Intervista a Bernardo Parrella

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18 settembre, 2012 - 19:56

 

Credo cheil modo migliore di presentare questa antologia di testi, in cui sono raccoltialcuni articoli di autori statunitensi e italiani, su riflessioni e analisidelle tendenze e del futuro della comunicazione, sia farlo con un'intervista a Bernardo Parrella, curatore dell'antologiae moderatore dell'omonimo forum.
 

A.G.: Innanzitutto Le chiedo di raccontare brevemente ai lettori di Pol.it come si svolgela sua attività nel campo editoriale e nel mondo dell'informatica.

B.P.: La miaattività prevalente è di giornalista free-lance. Giàda alcuni anni sono molto interessato (oltre che coinvolto) al mondo dellacomunicazione e della telematica. Dall'inizio degli anni '90 ho iniziatoa collaborare con Agorà Telematica e The WELL, e a partire dal '93vivo e lavoro a San Francisco. 
Da qui hoproseguito e ampliato le mie corrispondenze per diverse situazioni italiane- dalla moderazione della Conferenza Community Network su Agorà,al mensile Virtual, a contributi per diversi quotidiani e newsletter.  
Tra le collaborazionisparse in questi anni, sono apparsi articoli per alcuni giornali specializzatiin lingua inglese : On-line World (UK),Internet World, EducomReview (US). 
Tra le semprepiù frenetiche attività on-line, ho fornito collaborazionialla rivista-web di Howard Rheingold, Electric Minds.Mentre sulfronte italiano invio  regolarmente articoli e altro per la web-zinedelle edizioni Apogeo, con cui da tempo collaboro attivamente: dalla traduzionedel libro di Sherry Turkle La vita sullo schermo,uscito  loscorso anno, all'antologia Gens electrica

A. G.: Entrosubito nel merito dell'analisi degli articoli di questa antologia, chepresenta temi molto vari, sottolineando la  spiccata differenza dilinguaggio e contenuti tra i contributi degli autori americani e quelliitaliani: contrariamente però allo stile di autori ormai consideraticlassici come Negroponte, de Kerckhove e altri, questi contributi americani(in particolare quelli di Ellen Ullman, J. Lanier e P. Borsook e B. Sterling)sono decisamente orientati in senso critico e autocritico rispetto all'usodel mezzo telematico, che appare sempre più caratterizzatoda una sorta di alienazione di chi usa il computer quotidianamente.  
Si trattadi un fenomeno minoritario nella cosiddetta comunità wired-style,o è una tendenza destinata a diventare più rappresentativanel variegato mondo della gens electrica?

B.P.: Generalmentele critiche e anche le autocritiche relative allo sviluppo tecnologicohanno sempre uno spazio rilevante nel dibattito sia tra gli intellettualiin senso lato che tra i protagonisti stessi di questi processi  tecnologicidella cultura statunitense moderna, dominata dalla filosofia della cosiddetta"rivoluzione digitale" (lanciata anche come slogan pubblicitario dal Wireddi Rossetto & co). 
Tra questi,basti citare Lewis Mumford (Technics and Civilation, The Mythof the Machine, 1935-40) e Ivan Illich (Deschooling Society,1964), o ai nostri giorni gente come Langdon Winner, definito dal WallStreet Journal "il maggiore studioso delle politiche sulla tecnologia"e autore nel 1977 di  in quello che è ormai divenuto un classico(almeno negli USA), Autonomous Technology, libro da tempo esauritoe di cui si attende l'edizione del prossimo anno ampiamente rivista e corretta.Ancora, il pensiero di questi e altri autori viene regolarmente ripresoda Howard Rheingold, che conosciuto nel mondo informatico come il profetadelle comunità virtuali. Sulla medesima lunghezza d'onda (pensarecriticamente la tecnosfera che abitiamo, per riprendere una recentenota di Rheingold) si trovano diversi statunitensi come quelli inclusiin Gens electrica.  
Il guaioé che i mass-media - soprattutto italiani - hanno preferito spesso,diffondere immagini univoche della realtà,  puntando sui grossititoli-shock che colpiscono  l'attenzione del lettore ignaro, e ciòé decisamente fuori luogo soprattutto per ciò che concernel'universo digitale, che per sua natura appare decentrato, multiforme,rizomatico, imprevedibile. Ed é un fatto che neppure i "futuristiconvinti" come Negroponte abbiano poi visioni così unidirezionali,a ben vedere.  
Èdavvero un peccato che fuori dagli USA, in particolare, queste riflessionisull'uso del mezzo telematico non siano diffuse correttamente e seguitedal grande pubblico. In sostanza, non direi si tratti di fenomeno minoritariodella comunità wired-style, quanto di aspetti tecnologici,sociali e culturali troppo ignorati dai media, comunque sempre presentie in decisa fase crescente ora che pare esaurirsi un pò ovunqueper una sorta di hung-over da Internet (anche dopo la vendita dell'ex-rivoluzionarioWired ad una grande corporation editoriale vecchio stampo). 

