SOMEWHERE di Sofia Coppola (USA, 2010)

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2 ottobre, 2012 - 12:33

" - Stai bene?

- Sì........" 
(Somewhere, sulla piscina)

"La mia infanzia non ha mai perso la sua magia, non ha mai perso il suo mistero e non ha mai perso il suo dramma"
(Louise Bourgois)

pol

Un uomo sta andando alla deriva. E' un attore di successo commerciale, bello, giovane, ma la sua vita gira a vuoto, come la roboante e inutile Ferrari ad inzio film.

Poche le parole, scarsi i dialoghi. Siamo costretti a immaginare. Un rapido successo per Johnny, sentito forse come immeritato, un cinema di bassa qualità prigioniero dello star-system, un divorzio che sembra poco parlato, poco consapevolizzato, eccessivamente civile (e la rabbia?), una città, Los Angeles, dove come diceva Woody Allen le gambe si atrofizzano dallo stare in auto... Una solitudine immensa, stolida.

Alberghi di lusso, denaro, donne, sesso anonimo, alcool e pasticche.

Primi venti minuti di insensatezza, vuoto, afasia.

Poi arriva una bambina, una ragazzina di undici anni, Cleo. Intelligente, empatica, sembra un'adolescente già sufficientemente matura, una bambina 'drammaticamente dotata' come diceva Alice Miller, ma solare, a suo modo allegra; avrà dovuto caversela, immaginiamo, tra precoci abbandoni e adulti distratti, ma sembra esservi positivamente riuscita.

E' la figlia di Johnny, frutto inconsapevole di quel maldestro matrimonio. Lui la guarda con simpatia (come non si potrebbe? é carina e deliziosa, e sa stare al suo posto..), ma non la conosce: sbaglia i nomi, le date, si confonde quando gli piomba tra capo e collo, durante una vacanza inaspettata della madre. In fondo, però, avvertiamo che gli fa piacere.

Due sconosciuti si incontrano, silenziosamente si scoprono. Giorni, ore, gli stessi alberghi, i pasti, la televisione, un inutile comparsata per un film in Italia, le auto blu..tutto assume un altro colore, una diversa sfumatura: é condiviso. Tutto diventa sopportabile, se ne può fuggire (l'orrenda televisione italiana), se ne può fare a meno (il sesso, il suo consumo); al balletto stereotipo delle cubiste nude, Johnny sostituisce, nel tempo, la visione stupita e garbata della danza classica di Cleo.

Dal cinema di Sofia Coppola non c'é da aspettarsi capolavori, o azione, o drammi familiari intensamente scavati alla maniera nordeuropea. Forse eccessivo il premio (Leone d'Oro al Festival di Venezia), ma il film, il tocco sensibile e non banale della regista ha una sua qualità, non facile per lo spettatore di oggi (uscito infatti un pò insoddisfatto): é cinema che coltiva il silenzio, l'attesa, la sospensione.

Come nel precedente Lost in traslantion (assai acclamato, ma a mio parere meno riuscito), il riscatto umano si gioca non nei grandi eventi, nei fatti che promuovono la svolta, ma nell'unicità dell'incontro, nella rottura del guscio solitario che apre un soggetto all'altro, che permette il riconoscimento: in Lost era l'incontro sentimentale, in Somewhere é quello tra un padre e una figlia.

Riuscirà Johnny a non girare più a vuoto, a trovare una meta, un centro dentro di sé, come sembra far presagire la scena finale?

Ma lasciamo la trama, del tutto inconsistente. Il cuore pulsante del film sta tutto racchiuso in una splendida immagine, e in un brevissimo scambio di battute. Johnny e Cleo stesi a prendere il sole, l'uno fianco all'altro, ai bordi della piscina del solito hotel, gli occhiali scuri. "Stai bene?" - chiede lui - "" risponde lei. Poi silenzio, goccie d'acqua sulla pelle. Finalmente paghi, finalmente in pace.

