UN RITMO PER L'ANIMA

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5 novembre, 2018 - 14:55

Il lavoro “Un ritmo per l’anima”, curato da Giuliano Capani, mette insieme un documento videofilmato e un libretto con raccolte le trascrizioni delle interviste agli autori coinvolti nel progetto.

Il DVD, della durata di 45’ circa, si apre con una costruzione romanzata di una storia di “tarantismo”, dove vediamo una ragazza salentina alle prese con una serie di problemi connessi alla questione del “morso” della taranta: la ragazza si aggira per un paese dove ogni finestra ha i suoi occhi, e in preda a una sorta di stato di transe, raggiunge il mare e batte, a ritmo, due pietre. Su questa scena compare quindi la voce narrante vera e propria, che racconta il fenomeno del tarantismo dalle sue origini, soffermandosi su come “il rito” fosse visibile in Salento fino alla fine degli anni ’60, e fornendone una descrizione nelle sue diverse fasi.

Già altri autori, come approfondito in questo articolo (http://www.ilboscodidiana.it/arte/latrodoectus-che-morde-di-nascosto/) avevano tentato di scomporre il rituale nel suo svolgersi: dal momento “a terra”, in cui la tarantolata si contorce sul pavimento, passando per un momento di danza vera e propria e di armonizzazione crescente del corpo con la musica, fino al ritorno a terra, segno di un raggiunto stato di quiete.

Qui però si fa riferimento, in particolare, alla questione dello “scazzicare”. Cosa si intende con il termine scazzicare? La voce narrante ci spiega come i musicisti, prima di riuscire ad agganciare emotivamente la tarantata, spaziavano tra diverse sonorità cercando di capire quale fosse la più emotivamente coinvolgente, quella in grado di “toccare” o agganciare in senso emotivo la donna sottoposta al rituale. Il momento del “tocco”, o di aggancio, è il momento in cui la donna viene “scazzicata”, perturbata dal suono. I musicisti, osservando il comportamento della tarantata, adattano e modulano il suono, così da renderlo sempre più attivante e potenzialmente terapeutico, verso un'armonizzazione di tutte le parti (suonatori, tarantata, collettività che guarda), come in una sorta di cerchio terapeutico.

Il documentario prosegue poi con diverse interviste fatte a personaggi in qualche modo riconosciuti per il loro studio a riguardo del fenomeno:

  1. come primo intervistato, il Dr. Giuliano Guerra, medico psicoterapeuta e allora (si parla del 2001) presidente dell’Associazione Italiana di Ipnosi Terapeutica, spiega il suo punto di vista sulla questione: come prima ipotesi, parla di “quadro” isterico, ovvero, sarebbe stato l’elemento coreografico e corale a curare un disturbo conversivo di origine isterica, nel suo senso quindi più classico e in qualche modo teatralizzato; racconta però come, dal suo punto di vista, la questione potrebbe essere anche declinata in un altro modo: la compresenza di uno stato alterato di coscienza (elemento di sfondo) insieme a un certo potere del suono (e di alcune caratteristiche del suono stesso: la sua ritmica ipnotica, la forza del suono del violino), sarebbero dal suo punto di vista in grado di “agganciare” l’”onda vibratoria negativa” che a suo tempo produsse il “male” (la sofferenza psichica). Qui parliamo dunque, a suo dire, di una “potenzialità sciamanica” del suonatore, che entrando in un profondo stato di connessione interiore con il malato, lo guarisce usando un canale di accesso preferenziale, che in questo caso è il suono.
    E’ chiaro come qui si vadano a mettere in discussione aspetti più complessi inerenti la cura delle turbe psichiche in generale e la loro natura: esistono in molte culture
    forme di terapia, e nella nostra ne osserviamo allo stesso modo un ritorno,  che usano canali “altri” rispetto alla parola, con risultati quasi sempre positivi.
    Come se la sofferenza psichica avesse forma non solo di “discorso“ interiore in qualche modo distorto, ma possedesse una sua peculiare natura anche solamente incarnata, non vincolata alla questione delle parole, ma anzi in grado di prendere forme altre (suoni? immagini? sensazioni?) e in quanto tale fosse appunto curabile attraverso altri canali. Guerra fa infine notare che si tratta qui di una forma di cura del male “sintomatica”, e non risolutiva, tant’è vero che, ciclicamente, il “morso” ritornava e si doveva riprocedere a un altro rituale.

     

  2. Altro intervistato, Georges Lapassade, che focalizza la questione sulla questione bioenergetica esplorata da Reich (https://it.wikipedia.org/wiki/Wilhelm_Reich), dissidente psicoanalista che introdusse una visione alternativa di male psichico, ovvero come di “energia bloccata nel corpo”. Tutto questo è molto simile a quello che oggi si fa in psicoterapia sensomotoria tentando di sbloccare “tendenze all’azione” rimaste congelate nel corpo - si veda per esempio il lavoro di Pat Odgen in ambito psicotraumatologico. Il ballo della tarantata, dal suo punto di vista, sarebbe stato in grado di sbloccare questa quota di energia psichica rimasta bloccata, liberandola e fluidificandola.
    Anche qui, teorie formulate in epoche differenti sembrano convergere in una sola visione, che potremmo definire “idraulica”, inerente la dinamica della libido/energia psichica/tendenza all’azione. La questione, in fondo, seppur riformulata in termini differenti e in epoche diverse, ruota sempre intorno allo stesso cardine: qualcosa che voleva essere liberato o espresso, e non ha potuto farlo, qualcosa di solido che vuole tornare liquido