A. G.: ... Vorrei aggiungere che questi contributi critici mi hanno indotto auna rivalutazioni delle tesi di Maldonado, che nella "Critica della ragioneinformatica" ha per così dire frenato gli entusiasmi della esiguacomunità dei sostenitori italiani delle rete, avvertendo che Internetnon potrà essere facilmente usato come strumento politico e di liberalizzazionedella comunicazione (in antagonismo con i media tradizionali), ma saràdestinato piuttosto ad essere uno strumento di comunicazione elitario,con tutti i rischi che questo comporta.  
Lo stessoNegroponte qualche anno fa, quando presentò il libroEsseredigitali al pubblico italiano, fece una sorta di profezia molto positivaper l'uso della rete in Italia, paese soffocato  dai lacci politicie burocratici, indicandolo come mezzo per garantire una maggiore democrazia:non so se avesse effettivamente colto nel segno, cosa pensa al riguardo?

B.P.: La questionenon é stabilire a tutti i costi se hanno ragione gli apocalittici(Maldonado) o gli integrati (Negroponte), perché come dicevo, citroviamo ad affrontare per la prima volta nella storia dell'umanitàad affrontare un melting-pot socio-culturale assai fluido, variegato,complesso. Chi dice che Internet sarà destinato ad essere unostrumento di comunicazione elitario dovrebbe quanto meno ripensarealla storia della diffusione del telefono, strumento elitario per eccellenzanelle intenzioni dei suoi ideatori (strumento creato e diffuso, in fondo,per favorire essenzialmente il business), trasformatosi nell'indispensabilestrumento di comunicazione che sappiamo proprio a causa del suo uso estremamentediffuso.  
A meno chenon si voglia forse dire che il telefono é uno strumento di comunicazioneelitario perché metà del pianeta non lo usa (ancora)... 
Certo, nellatelematica entrano in gioco direttamente i fattori economici (il che nonè necessariamente un male): basti vedere i continui ribassi deiprezzi e la produzione di hardware e software di tutti i tipi e per tuttii gusti per poter affermare con notevole sicurezza che Internet semprepiù va configurandosi come strumento di comunicazione globale, eriuscirà ad affermarsi in tal senso, anche senza la  iper-velocitàche molti vorrebbero a causa dei propri interessi e tra una serie di problemiche non vanno sottovalutati. 
In particolare,per l'Italia c'é e ci sarà lentezza, non tanto nella diffusionedi Internet più o meno tecnicamente intesa (il gap di anni or sonocon gli USA sul fronte hardware-software e risorse varie é pressochéscomparso), quanto piuttosto dal punto di vista culturale e complessivo,perché troppo spesso nuovi e vecchi utenti di Internet rimangonosoffocati nell'inutile diatriba tra apocalittici e integrati, anzichéimparare e sperimentare, indagare e creare nuove possibilità' espressive. 
Come altrovenel mondo, anche in Italia Internet non é né saràli ad esprimere esclusivamente  "cultura rivoluzionaria e underground"alla Negroponte, così come non resterà ad appannaggio diun élite. L'attuale fase di espansione a macchia d'olio lo dimostra,al di là delle cifre sempre difficili da stabilire (attualmentesarebbero 2.560.000 gli utenti secondo il recente sondaggio della Bocconi).In ogni caso, quel che mi pare veramente importante è dotarsi distrumenti critici e creativi per leggere e partecipare di Internet comeulteriore passo avanti, e come estensione digitale delle valenze individualie collettive dell'essere umano del nuovo millennio. 

