VICKY CRISTINA BARCELLONA di Woody Allen (2008)

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2 ottobre, 2012 - 17:32

"….i cuori sono fatti per essere spezzati…"
(O. Wilde, De profundis)

polit

Si possono realizzare le nostre fantasie amorose?

Si puo’ essere tre, o meglio: puo’ il terzo entrare nella coppia amorosa e costituirne elemento paradossalmente equilibratore?

Possiamo trovare tutto in un solo oggetto d’amore? O per sua natura l’oggetto non puo’ che essere monco, mancante di qualcosa, e quel qualcosa non ci resta che inseguirlo perdutamente nelle fantasie o, per alcuni e in certi momenti, nella realta’, per tutta la vita?

Godibilissimo divertissment sull’amore, ironico e semiserio, quest’ ultimo film di Woody Allen ‘Vicky Cristina Barcellona’ contiene, gia’ nel titolo, l’elemento dell’essere tre. Alla coppia manca qualcosa, dice Maria Elena (ottima Penelope Cruz), ex moglie ciclotimica e passionale che ripiomba nella vita di Juan Antonio, dalla quale per la verita’ non e’ mai del tutto uscita, mentre lui sta vivendo una bella e pacifica relazione estiva con l’americana Cristina, in vacanza a Barcellona con l’amica Vicky. Cosa manca alla coppia, que nos faltaba? Mancava il sale. Il sale? Sgrana gli occhioni chiari Cristina…si’, il sale.

Il sale e’ il terzo, quell’altro che puo’ essere immaginario o reale, puo’ incarnarsi in un incontro estivo, come per le due amiche, o in un altrove immaginato per tutta la vita, come per la zia Judy che le ospita, nell’elegante casa dell’upper class catalana. O ancora, puo’ essere elemento di necessita’ come per Juan Antonio (sensualissimo e intelligente Javier Barden) e Maria Elena, che solo in presenza del terzo, solo con Cristina, riescono a vivere pacificamente senza uccidersi, come se grazie alla presenza del terzo riuscissero a modulare un’aggressivita’ agita troppo intensamente (come accade a volte grazie ai figli), o a proiettare in esso quei materiali indigeriti (per dirla col nostro linguaggio ‘metabolico’) che altrimenti liberi e ‘slegati’ fanno esplodere la coppia.


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Vicky e Cristina lasciano New York per andare a trascorrere l’estate a Barcellona, appunto dagli zii. Vicky, che e’ motivata al viaggio da una tesi sulla cultura catalana, sta per sposarsi con Ben, e la sua vita sembra piacevolmente programmata: matrimonio, sicurezze, Vicky sa quello che vuole e ha i piedi per terra. Cristina, al contrario, e’ sentimentalmente inquieta e cerca un amore passionale, non sa bene quello che vuole ma "sa cosa non vuole", e’ il tipico personaggio alleniano che nutre delle spinte artistiche senza sapere dove posarle, per cui e’ passata da una cosa all’altra fino ad approdare insicura alla fotografia, ma sentendosi "senza talento". Incontrano il pittore Juan Antonio, reduce dal burrascoso rapporto con Maria Elena (rapporto amoroso e artistico, cosi spesso intrecciati nella narrativa di Woody Allen) che le invita ad un fine settimana dalle promesse lussuriose ed invitanti, e che finira’ sia per sedurre Vicky, che per vivere una relazione con Cristina. Vicky viene cosi’ a scoprire, suo malgrado, un lato di se’ che non conosceva, una parte a lei inconscia fino ad allora che l’ha portata a tradire il suo fidanzato alle soglie delle nozze, e a godere di quella notte di tradimento che, immaginiamo, si portera’ per sempre dentro. Cristina, che pure professava il libero amore e che finisce per vivere a pieno il rapporto a tre con Juan Antonio e Maria Elena, resta tuttavia inquieta e insoddisfatta anche di fronte a quella che sembrava la realizzazione del suo desiderio, e finira’ col rinunciarvi, abbandonando la burrascosa coppia spagnola alla loro eterna distruttivita’. Entrambe, nel corso della vacanza scoprono qualcosa di se’, che restava fino ad allora proiettivamente collocato nell’amica come doppio di Se', e che viene cosi' sottilmente recuperato.

