VENTI VIRTUALI
Sull'utilizzo professionale della Realtà Virtuale in Psicologia
di Luca Morganti

RIELABORAZIONI VIRTUALI PER TRAUMI REALI

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10 giugno, 2020 - 05:26
di Luca Morganti


Le metodologie di intervento sul trauma sono molteplici in ambito psicoterapeutico, perché il tema rappresenta un classico ambito in cui è riconosciuta la necessità di un supporto psicologico. Un esempio lampante sono le numerose proposte di supporto psicologico che compaiono in questo momento di convivenza col Coronavirus, una condizione clinica che sta purtroppo creando molti traumi. In questo caso un trauma può essere inteso nel senso più classico del termine, ovvero un evento che espone la persona a morte o ad una minaccia di morte, relativa anche ad altre persone: la traumaticità dell’evento può essere tale da colpire sia chi ne è direttamente coinvolto sia chi ha assistito all’evento.

Un concetto cardine per la gestione psicologica del trauma è quello di rielaborazione. Alla base di quasi la totalità delle tecniche di intervento c’è la convinzione che il trauma vada rivissuto in modalità controllata, in modo tale che la nostra mente possa maneggiarne i contenuti con quella cura che non ha potuto avere nel momento in cui essi si sono verificati. La modalità con cui riprendere in mano i contenuti traumatici può variare: alcuni approcci prevedono un contatto a distanza di sicurezza, chiedendo ad esempio al paziente di immaginare ciò che spontaneamente si ricordano del trauma e procedendo in base a quanto il paziente è in grado di portare. Tecniche di scrittura espressiva come quelle di Pennebaker (2004) chiedono di dare una forma verbale a ciò che il paziente ricorda, anche scrivendo solo col dito e senza la penna così che il foglio risulti bianco al termine del lavoro. In questo modo, il movimento del trauma non lascia tracce visibili nel presente, nonostante avvenga nella mente del paziente.

Altre tecniche tra cui l’EMDR prevedono di costruire insieme al paziente una narrazione del ricordo traumatico. Si procede con la definizione di alcune immagini specifiche di intervento che il paziente costruisce nella propria mente e attorno ad esse si interviene con la stimolazione bilaterale, ovvero chiedendo al paziente di seguire il movimento delle dita del terapeuta o di focalizzarsi sulle sensazioni del contatto alternato che il terapeuta produce con le mani sulle mani del paziente, poste sulle ginocchia. La rielaborazione del trauma in questo caso è maggiormente diretta perché il terapeuta guida la strutturazione del ricordo del paziente, definendo insieme a lui alcune immagini specifiche e chiedendo di soffermarsi sulle sensazioni corporee che associa a quel momento.

Come si colloca la realtà virtuale in questo continuum di possibili rielaborazioni traumatiche che va dalla verbalizzazione spontanea del paziente ad una strutturazione più definita che guida l’analisi di alcuni elementi specifici del trauma stesso? L’attenzione da porre con lo strumento virtuale è ancora maggiore rispetto alle riflessioni generali sul trauma, perché l’immersività intrinseca del mezzo va sicuramente dosata in modo attento. Se la rielaborazione del trauma è una modalità con cui il paziente impara a maneggiarlo con cura, parimenti il terapeuta che vuole favorirne una rielaborazione virtuale deve maneggiare con cura l’utilizzo degli scenari immersivi. Tecnicamente, infatti, potremmo facilmente esporre un reduce dalla guerra con sintomi di disturbo post-traumatico da stress ad una simulazione dettagliata del contesto bellico. Leggendo questa frase ad alcuni può già scattare un campanello suonato dal buon senso: non dobbiamo tuttavia dimenticare che la realtà virtuale è uno strumento a disposizione di un numero sempre maggiore di persone, pertanto è possibile che alcuni pazienti abbiano provato a risolvere il proprio conflitto interiore traumatico di guerra esponendosi ad un conflitto virtuale simulativo del contesto reale. Nella serie tv House of cards si vede una scena in cui Will Conway, giovane candidato repubblicano reduce da un conflitto militare ed avversario politico di Frank Underwood, prova nel salotto di casa propria a rientrare in scenari di guerra tramite il proprio visore di realtà virtuale per videogame: questo utilizzo autonomo fa sì che sia dapprima attratto dall’esperienza e quindi estremamente coinvolto nella simulazione, salvo poi uscirne più traumatizzato di prima.