A.G.: Miha colpito poi l'uso metaforico del termine 'elettrico': "gens electrica","pianeta elettrico" ecc... E' ovviamente l'elettricità la fonteenergetica primaria che permette di alimentare le macchine e i calcolatori.Non a caso nel genere cinematografico dedicato alcatastrofico'e all'apocalittico che domina questa fine di millennio èilblack-out elettrico, che manda in tilt il sistema nervoso deicalcolatori onnipresenti nelle metropoli. 
Non pensiche delegare troppe funzioni alle macchine (per quanto sofisticate e intelligenti...) conduca l'homo faber all'impoverimento di un sapere accumulatofaticosamente nel corso dell'evoluzione?

B.P.: Il termine"Elettrico" (ne ha parlato McLuhan per primo, riferendosi sia al mondodei media che all'intero pianeta) sintetizza con immagine molto efficacel'estensione dell'agire umano attraverso l'uso  di strumenti tecnologici,a cui sempre più ci affidiamo (e ciò non include solo nonsolo il tema del mondo virtuale).  
Questo termineinclude anche l'immagine del movimento, della frenesia di uno stare almondo che diventa sempre più globale, multi-disciplinare, iper-creativo....La sfida che dobbiamo raccogliere sta proprio nel procedere avanti, versoe dentro il "pianeta elettrico" senza per nulla dimenticare quel sapereaccumulato faticosamente nel corso dell'evoluzione. E cos'é la telematica(non tanto l'informatica) se non estensione dell'alfabeto, del sapere orale,del libro, del silenzio comunicativo intorno al caminetto, perfino? E anchegli esperimenti del "virtuale", dai chat agli avatar, dalleliste on-line alla realtà virtuale stretta, non sono altro chericerche verso aspetti meno ovvi, nascosti di noi homo sapiens,tramite sì la tecnologia ma soprattutto tramite la comunicazionetra esseri umani. Sempre che, di nuovo, ci si avvicini alla tecnologiae al virtuale con occhio e mente critica. 
Ovvio cheil tutto risulti fluido e instabile, come dice Sterling. È la naturastessa della telematica, di Internet. Ma è proprio questo il senso:imparare a muoversi e comunicare in ambiti fluidi per scoprire e inventarenuovi spazi, dentro e fuori di noi, per meglio comprendere la natura umana,ora che i mezzi "tradizionali" sembrano non essere più sufficientiper questo, dalla qualità' della vita in ribasso ai problemi psichiatriciche colpiscono sempre più persone. L'instabilità, megliola coscienza dell'instabilità, è qualcosa che di questi tempiaiuta a meglio comprendere, a crescere, a cambiare secondo i ritmi elettrici, ancestrali, profondi di noi stessi e del pianeta. 
 

A. G.:Tornando agli autori del testo, gli italiani mi sembrano, anche se conpunti di vista diversi, decisamente orientati ad una divulgazione di buonlivello riflessiva e critica (trovo interessante l'articolo di Lorenzode Carli, autore di Internet. Memoria e oblio, recensito in questarubrica mesi fa), nel tentativo di spiegare a cosa serve la rete, anchea partire dalla traduzione del gergo dei cybernauti, sconosciutoa coloro che sono off-line. 
Mi sembrache in Italia, anche in base alla mia esperienza diretta, stiamo ancoraaffrontando il problema dell'alfabetizzazione dei giovani utenti, ed èlogico che persone esperte e di buon senso si adoperino cercando di rassicurareil grande pubblico che Internet non è uno strumento demoniaco, edè utile per lavorare e per studiare, contrastando il lavoro di puntualedisinformazione dei media. Sui quotidiani spesso ci sono notizie riguardantiil fenomeno IAD (Internet Addiction Disorder) che comincia ad interessareanche gli psichiatri. Non trovi curioso che ci si preoccupi di un fenomenoche probabilmente si riscontra solo nella fase di grande diffusione delmezzo (come racconta anche la Turkle nei suoi testi) proprio in un paesedove ancora mancano gli elaboratori  per l'uso a livello scolasticodel computer?