     

  3. Viene quindi intervistato Antonio Fassina, medico milanese e direttore, al tempo, del centro “Nuove Terapie” a Milano (oggi rinominato Centro di Terapia Naturali), sulla questione relativa al fenomeno del tarantismo in generale: Fassina parla di competenze sciamaniche inconsapevoli possedute dai terapeuti/musici, compiendo un parallelismo tra le terapia del tarantismo e quelle della psicoterapia di oggi: “il paziente libera, lascia sul lettino del terapeuta quello che una volta lasciava sul pavimento della chiesa di Galatina”. Anche qui viene messo in luce il carattere sintomatico della terapia, in fin dei conti provvisorio: non andando a estirpare alla radice il male, questo poi si presentava, come ciclicamente, e quindi andava, nuovamente, bonificato
     

  4. Viene intervistato poi Tullio Seppilli, professore di Antropologia medica, che fa riferimento ad altre culture dove la danza e la possessione sembrino aver assunto valore o funzione catartica. La differenza forte, spiega Seppilli, è il fatto che per esempio nelle culture afro-americane brasiliane, in cui si ritrovano corrispettivi laici del nostro tarantismo, il fatto di essere “cavalli del dio”, di essere cioè “invasati”, era qualcosa visto positivamente e anzi considerato uno stato speciale di grazia; nello stato invece di transe indotta da una possessione prodotta dal “morso”, la cosa era vissuta con estrema preoccupazione vista la connotazione diabolica del fatto -com’è tipico della religione cristiana. Seppilli colloca nel lavoro di Demartino la nascita dell’odierna etnopsichiatria, di fatto riconoscendo all’antropologo italiano ruolo di precursore di una visione più ”ampia” della psichiatria, che abbracci anche la soggettività umana in tutta la sua complessità e natura “sistemica”. Nel 1980 in Canada, a Montreal, venne organizzato un importante convegno chiamato “sciamanesimo ed endorfine”, in cui appunto venne discusso lo stato dell'arte intorno a questi aspetti che riguardavano la connessione tra pratiche di guarigione sciamanica e la psichiatria attuale; il tamburo suonato in modo ritmico -questo uno degli aspetti- è in grado di produrre un rilascio di endorfine con funzione anestetica del dolore psichico, questione appunto centrale se pensiamo a quanto il “tamburello” sia lo strumento cardine di ogni rito di tarantismo.
     

  5. Altro aspetto messo in luce dal documentario, il parallelismo tra le pratiche di tarantismo e le attuali discipline di meditazione “dinamica”, basate sulla messa in scena del dolore mentale sul teatro del corpo (creazione di uno stato di caos indotto per mezzo di una respirazione volutamente caotica - espressione del dolore per via corporea - riappropriazione dello stato di equilibrio). Anche qui si va idealmente da uno stato di disequilibrio a una condizione di calma, da uno stato di disgregazione a uno stato di integrazione e armonia.
    Platone, nel suo simposio, parla della medicina come l'arte umana di cercare equilibrio tra gli opposti, e della musica come di un’invenzione umana che concretizza il mettere insieme l’alto con il basso, il veloce con il lento, il forte con il piano, etc: strumento dunque elettivo dove si debba eseguire un’operazione di “sintesi” o di riequilibratura di istanze disarmoniche, o di unione di pezzi tra loro scollegati.

     

  6. Luigi Chiriatti, in uno spezzone del film, racconta di come la pizzica-pizzica come genere musicale, sembri racchiudere in sè un potere liberatorio non solo connesso al contesto salentino: il successo planetario del genere racconterebbe di questo “potere” intrinseco e quindi transculturale (pensiamo al recentissimo successo del Canzoniere Grecanico Salentino negli USA, o al lavoro di recupero di pezzi tradizionali fatto da Ludovico Einaudi nel suo bellissimo Taranta Project)

Insieme a questi intervistati, il documentario Un ritmo per l'anima, importante lavoro di raccolta di testimonianze, vede al suo interno altri noti studiosi sul tema: Caterina Durante -fondatrice teorica del Canzoniere Grecanico Salentino-, Anna Nacci, Daniele Durante (nipote di Caterina Durante e primo tamburellista del Canzoniere Grecanico Salentino) e Mauro Durante, giovane violinista nel film, ora frontman del gruppo co-fondato dal padre.

In sintesi, ciò che emerge dalla visione di questo lavoro e ne definisce l'attualità, è sintetizzabile per punti in due aspetti:

  1. il razionale terapeutico che vuole portare unità dove c’è disgregazione, flessibilità dove c’è rigidità (movente clinico sottoscrivibile da tutte le odierne scuole di pensiero psicoterapeutico)
     

  2. l’aspetto dello sforzo fisico come strumento di vero risanamento psichico. Nel libretto contenuto nel DVD, viene riportata una testimonianza di Gurdjeff, che scrisse:

“Per far sì che tutti i centri lavorino nel modo giusto e non si ostacolino tra loro c’è bisogno di un vero sforzo fisico, solo in questo modo si crea la possibilità per l'armonia. Alcune nostre capacità possono essere espresse solo quando sottoponiamo il nostro corpo ad uno sforzo che esige una grande attenzione e un enorme consumo di energia, cioè quando gli sforzi che si fanno sono al limite dell’esaurimento, dandoci così la possibilità di accedere ad un contenitore speciale di energia: il grande accumulatore [...]”

Attuale, vero?

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