L’utilizzo della realtà virtuale in ambito terapeutico deve essere sempre mediata da un professionista in modo da definire le tempistiche e quali scenari è opportuno fruire. Nel caso di un trauma, uno scenario immersivo dinamico è già un livello complesso da gestire a livello emotivo, pertanto è opportuno iniziare con scenari statici, che ricostruiscono ambienti più che far rivivere scene. In questo modo si riduce la parte di attivazione corporea legata alla sensazione, spesso critica nelle persone traumatizzate, che qualcosa possa accadere improvvistamente nel luogo virtuale.

La realtà virtuale utilizzata come strumento di esposizione semplice può lasciare troppo il paziente in contatto con il proprio trauma, pertanto è opportuno affiancare ad essa una risorsa, che può essere sia virtuale sia reale.

Nel primo caso possiamo trovare ambienti virtuali che si occupano non solo di ricostruire contesti traumatici, ma che propongono anche contenuti per gestirli: ad esempio è possibile prevedere momenti di psicoeducazione sugli aspetti stressanti della vicenda vissuta oppure strategie di rilassamento. Entrambe le proposte possono essere maggiormente efficaci se erogate in realtà virtuale perché aumentano il coinvolgimento della persona con la tecnica stessa: i concetti educativi possono risultare meno astratti all’interno di un ambiente virtuale e il rilassamento guidato può dimostrarsi più efficace se applicato mentre si è immersi nel luogo virtuale in cui abbiamo vissuto un’esperienza spiacevole. Un esempio attuale in merito è il recente progetto MindVR (https://www.produzionidalbasso.com/project/mind-vr-la-realta-virtuale-per-il-supporto-psicologico-ai-medici-coinvolti-nella-crisi-covid-19/) ideato dalla dott.ssa Federica Pallavicini: l’obiettivo è lo sviluppo di ambienti virtuali specifici per aiutare il personale sanitario che ha affrontato l’emergenza Covid-19 a superare i traumi che possono essersi sviluppati in quelle situazioni lavorative, a stretto contatto con possibili ripetuti decessi.

Nel secondo caso, aggiungere una risorsa reale significa invece effettuare un intervento psicologico a supporto dell’esperienza virtuale, senza che esso sia situato all’interno della tecnologia: un esempio è la rielaborazione tramite la tecnica EMDR e la sua stimolazione bilaterale. In questa modalità di applicazione, la realtà virtuale viene utilizzata per introdurre la persona nel contesto traumatico, facilitando il ricordo dell’evento; contemporaneamente, al paziente è chiesto di procedere camminando, quindi sperimentando sensazioni bilaterali alternate collegate all’appoggio dei piedi a terra (von Gelderen, Nijdam and Vermetten, 2018). In questo modo si aiuta anche metaforicamente ad attraversare il proprio trauma per andare oltre. Un esempio di questa modalità di intervento è disponibile online in un video del professor Neil Kitchiner al lavoro con veterani di guerra (https://www.youtube.com/watch?time_continue=4&v=IUnWe7tfgSQ).

 

 

Pennebaker, J. W. (2004). Theories, therapies, and taxpayers: On the complexities of the expressive writing paradigm. Clinical Psychology: Science and Practice, 11(2), 138-142.

Van Gelderen, M. J., Nijdam, M. J., & Vermetten, E. (2018). An innovative framework for delivering psychotherapy to patients with treatment-resistant Posttraumatic Stress Disorder: rationale for interactive motion-assisted therapy. Frontiers in psychiatry, 9, 176.

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