INTERVISTA A LUCIANO DEL PISTOIA: TEORIZZAZIONE ED EVOLUZIONE STORICA DEL CONCETTO DI PARANOIA

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2 aprile, 2020 - 13:11
In questo scritto riporto l’intervista da me condotta, in un caldo pomeriggio di luglio del 2018, al professor Luciano Del Pistoia che, utilizzando un linguaggio fruibile e intuitivo, esemplifica di seguito (iniziando con una rassegna teorico-storica del tema e concludendo con un’analisi sintetica dell’esperienza vissuta del malato) i nodi focali di quel “modo tragico dell’uomo di ribellarsi al nostro destino mortale” che incarna la paranoia (Del Pistoia).
 
Buttini: Cominciamo questa intervista con una caratterizzazione dei vari significati del termine -paranoia-, attraverso la storia del paradigma psicopatologico che lo anima, iniziando dall’ambito tedesco della paranoia kraepeliniana e proseguendo con l’ambito francese del -delirio di interpretazione- di Sérieux & Capgras, caratterizzato non più dal criterio nosodromico ma dal criterio strutturale del meccanismo generatore, a lei la parola.
 
Del Pistoia: in ambito tedesco Kraepelin riconcettualizza il significato della paranoia, afferma (esplicitamente in un articolo del 1920) che non esistono sintomi tipici capaci di caratterizzare la malattia e ragiona all’interno del paradigma di Morel della dégénérescence dove il parametro fondamentale è che la follia è sinonimo di demenza e il criterio valido per fondare il patologico è quello della nosodromia, cioè: il destino della malattia è la demenza precoce; per Kraepelin l’entità della paranoia è nosodromica in quanto progressiva e inevitabile.
Kraepelin spiega che dove c’è delirio di solito ci sono gli schizofrenici (che vanno in rovina) ma, poi, ci sono anche questi malati particolari (i paranoici) che conservano la coerenza nel pensiero e negli atti.
II delirio del paranoico evolve secondo una temporalità lineare e progressiva che, seppur deteriorata, rimane simile alla temporalità della vita; questa è la conclusione a cui giunge Kraepelin ma, in un'ottica strutturale, la temporalità della paranoia appare invece figée e ciclica (come viene descritta nel delirio di Sérieux & Capgras).
Per quanto riguarda l’ambito francese, il delirio di Sérieux & Capgras è l’iniziatore di un filone nuovo di pensare la follia che la vuole riscattare dal concetto di demenza; in linea con il pensiero del Tanzi sulla paranoia (per lui la paranoia non è un ragionamento di un cervello danneggiato dalla demenza ma, invece, è un ragionamento logico che funziona nella sua paralogia, un ragionamento da primitivo, di analogie, similitudini animistiche e intuizioni), Sérieux & Capgras dicono che il delirio di interpretazione è un prodotto di un cervello sano che interpreta a tutti i costi.
Il titolo che Sérieux & Capgras volevano dare a questo delirio non era “delirio di interpretazione” (probabilmente questo esito fu una pressione editoriale), ma era “il delirio di significazione personale” proprio perché, per l’impostazione francese, il meccanismo generatore fondamentale è l’intuizione delirante ossia questo a priori che dice -è così- e che viene rivestito dall’accreditamento sociale del delirio (con il bisogno del paranoico di dimostrare la verità di quanto afferma e di convincere il pubblico che fa da testimone).
Analizzando i ragionamenti dei paranoici, ci accorgiamo che questi sono paralogismi e non sillogismi in quanto il nesso fra premessa maggiore e minore è fondato sull'attributo che essi hanno in comune; il sillogismo classico è: “tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo -l’attributo di Socrate è l’equivalente del soggetto della premessa maggiore- allora per deduzione Socrate è mortale”; se, invece, si dicesse: “il dottore ha il pullover celeste, Gesù aveva gli occhi celesti e allora il dottore è Gesù” questa è una paralogia e non una deduzione, il delirio di interpretazione è prodotto da una ragione funzionante ma distorcente.
Avviene proprio in Francia la trasformazione del delirio cronico da un tema che evolve nel tempo (nella degenerazione) a un meccanismo che produce come uno stampo questo tema interpretativo; Sérieux & Capgras sono i primi che dicono (in polemica con la visione, del loro maestro Magnan, del delirio cronico a evoluzione sistematica e progressiva) che il delirio si espande ma non evolve; inoltre, con la nozione di meccanismo generatore, si passa dal piano contenutistico al piano strutturale e formale, cioè nel paranoico è presente una iperattività eccessiva di una funzione psichica normale.
 
