IL SOGGETTO COLLETTIVO
Il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale
di Antonello Sciacchitano

Sulla struttura

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18 novembre, 2022 - 09:06
di Antonello Sciacchitano

Cos’è una struttura?

Il vocabolario Sabatini-Coletti ci informa che “struttura” indica il complesso degli elementi di un organismo, di una costruzione o di un sistema, considerati nei loro rapporti e nella loro reciproca dipendenza. Per farmi intendere da filosofi, letterati e storici, in genere dagli umanisti, tradurrei la definizione in modo antropomorfo, cioè convocando il sapere. Una struttura è un insieme di componenti, ciascuna delle quali “sa” cosa pretendono da lei tutte le altre. Direi che il sapere di una componente è il portato soggettivo delle sue interazioni con tutte le altre. Ancora lo stesso vocabolario ci dice che nel linguaggio scientifico “interazione” significa l’azione o l’influenza reciproca tra due o più termini (componenti) di un sistema. Teniamo in seguito presente la nozione di reciprocità come modello di sapere intersoggettivo.

Questa formulazione del concetto di struttura apre a una concezione del meccanicismo poco meccanica; non invoca il principio di causa ed effetto, che è la radice del meccanicismo forte; la forma debole di meccanicismo riduce il particolare sapere di una componente della struttura alla somma delle interazioni con tutte le altre componenti; perciò Sabatini e Coletti dovrebbero convincere anche l’umanista che apprezzi l’approccio multifattoriale e non abbia difficoltà ad ammettere che possa sfuggirgli buona parte del sapere iscritto nella struttura. La teoria sistemica della soggettività non può prescindere, infatti, dall’insufficienza epistemica del soggetto che la formula; l’insufficienza è tanto maggiore quanto maggiore è il numero delle componenti in gioco e quindi dipende dal numero esponenziale delle interazioni: con tre componenti le interazioni sono otto, con quattro sedici ecc. È il fattore esponenziale a rendere la teoria che ora affronterò, la teoria di Ramsey, intrattabile con il calcolo (v. nota 3), ma non per questo meno scientifica.

In modo paradigmatico e astratto la matematica rappresenta la struttura con un grafo; i vertici del grafo rappresentano le componenti della struttura; gli archi che li collegano le loro interazioni. La teoria dei grafi è la topologia, ma dovrei dire l’epistemologia, delle strutture. Il sapere in gioco è un fatto locale (topos); dipende da come si configurano le interazioni locali di una componente rispetto a tutte le altre, cioè da come materialmente i vertici di un grafo sono connessi tra loro dagli archi. Ci sono interazioni “vicine” e “lontane”; nel grafo strutturale le vicine sono rappresentate da archi che connettono i vertici; in un grafo completo, in cui tutti i vertici sono connessi, tutte le interazioni sono vicine, (topologia banale); le interazioni essenzialmente lontane sono date dall’assenza di archi tra vertici.
 
Non a caso definito strutturalista, Lacan inventò il grafo del desiderio che rappresenta le interazioni strutturali tra il soggetto e l’altro per via dei significanti linguistici. Il motto lacaniano “l’inconscio è strutturato come un linguaggio”[1] testimonia l’origine “strutturalmente” scientifica della psicanalisi. Freud non parlava di interazioni; Lacan solo nei primi scritti; entrambi furono poco scientifici; Freud perché da ippocratico riteneva la medicina una scienza; Lacan perché lontano da Darwin. Il punto da ricordare è che di tutte le innumerevoli interazioni, che coinvolgono il soggetto, solo una minima parte è registrata dalla coscienza, cioè è consapevolmente saputa; tutte le altre rimangono inconsce. Giustamente Freud parlò di “rimozione originaria”, Urverdrängung, nel senso che esisterebbe un sapere inconscio, precedente ogni rimozione, la cui rappresentazione non sale mai alla coscienza, quindi non è neppure mai rimossa; l’inconscio è un sapere – un’effettiva interazione – la cui rappresentazione non si sa di sapere. Freudianamente parlando, ai tempi di Freud il figlio maschio voleva copulare con la madre, non sapendo di saperlo.
 