Il cinefilo vi avrà facilmente riconosciuto gli echi della Lolita di Kubrik (e peraltro é un film non privo di richiami a vecchi cult), ma la rappresentazione di questa sfumatura edipica, qui solo leggerissimamente erotizzata e anzi lasciata tutta alla fantasia dello spettatore, bisogna dire che risulta sublime. Nella bambina che ritrova il suo papà, e nel padre disfatto che ritrova la sua bambina, c'è tutta la pienezza, ed insieme l'illusione, dell'amore edipico. Quello che poi cercheremo di riprodurre per tutta la vita, sbattendo di qua e di là come farfalle affamate.

Non lo ritroveremo mai; quell'istante magico e fantasticato (la magia del padre che diventa partner), qui a mio parere così ben fotografato, resterà una scena, un significante di cui ci porteremo la traccia, assediati per sempre dalla nostalgia.

Sofia Coppola deve avere amato molto il suo geniale padre. Non credo si possa ridurre ad autobiografismo, ma per rappresentare un'atmosfera, e non già un fatto, così bene senza l'aiuto della parola, bisogna averla sentita. Anche il sole della California, le enormi autostrade, le auto, i boulevard di Hollywood (scenari indimenticabili, una volta visti), tutto concorre a comporre un immaginario strettamente legato a questo amore edipico, certamente vissuto: é lì, in quest'America che in fondo é home per l'attore e la bambina, che esperiscono questo attimo di pienezza, di felicità. Quando il desiderio incontra il suo oggetto, é la felicità umana.

Nel mio vagabondare dopo il film, che sempre mi concedo, nelle strade d'intorno e dentro di me, mi sono chiesta perchè questa immagine tenera e sensuale, dolcemente lolitesca, mi fosse rimasta così impressa. Ho rapidamente ritrovato la memoria di lunghi sabati pomeriggi passati al cinema con mio padre; silenziosissimi pomeriggi che aspettavo tutta la settimana, munita come Cleo del mio quadernino, a vedere film che in gran parte avrei capito e rivisto nel tempo. Ma lì, lì c'era tutto, non c'era bisogno di altro: stai bene? sì.

Se il cinema é diventato, nel tempo, per me e tanti di noi, un'area transizionale su cui lavorare, un universo culturale così importante, che ci fa così bene, in grado di riportarci, nel battito di un'immagine, in contatto col nostro passato, con emozioni antiche, con fantasticazioni così necessarie alla nostra vita mentale, é grazie a quei lontani pomeriggi. O meglio: é in virtù del fantasma che hanno lasciato in me, che oggi posso scriverne e condividerne in queste recensioni (che potremmo chiamare 'inviti ad amare il cinema'). Non solo torniamo in contatto con quei residui emotivi dentro di noi; soprattuttto, quel che più conta, ogni volta li ripariamo un pò.

L'arte é un privilegio, scrive la scultrice Louise Bourgeois. Non soltanto per chi la fa, aggiungiamo noi, ma anche per chi la esperisce e ne può intimamente godere.

L'amore della bambina per il padre può prendere varie strade: nella regista possiamo intravvedere un percorso riuscito di identificazione, in altri casi si arriva ad una quasi totale, commovente dedizione, che dà senso all'intera esistenza.

Scrisse Anna Freud, diversi anni dopo la morte del padre:

"Sogno, come spesso mi accade, che lui c'é ancora. Tutti i miei sogni di questo periodo hanno la stessa caratteristica: il punto principale é rappresentato non dal fatto che io appartengo a lui, ma che lui appartiene a me.(...) egli dice apertamente "io ti sono sempre appartenuto". (corsivo mio, 1993)

Delicata e moderna narrazione non tanto sulla famiglia, come i critici hanno scritto, ma a mio avviso sull'amore edipico, riattualizzato, di una preadolescente con un padre avviato al fallimento, Somewhere lascia in sospeso le soluzioni, ma non é un film senza speranza.

Sia Johnny che Cleo, nel ritrovarsi, trovano lo sbocco (che non sarà facile né scontato) alle loro esistenze monche, solitarie, alla loro fame di senso.

C'é una direzione, alla fine.....

Argentieri S. (1993): Anna Freud, la figlia in: Psicoanalisi al femminile, (a cura di) Veggetti Finzi S., Laterza, Bari

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