Juan Antonio, dal canto suo, nel candido invito iniziale di un’avventura a tre, ammette che "gli piacciono tutte e due", e tenta cosi’ in concreto di realizzare il sogno di avere tutto, quella completezza dell’oggetto amoroso (Vicky e Cristina insieme), che e’ forse il sogno di ognuno di noi, e che ahime’ mai si realizza, se non in brevi parentesi (come nell’estate catalana), o nella privatezza della fantasia o del sogno notturno.


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Tre anche nel titolo, dicevamo, perche’ credo non a caso Barcellona (davvero incantata sotto la presa di Allen), in particolare la Barcellona di Gaudi’ e dei piccoli ristoranti, ben lungi dal costituire un semplice set diventa essa stessa soggetto incarnato, come era stato con Manhattan. Non ci potrebbe essere questa storia, senza quella Barcellona, quella che le due ragazze vanno scoprendo mentre scoprono parti di se’, veicolate da Juan Antonio e Maria Elena e dalla loro stessa curiosita’ e fame di vivere, che le porta a sapersi aprire all’esperienza con naturalezza e sensibilita’.

Non c’e’ tragedia, non c’e’ patos, siamo in un altro genere (qui prevalgono le lievi atmosfere alla Truffaut) rispetto alla colpa di Match Point, ma la tematica e’ la stessa, e l’epilogo ugualmente sfugge alla banalita’ dell’happy end, per scivolare verso una delicata, indicibile rinuncia.

Si torna alla vita di sempre, ciascuno col proprio bagaglio arricchito di un ricordo, forse di un rimpianto, certo di un’esperienza.

La zia Judy sa che non lasciera’ mai il marito: Vicky sposa Ben, il quale non ha intuito nulla e sa accogliere la vita con pieno spirito positivo; Cristina ha migliorato la sua autostima diventanto fotografa ma continua a sapere solo quello che "non vuole"; Juan Antonio e Maria Elena, privati del terzo equilibrante, ricadono nella coazione dei loro scontri e del loro amore-odio……

Sullo sfondo l’arte (la pittura di Juan Antonio, la poesia chiusa e privata del padre, la fiabesca meraviglia di Gaudi’), palcoscenico, potremmo dire area transizionale su cui si innestano le cose umane, su cui giochiamo le nostre ricerche e le nostre disillusioni.

Un’ora e mezza di garbo, leggerezza, fine melanconia, musica e immagini legate insieme da un vero tocco di classe.

Senso dell’incompiutezza e della irrealizzabilita’ delle passioni umane, per cui tutto arriva, vive dentro di noi, e se ne va, senza che mai si riesca davvero a fermarlo. Impossibilita’ ad una vita amorosa che includa tutto, per cui l’oggetto e’ sempre un oggetto perduto, perso e ritrovato ma sostanzialmente inarrivabile, e non si puo’ puo’ avere Vicky e Cristina insieme, bisogna scegliere l’una o l’altra, e nella scelta sempre perdiamo qualcosa.

Impossibilita’ alla realizzazione della fantasia quando si fa atto concreto.


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Sempre buscando, cercando, canta la deliziosa colonna sonora. Possiamo tradire, nella fantasia e nella realta’, cercare cosi’ una rottura anche creativa, ma la liason a trois non puo’ esistere che nell’immaginario, poiche’ quando la realizziamo, pur nella sua travolgente intensita’, essa non sembra destinata a durare.

Siamo inevitabilmente abitati da ambivalenze. Vorremmo grandi emozioni effimere e vorremmo sicurezze. Vorremmo una Vicky e un Ben, stabili e affidabili, e vorremmo una Cristina e un Juan Antonio, artistoidi e un po’ matti. Vorremmo poter sognare e vorremmo concretezza, cosi’ che i matrimoni inevitabilmente devono fare i conti, forse di piu’ per le donne (Vicky da subito, la zia Judy in seguito), con la sottile inappagatezza di cio’ che e’ perduto, e che mai si realizzera’ come lo avremmo sognato.

Il dilemma non e’ nuovo. Ne "Le affinita’ elettive", Goethe fa dire al conte, durante una conversazione con Carlotta sul matrimonio, che

"Una parte nuova si assume sempre volentieri, e quando si conosce il mondo, si capisce come anche nel matrimonio l’inconveniente stia solo in quella sua decisa durata eterna, mentre nel mondo tutto e’ cosi mutevole".

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