ANTONIO DI CIACCIA: LA PSICOANALISI AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

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28 marzo, 2020 - 16:50
Colloquio con  Antonio Di Ciaccia

Bollorino: “Cominciamo dalla psicoanalisi come pratica clinica e istituzione: sedute disdette, terapie via skype, convegni saltati: come cambia la psicoanalisi all’epoca del contagio?
 
Di Ciaccia: Il reale del coronavirus entra in pompa magna nella nostra esistenza, facendo a pezzi la nostra sicurezza. Occorre far fronte a questo reale. In queste circostanze suona profondamente vera la frase di Freud che tra gli impossibili c'è il governare. Ma, come vediamo giorno dopo giorno, tra gli impossibili c'è anche il curare. E c'è anche quella versione che è lo psicoanalizzare. Si tratta di un impossibile strutturale, ma oggi ne vediamo anche il suo aspetto dovuto alla congiuntura attuale. Sappiamo che in tali situazioni, che emergono in modo contingente, qualcosa dell'ordine del necessario si impone per cui quando arriveremo al dopo sappiamo fin da ora che non sarà più come prima.
Quid rispetto alla psicoanalisi? 
Ritengo che la cosa tocchi solo in modo relativo l'istituzione burocratica delle diverse Società e Scuole. Da questa emergenza esse potrebbero trarne un insegnamento snellendo il loro funzionamento e la loro organizzazione istituzionale tramite i social attualmente disponibili.
La cosa è invece da interrogare a livello etico, rispetto a quello che Lacan chiama il discorso dell'analista. In una situazione come questa emerge chiara la ripartizione tra psicoterapia e psicoanalisi. L'arte della psicoterapia è quella di saper cogliere la parola del sofferente, di saper rispondere con una parola che sappia disangosciare e tentare di simbolizzare il trauma. Lo strumento è la parola, la parola che domanda e la parola che sa rispondere.
Sono lunghezze d'onda presenti in un'analisi, ma la psicoanalisi punta oltre, verso la messa in logica di ciò che causa quel godimento (così lo ha chiamato Freud) che è insito nel sintomo che fa soffrire. Per questa operazione lo psicoanalista, oltre a saper rispondere, si trova a incarnare la presenza reale di quell'oggetto che serve all'analizzante affinché l'inconscio dica le sue ragioni - ragioni che sono alla base della ripetizione del sintomo.
Nella situazione attuale toccherà a ogni analista, uno per uno, saper non tanto attenersi agli standard ma a quei principi etici che permettano che l'operazione analitica abbia seguito. E saprà valutarlo caso per caso.
 
Bollorino: “Passiamo ai vissuti: cosa portano in seduta i pazienti?”
 
Di Ciaccia: Portano quello che li inquieta. E ciò che li inquieta è, come sempre, veicolato dal quadro del proprio fantasma. Anche l'emergenza che oggi stiamo vivendo. Trovo che un problema centrale riguardi l'analista, il quale, in un momento tragico come questo, si trova a dover cogliere ciò che inquieta l'analizzante, e coglierlo al di là del proprio fantasma, per non prendere fischi per fiaschi, espressione in cui si riduce la critica che Lacan fa al controtransfert. In parole povere, lo psi è innanzitutto capace di far fronte alla propria angoscia? Dato che, per parafrasare una celebre frase, l'angoscia dell'uomo è l'angoscia dell'Altro.
 
Bollorino: “Sembra un film di fantascienza ma la realtà è che non siamo preparati al contagio, che ne pensi?
 
Di Ciaccia: Non siamo mai preparati al trauma. Il trauma è ciò che ci cade addosso e a cui non siamo per niente preparati. Certo, la situazione era impensabile, sebbene sia stata predetta più volte da alcuni scienziati.
 
Bollorino: “Cosa potrebbe lasciarci di positivo questa esperienza che obtorto collo ci tocca di vivere?
 
Di Ciaccia: Questa esperienza ci può far ricordare che la morte è un momento importante della vita. Oserei sperare che anche dal punto di vista politico, a livello nazionale, europeo e mondiale, qualcosa cambi. Ma in realtà in fondo non ci credo. A meno che non si arrivi a comprendere che il nostro pianeta è infettato proprio da noi uomini e che occorre cambiare registro.
 
Bollorino: “La peste del 1300 ci ha “regalato il Decameron cosa potrebbe regalarci in positivo questa guerra al coronavirus?”
 
Di Ciaccia: Ci saranno probabilmente opere d'arte e di pensiero che nasceranno in questa congiuntura. Anch'io mi sforzo per mettercela tutta, anche se si tratta di un'opera in cui sono solo strumento, come traduttore. In questi giorni sto correggendo per Einaudi le bozze del Seminario XIX di Lacan, dal titolo ... o peggio. Un testo stupendo, anche se maledettamente difficile e da studiare al dettaglio. Lacan vi parla del non rapporto strutturale tra l'uomo e la donna. Questo, se rende conto del fatto che, per dirla con il Lacan di un seminario precedente, "Un uomo e una donna possono intendersi, non dico di no. Possono in quanto tali intendersi gridare", tuttavia non impedisce loro di fare l'amore, addirittura di amarsi, a condizione, perdonami quest'altra citazione, di ciò che dice in un testo da lui indirizzato ai Cattolici: "Sono almeno riuscito a far passare nella vostra mente le catene di quella topologia che pone al centro di ciascuno di noi quel luogo beante da cui il niente ci interroga sul nostro sesso e la nostra esistenza? È questo il luogo dove dobbiamo amare il prossimo come noi stessi, poiché in lui questo vuoto è lo stesso".
Bollorino: “Come vivi tu come persona e come analista questa temperie?”
 
Di Ciaccia: Traduco Lacan di cui ricordo ancora la voce. Per quanto riguarda la mia funzione di analista posso dirti che coloro che si sono rivolti a me sanno che, sebbene a distanza, mi trovano presente. Devo però dirti che, più che per loro, sovente essi sono preoccupati per me. Non credo solo perché io rientri in un'età prediletta dal coronavirus, ma perché ciò che caratterizza il transfert è che, quando l'Altro potrebbe venir meno, il soggetto vi si aggrappa ancora di più. Il soggetto lascerà la presa? Lo farà quando l'operazione analitica volgerà al termine, cosa che riduce l'analista a un puro scarto. Eventualmente lasciando una tonalità di amore o di odio ma, se c'è stata analisi, mai di indifferenza.

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