B. P.: L'intentoinfatti di questa doppia proposta anche in senso culturale serve ad integrarela visione statunitense, comunque puntata al futuro anche quando si mostrain veste critica: per questo  i testi italiani contenuti in Genselectrica risultano assai più riflessivi e critici, proprioperché hanno la funzione di "rassicurare" il grande pubblico, spessofrastornato dai messaggi confusivi dei mass-media. Il che è comprensibileoltre che giusto, se ci pensiamo bene. Ma lo strano è che, mentreda più parti si parla della disinformazione dei media in quest'ambito,non mi pare che tale tendenza tenda a scemare....vedi il caso della Internet-dipendenza,inesistente come fenomeno generalizzato persino in USA. A meno che nonsi voglia anche parlare di TV-dipendenzaautomobile-dipendenza,sport-dipendenza,sesso-dipendenzacibo-dipendenzae così via. Piuttosto, discipline come la psichiatria, tese all'esplorazionedel sé e delle soluzioni creative ai vari problemi della psiche,dovrebbero impegnarsi per fornire strumenti di lettura e interpretazionecritica delle potenzialità rappresentate in tal senso dai mondi"virtuali", proprio come indicato dalla Turkle.  
Prima ancorache preoccuparsi dei rischi dell'abuso (presunto) della telematica, è preferibile  allargare la riflessione a tutte le possibili conseguenzeche l'uso di uno strumento importante comporta per questioni centrali nellosviluppo psicologico dei singoli e della collettività.  
Ovvero favorirel'accettazione delle opinioni di altri "diversi" da sé, come puredelle parti negative e meno note di sé; interagire tramite discussioniin tempo reale con persone dalle culture e provenienze più disparate;la comunicazione mediata attraverso la rete insegna e a reagire positivamentea situazioni difficili inventando e impersonando altri "personaggi" (avatar), stimolando a conoscere meglio le prorie potenzialità psichiche eutilizzando tali conoscenze nei rapporti con gli altri.  
L'interazionecon le macchine può essere stimolante per pensare se stessi e ilmondo, utilizzando punti di vista inusuali. Queste solo alcune delle complessequestioni di cui (vedi ancora Turkle e altri) le relazioni virtuali e lacomunicazione interattiva sono indubbiamente dei laboratori in progresscontinuo, degli esperimenti a cielo aperto.  
Niente dimeglio per dare nuove svolte alla pratica psichiatrica progressista. 

A. G.: Inriferimento alla comunicazione nelle m-list e news-group, secondo dal tuopunto di vista, in che modo può il "mondo dei bit"(per usare unametafora semplicistica, ma efficace) influenzare ciò che accadenel mondo degli atomi? Nella mia esperienza (frequento prevalentementem-list dell'area psicologico-psichiatrica) sembra che la comunicazionee lo scambio intellettuale mediato on-line rappresenti una sorta di spaziolibero, fluttuante in cui ci si sente più liberi di esprimersi (quindianche di dire ciò che si pensa), poi nel momento in cui ci si incontraricompaiono le distanze, le differenze e le gerarchiedel mondo consueto. 
Semprei merito al lavoro virtuale, di cui si comincia a discutere anche in Italia, mi ha colpito l'osservazione di E. Ullman che al rientro da una riunioneconviviale con i collaboratori della sua 'azienda virtuale', che festeggiavanola buona riuscita di un lavoro 'a termine', consapevole che non li avrebbepiù rivisti in altre occasioni dice "...Fummo attenti a non rivelaretroppo di noi stessi, attenti a non fare troppe ipotesi sul futuro. Eravamotutti degli esperti virtuali....Qual'è il senso di tutta questagente che entra de esce dalla mia vita?" . E un po' malinconicamente rientranel suo ufficio  e si rivolge ai suoi computer/collaboratori chiamandoliper nome. 
L'impressioneche scaturisce da queste letture è che il senso di precarietàdi questo mondo dominato dal decentramento e dal nomadismo, rischi di aumentarenotevolmente il senso di precarietà nei rapporti umani, con tuttoquello che comporta, anche in senso negativo: si tratta di un effetto illusoriodovuto alla rapidità del mezzo o rappresenta un rischio reale?

