CLINICO CONTEMPORANEO
Attualità clinico teoriche, tra psicoanalisi e psichiatria
di Maurizio Montanari

Dottore, lei ha qualcosa contro i gay?

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4 gennaio, 2022 - 12:58
di Maurizio Montanari

 1 L'arrivo
 
Era inverno. Avevo appena cambiato il gestore telefonico della linea nel mio studio, rimpinguato di pellet la stufa nella sala d’attesa quando, fradicio ed ansimante, bussa alla mia porta un giovane uomo, alto, pallido e in evidente affanno, il cui odore di sigaro impregnava le scale. 
Come vede scritto, io ricevo solo su appuntamento’.
Ah, sì d’accordo. Lo immaginavo.’ Qualcosa in me voleva credere si trattasse solo di un banale  espediente escogitato furbescamante  per trovare riparo dalla pioggia nel corso di quel pomeriggio piovoso, essendo il giovedì tutti i locali chiusi. Ma l’odore lasciato in sala d’attesa era il frutto della combustione   un montecristo n. 5 . Quale pazzoide si sarebbe messo a camminare in mezzo alla pioggia con un sigaro da 10- 12 euro acceso, sapendo di inzupparlo compromettendone irrimediabilmente l’aroma e la compattezza,  se non con   lo scopo preciso   di venire a parlarmi? Tornato a casa, la sua voce che gracchia dietro il led che segnala un messaggio inciso in segreteria. ‘ Caro dottore, vorrei conferire con lei, mercoledì prossimo, a qualsia orario. Questo il mio numero per essere ricontattato. Come sottofondo auto che tagliano le pozze d’acqua sulla strada  che schiantano  gocce contro il suo telefono. 
 
‘Lei potrà credermi? Lei ha dei pregiudizi verso gli omosessuali? Per lei la psicosi è una colpa? Sono queste le sue frasi d’esordio, al primo appuntamento, in piedi, in sala d’attesa, ancor prima di avermi dato la mano.  
E se prendo psicofarmaci, cambia qualcosa per lei?’
 Quando lo vedo non posso fare a meno di pensare a Christian Bale de ‘L’uomo senza sonno’.  E’ un essere sfinito, sfibrato. La mancanza di sonno pregresso fa prendere al suo viso connotati grotteschi, per quanto la sua decisa volontà di raccontare una storia appaia come forza preponderante. 
‘ Io sono reduce da una terapia che mi ha rovinato la vita. Ma non sono venuto a chiedere giustizia, o altro. Le chiedo solo di credermi’.
W  di professione fa il giornalista, anche se il giorno che lo ricevo sembra piu’ che altro un pugile suonato. Lo rassicuro in modo preliminare, spogliandomi da qualsiasi veste giudicante o confidente, mossa senza la quale non si sarebbe mai potuto partire in una qualche direzione terapeutica. 
A me non importa nulla dei suoi orientamenti sessuali, e nemmeno mi interessa l’uso delle diagnosi. Io, se lei vuole, sono qua per ascoltare quello che ha da dirmi. Senza filtri, e senza alcun pregiudizio’. Questo esordio lo rassicura, lo placa.
Dopo alcuni incontri, appare un uomo diverso, lucido, capace. Un uomo che ha toccato abissi di sofferenza dai quali riemerge prepotentemente con flussi di lucidità inusitati.
 