Un caso paradigmatico

A partire dalla definizione di struttura sopra riportata, nel 1930 il giovane Frank Plumpton Ramsey, non ancora ventisettenne, formulò una teoria generale nell’ambito di una ricerca volta a dimostrare la completezza della logica dei predicati del primo ordine.[2] La teoria è interessante di per sé. Essa si chiede quanto grande (estesa) debba essere una struttura affinché contenga sottostrutture prestabilite. Nel caso di strutture con numero finito di componenti la risposta è data dal numero di Ramsey.
Per fissare le idee, rappresento la struttura con un grafo completo, cioè con tutti i vertici connessi da un arco, e colorato, cioè con i vertici connessi da un arco di due colori, blu o rosso. Gli archi blu rappresentano le componenti che nella struttura interagiscono; gli archi rossi le componenti che nella struttura non interagiscono. n = R(kl) è il numero di Ramsey, cioè il minimo numero di vertici necessario perché il grafo completo contenga sotto-grafi monocromatici o rossi o blu, rispettivamente di elementi, cioè rappresenti necessariamente la struttura (k,l).

Tranquilli, mi fermo qui. Non entro nei dettagli. Mi limito al caso ancora più semplice in cui k = l.[3] Semplificando ulteriormente il problema, restringo al minimo i valori di k e di l e ammetto solo una relazione binaria (due colori) tra sotto-grafi, come la conoscenza reciproca tra persone; mi chiedo, allora, quale sia il numero minimo di persone perché sia necessario che o tre si conoscano (k = 3, sono connessi da archi bluo tre non si conoscano (l = 3, sono connessi da archi rossi). La dimostrazione che R(3,3) = 6 si fa in poche righe. Attenzione, però; nella teoria di Ramsey vale la legge dei piccoli numeri: proprietà valide per numeri piccoli evaporano presto passando a numeri di poco più grandi.
Premessa: la relazione di conoscenza qui in gioco è una relazione binaria simmetrica, dove vale la reciprocità (se A conosce B allora B conosce A e viceversa), ma non è né riflessiva né transitiva; se conosce conosce C allora può conoscere o non conoscere C. Insomma, la conoscenza non è una relazione di equivalenza. I grafi corrispondenti sono poligoni con le rispettive diagonali, senza l’autoriferimento di un vertice a sé stesso. Conoscere l’altro non implica conoscere sé stessi.

Dicevo che la soluzione minimale del problema dei tre conoscenti o dei tre non conoscenti è n = 6La dimostrazione è elementare. “Esaminiamo una persona, diciamo A, e consideriamo la sua relazione con le altre cinque persone, diciamo BCDed Fdeve o conoscere almeno tre di loro o non conoscere almeno tre di loro, perché 2+2 < 5; [la quinta persona è o la terza conosciuta da A o la terza non conosciuta da A]. Supponiamo che conosca tre di loro, diciamo Ced F. Se una qualche coppia di queste tre persone, diciamo C ed F, si conosce, allora ACed F sono tre persone che si conoscono reciprocamente l’una con l’altra. Se nessuna coppia delle tre si conosce reciprocamente, allora queste tre persone non si conoscono reciprocamente. In ogni caso abbiamo trovato una tripla di persone con la proprietà richiesta [: o conoscersi o non conoscersi]. Naturalmente, l’argomentazione è la stessa se non conosce tre delle altre persone”.[4]

Certo, per poter dire che il numero 6 è il minimo possibile, necessario nel caso di 3 persone che si conoscono o 3 persone che non si conoscono, va dimostrato che 5 persone nonsoddisfano il requisito del problema. A tal fine basta disegnare un pentagono completo con due colori: rosso per i lati e blu per le diagonali. Si verifica immediatamente che in tale figura non esiste un triangolo monocolore. Il triangolo monocolore si presenta, invece, nel caso dell’esagono completo di diagonali (verificarlo per esercizio); il triangolo monocolore è la sottostruttura presente nella struttura data di sei persone che o si conoscono (colore rosso) o non si conoscono (colore blu). CVD.
Una sottigliezza: il teorema di Ramsey ha una base insiemistica, ma non si basa sugli elementi dell’insieme, bensì sulla relazione – binaria nell’esempio – tra gli elementi dell’insieme. Ciò implica la considerazione dell’insieme prodotto, su cui glisso.
 
