Derive. Piccolo mosaico del disumano(Stampa Alternativa, 2014) e La Negazione del Soggetto Migrante (Stampa Alternativa, 2015). Il primo è così presentato dall’autrice: «Centri di detenzione per stranieri, sparizione di migranti nel Mediterraneo, pogrom contro i rom, muri e filo spinato: il disumano in Europa. Derive è la cronaca, giorno per giorno, della discriminazione razziale e della negazione dei migranti e dei rom. Violenza, non solo nei campi ma attacco generalizzato contro le loro identità». Contiene già alcuni casi emblematici, di quelli destinati a fare riflettere, ma insieme un’introduzione di Piero Coppo, uno dei massimi esperti italiani etnopsichiatria, e interviste ai registi Tony Gatlif e Fernand Melgar, Sylvain George, il filosofo Alberto Burgio, il partigiano Massimo Rendina, lo psichiatra Roberto Altamura, l’antropologo Marco Aime, lo storico Luca Bravi, l’avvocato Luigi Paccione, lo scrittore Erri de Luca. Moni Ovadia, dando voce ad alcuni dei brani della Murard-Yovanovitch nel CD allegato, li fa vibrare con ulteriore calore. Quanto al secondo volume, si tratta di un pamphlet-manifesto volto a ribadire gli stessi concetti, attualmente esaurito.
[iii] Cfr. in questa rubrica: Corpi eccedenti, corpi violati. Le donne di Colonia e i (vecchi e nuovi) fantasmi d’Europa. Monologo sull’Europa (clicca qui per il link).
[iv] Sul concetto di confine richiamo il bel libro di Sandro Mezzadra, Terra e confine. Metamorfosi di un solco, Roma, Manifestolibri, 2016 (clicca qui per il link alla recensione su questa rivista).
[v] Cfr. in questa rubrica: Politiche migratorie. Preoccupazioni dalla svolta estiva (clicca qui per il link).
[vi] P.F. Peloso, La guerra dentro. La psichiatria italiana tra fascismo e resistenza (1922-1945), Verona, ombre corte, 2008, pp.  74-80.
[vii] Cfr. i questa rubrica: TERRORISMO. QUESTA FOLLIA NON E’ FOLLIA  (clicca qui per il link). Cfr. inoltre il recente: C. Munizza, P.F. Peloso, L. Ferrannini, Terrorismo, terrorista e funzionamento mentale, Rassegna Italiana di criminologia, XI, n.s., n. 4, 2017, pp. 252-260, in stampa.
[viii] Sulla genesi della xenofobia nell’Italia contemporanea richiamo: L. Manconi, F. Resta Non sono razzista, ma. La xenofobia degli italiani e gli imprenditori politici della paura, Milano, Feltrinelli, 2017 (clicca qui per il resoconto della presentazione genovese in questa rubrica). Sulla quetione di identità e differenze sempre in questa rubrica la recensione sl volume Noi e altri curto da Emilio Di Maria (clicca qui per il link)
[ix] Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Milano, Mondadori, 1970, Lettera ai giudici del 18/19/1965, p. 248.
[x] Clicca qui per il link al blog “Floremy”. Ricordo anche il video dell’intervento dell’Autrice “La violazione dei diritti fondamentali dei rifugiati: il ruolo degli stati nazionali tra politiche europee di contrasto all’immigrazione e le garanzie della Corte Europea dei Diritti Umani” di fronte al Tribunale Permanente dei Popoli, reso disponibile in rete il 20 dicembre 2017 (clicca qui per il link).

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