La questione del non essere creduto, la supposta caducità della sua parola, il timore di finire sempre e comunque nella parte del mendace: questi elementi contornavano il suo dire come i ritornelli della canzoni degli anni 70. Il tutto originava dal fatto che suo padre non ebbe mai molta fiducia in lui. Mai credette alle sue aspirazioni, mai dette vigore ai suoi desideri. Alle porte dell’adolescenza, anziché incarnare la figura di chi sostiene ed autorizza il figlio a spiccare il volo con le proprie ali, si rivelò un uomo capriccioso, ondivago,  con punte di sadismo ed invidia che tennero W sempre al di qual della vita vissuta.
Non credo a nulla di quello che dici di voler fare da grande. Tu se e resterai un fallito!Sei un frocio! sono i primi accenni del romanzo familiare del suo passato che W , non senza affanno e costanti fitte al cuore, riscriveva nel mio studio.  Una storia che narra di un ragazzo di discrete capacità e ben dotato di desiderio, che incontrò lungo il suo cammino non il padre che da il fallo e lo instrada lungo i sentieri della vita, quanto un arcigno e geloso uomo che soffriva la crescita del figlio visto come rivale  e al quale non ' perdonoò ' mai l'omosessualità. Al ritornello di frasi quali ‘ Io ti mantengo, tu non vali nulla!’ prese il via sin dall’infanzia un opera di abbattimento morale, smorzamento, livellamento delle idee e potatura dei sogni  che fu l’asse della  difficile pre adolescenza di W,  costretto ad osservare , soffrendone non poco, altri padri incoraggiare i suoi coetanei i quali entravano uno ad uno nella vita, mentre lui restava sulla soglia, in attesa di un autorizzazione  che non venne mai. 
Ricordavo di aver letto, tempo prima, la rivista per la quale            W lavorava. Un interessante magazine socio politico che indagava i costumi della società mettendo in tensione politica,  psicoanalisi ed attualità.  Questo il titolo della   rubrica che tenevo su quella rivista.           Mi occupavo di sociale, di volontariato. Mi sono sempre interessato delle minoranze perché, sa, io sono gay’.
Non era ancora sdraiato sul lettino, per questo motivo mi colpì la fredda paura che fuoriusciva dai suoi occhi che congelò le parole, brandendomi con uno sguardo angosciato mentre si teneva stretto alle maniglie della poltrona, con gli occhi socchiusi, quasi come se si attendesse una severa reprimenda.
Beh, non dice nulla?’
Scusi, a proposito di che?’
‘ Del mio outing, del mio aver confessato di essere gay’
Per prima cosa in analisi non si ‘confessa un bel nulla. Per quel che riguarda la sua paura di una mia reazione, non vedo cosa avrei dovuto dire.
Non si spaventa? Non mi suggerisce vie di ‘guarigione’?
‘ Ma nemmeno per sogno’
Lacan ha scritto: allo psicoanalista non si confessa un bel niente. Si va a dirgli, semplicemente, tutto quello che passa per la testa. Parole, appunto. (...).  Sta all’analista mettere in fila le parole che ascolta e dargli un senso, un significato. (...) Attraverso le parole dell’uno, l’altro cerca di farsi un’idea di che cosa si tratta, e di trovare al di là del sintomo apparente il difficile nodo della verità.
 
Mi allaccio la giacca e , mentre percorro la fila di bottoni a contenere le emozioni del giorno, non posso fare a meno di rivedere le espressioni di terrore che W  aveva mostrato in quella che aveva definito, senza tanti girarci attorno, la sua ’confessione’.
Scendo le scale, saluto la signora delle pulizie e noto quanto si sia fatta vecchia e stanca.
‘ Ci prendiamo un caffe?’
No dottore, grazie. Lei è sempre molto gentile ma sa, gli abiti che porto addosso mi impediscono di entrare un caffè serenamente’.
Vero, la sua condizione di ‘ donna delle pulizie’ comportava un abbigliamento sempre dimesso, quando non sporco e trasandato. Il suo mestiere la relegava ai margini della vita sociale. Il giudizio, per quelli come lei, era sempre in agguato.
Mi accendo il sigaro, alzo il bavero e lascio fluire le mie inquietudini.
Perché W  aveva paura di dire della sua omosessualità?
Mica sarà finito in uno di quegli squallidi   studi ove si pratica la cosiddetta ‘ terapia riparativa?
Era finito nelle grinfie di un collega che operava in maniera confessionale?
Penso, osservo, sfrego le mia mani una nell’altra, osservo i miei lineamenti davanti allo specchio, proprio come quando ci si rade, per capire se una mia  smorfia, una mia inflessione,  o un mio sguardo male interpretato possano ave suscitato in lui quel timore di essere giudicato perché omosessuale’.
Mi rabbocco le coperte, leggo il puntuale messaggio di W  ‘ domani sarò in studio alle nove esatte’. Un bisogno estremo di sapere che io manterrò la mia posizione, un timore malcelato di chi, probabilmente, ha visto quella posizione venire meno piu’ volte.
 
Un giorno il mio terapeuta mi disse di alzarmi dal lettino. Si levò dalla sedia  e mi si sedette innanzi, con le gambe ai lati dello schienale della sedia, inforcandola come fano i poliziotti nelle serie televisive per assumere una parvenza conciliante e al contempo minacciosa con l’imputato.
Lei, vorrebbe scrivere per la rivista che io dirigo?
‘ Prego?’
‘ Lei se la cava con le lettere.. I suoi articoli starebbero bene nella nostra rivista. CI pensi su. Ne parliamo in seduta la settimana prossima’
Li per li, il fatto che il mio terapeuta mi chiedesse di lavorare per lui, non mi parve un ostacolo anzi, un complimento, un segno di riconoscimento del mio talento
Il desiderio di essere riconosciuto. Ciò che da sempre desideravo, ciò che mi condusse all’inferno. Si trattava di una violazione deontologica gravissima, densa di conseguenze nefaste sia per l’analizzarne, che per l’analista. Una poltiglia di transfert e controtransfert  che lo avrebbero stritolato. (...)

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