E la psicanalisi?

La matematica non fa una grinza, però all’analista resta un velo di insoddisfazione, per non dire perplessità. Mi chiedo: cosa c’entra quel 6 nella genesi del numero 3, numero fatidico per lui, essendo il numero edipico: padre, madre e figlio? Chissà che non mi risponda qualche lettore più ferrato di me in fatto di psicanalisi o di matematica. La mia questione non è peregrina, però; concerne l’assetto psicanalitico, dato che riguarda il sapere (la conoscenza nell’esempio trattato).

Lacan dimostrò la pertinenza psicanalitica del numero quattro nei matemi dei quattro discorsi, intesi come legame sociale, ciascuno formato da quattro elementi: S1, il significante ontologico dell’essere, S2, il significante epistemico del sapere, il soggetto sbarrato $ e l’oggetto del desiderio a. Inoltre il numero quattro testimonia la presenza del quarto elemento nel complesso edipico: la morte.[5] Ma il numero sei, quale giustificazione psicanalitica avrebbe?

Ricordo che gli antichi greci ritenevano il 6 un numero perfetto, perché somma dei suoi divisori minori di sé stesso: 1, 2 e 3, come il numero 28 del mese lunare, somma di 1, 2, 4, 7, 14. Quanti sono i numeri perfetti? Nessuno lo sa. Si sa che la numerologia si presta a ogni sorta di divagazioni. Lo sperimentò anche Freud proprio con il numero 28 in relazione al ciclo sessuale femminile. Accogliendo la tradizione greca, Agostino sostenne che Dio creò il mondo in sei giorni perché sei è un numero perfetto, quindi il settimo giorno poteva riposare; la matematica lo consentiva. Coincidenze da non scambiare per cause. Per ora lo psicanalista ha a disposizione una congettura apparentemente banale: basta raddoppiare l’edipo, aggiungendo al maschile l’edipo femminile, come Jung che al complesso di Edipo annesse il complesso di Elettra, cioè padre, madre e figlia, e si ottiene proprio la somma 6 = 3+3.

Una coincidenza? Sarà ancora psicanalisi? Certamente non sarà una psicanalisi freudiana, ma qualcosa di più ampio respiro. Riguarderebbe forse la sessuazione,[6] cioè l’assunzione soggettiva del proprio sesso, su cui Freud maestosamente tacque, liquidando il problema in termini anatomici: ai maschi il pene, alle femmine niente. Il tema della sessuazione è oggi di dirompente attualità, come dimostra il movimento LGBT di chi non si riconosce nella scelta binaria del sesso, o rosso o blu. Mezzo secolo fa Lacan propose il neologismo “sessuazione” nel seminario del 26 giugno 1973 e lo riprese nel seminario del 9 aprile 1974. Sue sono le famose e fumose formule “quantiche” della sessuazione, ottenute combinando gli operatori logici universale ed esistenziale con la negazione, supponendo che i sessi siano solo due (sicuri? nei funghi sono molti di più), ma c’è ancora molto altro da dire.

A partire da Ramsey eventualmente.
 
 



[1] V. Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicanalisi, 1953, in J. Lacan, Écrits, Seuil, Paris 1966, p. 269.
[2] F.P. Ramsey, On a problem of formal logic, Proc. London Math. Soc. 30, 1930, pp. 264-286. All’epoca Freud scriveva Il disagio nella civiltà.
[3] Erdös dimostrò con metodi probabilistici innovativi la formula esponenziale R(k) > 2k/2. P. Erdös, Some remarks on the Theory of Graphs, Bull. Amer. Math. Soc., 53, 1947, 292.
[4] R.L. Graham, B.L. Rothschild e J.H. Spencer, Ramsey Theory, John Wiley, New York 1980, p. 1. Il libro riporta un’ampia citazione del saggio di Ramsey, che mette in rilievo il caso infinito: in ogni struttura infinita c’è una sottostruttura infinita di un certo tipo.
[5] V. J. Lacan, Varianti della cura tipo (1955), in Écrits, Seuil, Paris 1966, pp. 361-362.
[6] Il termine “sessuazione”, in francese sexuation, è un neologismo inventato da Lacan; non esiste nel vocabolario citato all’inizio.

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