Buttini: Dall’impostazione francese (incentrata sulla nozione di squilibrio delle funzioni psichiche) emergono le psicosi passionali descritte da de Clérambault che, sul piano psicopatologico, offrono due interessanti prospettive: il meccanismo passionale e la struttura in settore, le chiederei di descriverle e inoltre, per completare questo excursus storico-clinico sulle varie forme della Paranoia, mi piacerebbe terminare con la concettualizzazione Kretschmeriana che ha lo straordinario merito di aver conferito al delirio un significato comprensibile, all'insegna del rifiuto della processualità demenzialista.
 
Del Pistoia: Sullo slancio di Sérieux & Capgras vengono fuori le psicosi passionali descritte da de Clérambault che parla non più di delirio en réseau (il delirio “a rete” di Sérieux & Capgras che prende, cioè, nel delirio tutta la realtà e divora l’intera esistenza del malato) ma di struttura en secteur (a settore) laddove il delirio sarebbe ristretto a un singolo settore di vita, al di fuori di questo i passionali hanno un normale vissuto di realtà.
Quello che caratterizza queste psicosi passionali per de Clérambault è il postulato cognitivo proprio del meccanismo passionale, cioè il tema che le caratterizza: il tradimento per il geloso, l’imbroglio per il querulomane, l'amore per l'erotomane, oppure, come avrebbero detto Sérieux & Capgras, l’intuizione: “mio marito mi tradisce/lei mi ama/il giudice mi ha ingannato!”.
Nel sistema francese c’è la speranza di comprendere il delirio non sulla base dei sui contenuti ma sulla base di una struttura ossia del meccanismo generatore (che si configura come il meccanismo interpretativo per Sérieux & Capgras, come il meccanismo passionale per de Clérambault o come il meccanismo immaginativo per Dupré) che innesca il delirio.
La paranoia ha il suo fascino perché ha sempre dato l’impressione di poter cogliere la struttura del delirio, in quanto delirio verosimile, all’interno della finalità di accedere a una curabilità; il pensiero Kretschmer sposta il baricentro dalla nozione di degenerazione-demenziale di Morel e Magnan a quella di processo: il delirio è visto come uno stile di personalità e, da qui, ecco la sua comprensibilità.
Il pensiero di Kretschmer si allinea agli autori francesi (Toulouse, Genil-Perrin, Montassut, Achille-Delmas) che fanno del delirio paranoico uno sviluppo quantitativo di tratti di personalità; su questa idea del delirio caratterogeno (in stretta relazione con le provocazioni ambientali), proprio Toulouse con i suoi allievi (Genil-Perrin e Montassut) fonda nel 1926 un Servizio di psichiatria libero con ambulatori e visite domiciliari, il cui polo ospedaliero sarà l’Hopital Henri Rousselle, tutt’oggi esistente nel complesso di sant’Anna.
Su questa linea della paranoia caratterogena troviamo anche Jaspers con i suoi sviluppi di personalità e questo filone di pensiero avrà la massima utilità di erodere terreno alla follia come demenza, sottraendogli l’ambito che la dégénérescence attribuiva alla paranoia.
L’esempio più intrigante in questa mossa è proprio la paranoia descritta da Kretschmer, laddove l’emozione della vergogna pare proprio l’esasperazione quantitativa di un tratto del carattere; alla luce dell’idea di Tatossian del delirio come -autonomizzazione del tema- (si costituisce un unico tema che ingloba tutta l’esistenza del malato), in questi paranoici kretschmeriani si incentra tutto attorno al tema della vergogna, dell’insufficienza e dell’inadeguatezza e, proprio per i suoi tratti astenici e per questa parte depressiva, questa paranoia è maggiormente accessibile al dialogo terapeutico, rispetto alla stenica paranoia -de combat-.
 
