Riflessioni (in)attuali
Uno sguardo psicoanalitico sulla vita comune
Il perturbante disagio nella civiltà
È qui che mi sento di collocare “il fattore molesto” che metti in evidenza nel tuo acuto commento del libro: l’onnipresenza dell’aggressività e della distruttività non erotiche. Originanti dalla necessità di rigettare ciò che può causare dispiacere e dolore: il proprio corpo, il mondo esterno e le relazioni con gli altri. Intravvedo l’opposizione tra desiderio che si nutre delle tensioni e del bisogno che le elimina.”
Alberto Luchetti: “Caro Sarantis, davvero problematico questo Il disagio nella civiltà che – per usare le immagini di un filmato di quarant’anni fa – ci conduce con lo sguardo dalla nostra vita quotidiana (o dal divano e poltrona psicoanalitici) alla distanza spazio-temporale di miliardi di anni luce per riprecipitarci nell’infinitamente piccolo degli Ångstrom dell’atomo. Freud inserisce infatti gli interrogativi sulla nostra condizione, passata presente e futura, sul nostro funzionamento e sulla nostra esistenza in cerca di “felicità”, nonché il lavoro psicoanalitico sul nostro malessere, nella cornice sempre più allargata delle società e delle civiltà, e sempre più profonda nel tempo della nostra storia individuale e collettiva, prossima e remota, e dell’evoluzione della nostra specie e dell’universo.
E perturbante, questo Disagio, perché in tale cornice Freud inquadra la nostra condizione peculiare di animali inestricabilmente linguistici e pulsionali, da cui fa discendere, suo malgrado, un “fattore molesto” inconciliabile. Quello di una equivalenza della sessualità pulsionale, che alimenta il nostro psichismo, e dell’autodistruttività, più originaria e potente di ogni tentativo di deviarla in eterodistruttività. Un’equivalenza in cui, più radicalmente ancora, trasformazione e distruzione, continuità e inerzia che tu menzioni in fondo convergono.
Pessimista, questo Disagio? Sì, perché sembra non solo constatarci inadatti alla cultura/civiltà che pure ci è essenziale, ma aggiungere anche quest’ultima a quella sconcertante equivalenza. No, perché affida umilmente alla relazione di corpi umani (come quella psicoanalitica con l’altro, trappola transferale per fantasmi e fabbrica del desiderio), l’impossibile ma indispensabile lavoro culturale di curarci della nostra sofferta e sofferente umanità, per custodire un qualche futuro per noi stessi e dunque per gli altri e per il nostro mondo, conditio sine qua non del nostro esserci ancora”.