B. P.: Credoanche per questo caso che sta citando, sia difficile sintetizzare il problemain poche battute, rischiando di dare risposte  troppo semplicistichea temi di grande complessità; non esiste una visione in biancoe nero delle comunicazione on-line, ma piuttosto abbiamo l'immaginedi un caleidoscopio con una vasta gamma di grigi e  soprattutto dicolori; se la comunicazione nelle mailing-list (una fra le tante possibili)sembra volte eccessivamente effimera é perché forse nell'occasionespecifica i partecipanti non possono o non vogliono dare di piùe creare scambi più profondi coinvolgenti, anche passando alla conoscenzadiretta, nel reale; é proprio vero il motto di Rheingold al riguardo: what it is,is up to you; in questi nuovi ambiti comunicativi, tocca proprio anoi decidere cosa e come e quando e perché far sì che gliscambi virtuali vadano ad integrare la vita "comune"; infatti, nell'esempiodi Ullman i vari protagonisti scelgono deliberatamente di non rivelaretroppo di sé, e per di più in un incontro fisico, reale;non vi trovo nulla di strano. Un buon esempio é rappresentato ancheda questa intervista ... 
Non lo facciamoforse migliaia di volte nella vita quotidiana, in mille situazioni diverse,dalle chiacchiere al bar agli incontri intimi? Anzi, dovremmo esser gratiagli ambienti virtuali se riescono a farci notare ciò, a farci prenderecoscienza di tali dinamiche, a consentirci perfino di applicarle coscientementealla vita quotidiana; frammentazione ed effimero fanno pienamente partedella nostra vita sul pianeta, e non certo da oggi: occorre prenderne attoe aggiustare, sperimentare e migliorare di conseguenza le nostre relazioniumani e sociali, anche grazie e tramite il virtuale. 
Riguardo ciò che riferisce la Ullman, non direi affatto che  "malinconicamente"rientra nel suo ufficio  e si rivolge ai suoi computer chiamandoliper nome; si tratta di uno spaccato di vita quotidiana in cui lei raccontadel suo rapporto "reale" e molto concreto che ha con le sue macchine, propriocome altra gente ce l'ha con l'automobile, la TV, l'hobby o lo sport preferito;non dobbiamo cadere nell'atavico trabocchetto di chiuderci al nuovo: poichéé di questo che si tratta in sostanza; tale fluidità dellacomunicazionee e il relativo decentramento delle attività, tipichedella cultura post-moderna,   fanno parte degli inevitabilimutamenti dell' homo sapiens, non bisogna trattarli solo alla streguadi un' illusione, ma piuttosto come sperimentazioni di nuovi modi di essere,sentire, vivere, tra e con e insieme alle macchine, alla tecnologia insenso lato  con occhio critico ma con mente e sensi ben aperti. 

A. G: Perfinire questa conversazione, concluderei con le parole dell'architettoRenzo Piano, promotore di un bel sitosu Internet organizzato dall'omonima fondazione, che organizza workshopdi studio via Internet per insegnare ai giovani progettisti:  
"Il passatoè una costante tentazione. E tuttavia il futuro è l'unicoposto dove possiamo andare, se davvero dobbiamo andare da qualche parte." 

B.P.: ...sono fondamentalmente d'accordo.  
Un'aforisma cinese dice in proposito:  
"La testain mezzo al cielo, i piedi sulla terra"...andare verso il futuro ha sensose conserviamo le radici, in piena coscienza e attenzione. 
 
A.G.:.... a questo punto possiamo invitare coloro che sono interessati a continuarea discutere di questi temi nel forum "Genselectrica".

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