Buttini: Dopo questa concettualizzazione evolutiva della Paranoia è arrivato il momento, denso e conclusivo, di proporre una descrizione fenomenologica del mondo della vita del paziente paranoico che si esplica nei vissuti di corporeità/temporalità/spazialità e alterità, con la finalità di comprendere quale sia il Dasein (l’essere-nel-mondo) del paranoico nelle diverse dimensioni del suo mondo vissuto, la invito ad argomentare.
 
Del Pistoia: Per quanto riguarda il Dasein del paranoico, le sintesi precategoriali della Lebenswelt (mondo della vita) trovano il collegamento con l’idea di Sérieux & Capgras (che Tatossian rilancia) del delirio di significazione, il nocciolo della questione risiede proprio nell’intuizione (o come diceva de Clérambault) nel postulato; nella paranoia la via di accesso al contatto con il paziente è basata sull’ascolto e sul cogliere il tema dell’umore e dei neologismi semantici, non fonologici (per esempio, nello schizofrenico i neologismi sono fonologici, ossia parole di nuovo conio, non appartenenti al lessico comune e con l’unico significato che vi attribuisce il paziente), i neologismi semantici del paranoico hanno un duplice significato: una parola conserva, da un lato, il significato corrente ma, dall’altro, ne ha anche uno nuovo che rimanda al delirio; questi neologismi sono, quindi, polisemici.
La paranoia, dal punto di vista fenomenologico, è l'esasperazione della semantica del corpo, i paranoici vivono in una maniera particolare sia l'aspetto del corpo che del linguaggio: in entrambi i casi vi è una decontestualizzazione dei segni (mentre tutte le nostre parole sono polisemiche e il lavoro della comprensione è quello di ridurre la polisemia attraverso la contestualizzazione), nel paranoico è presente una decontestualizzazione dal senso reale e una ricontestualizzazione nel contesto delirante: lo stimolo acquista, cioè, il significato del delirio; il delirante non tollera la polisemia, la mal sopporta in quanto -polisemia- significa ambiguità, proprio quell'ambiguità normale della vita.
Riguardo la spazialità abbiamo la tipica riduzione e annientamento della distanza rispetto all'altro: il paranoico o sente l’altro addosso o cerca di assalire l'altro, la spazialità si intreccia con la corporeità dove abbiamo una perdita della distanza e il tentativo di ristabilirla, ma c'è anche una permeabilità all’altro.
Lo spazio vissuto del paranoico non è popolato di esperienze sensoriali (come quello dello schizofrenico) ma saturato e ossessionato da esperienze simboliche semantiche; il paranoico “intuisce e capisce”, dice Tatossian, quello che lo schizofrenico “sente e prova” e si verifica la perdita della casualità: scompare la possibilità di selezionare gli stimoli contestualizzandoli, sparisce il piacere dell’indifferente, del “questo non mi riguarda”.
Per quanto riguarda la temporalità, è tipicamente congelata e immobile, il delirio è ripetitivo (come dicevano Sérieux & Capgras) e si trova al suo interno uno schema di fissità nel quale, però, c’è una sorpresa: una modalità consumatoria dell’altro, in una prospettiva di tossicodipendenza dalla persona altrui; dentro la ripetitività esiste, quindi, un dinamismo, all’interno di una metafora immaginaria dell’altro che resta, comunque, all'orizzonte.

 

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