I FARMACI LONG-ACTING NELLE TERAPIE PSICHIATRICHE. OPINIONI DEGLI PSICHIATRI DEI CENTRI DI SALUTE MENTALE DELLA LIGURIA

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29 maggio, 2018 - 17:16

di Paola Magioncalda e Linda Vassallo

Introduzione

Gli antipsicotici a rilascio prolungato sono stati sviluppati negli anni sessanta come nuovo metodo di somministrazione del farmaco volto a far fronte alla scarsa compliance nei pazienti affetti da schizofrenia.

Tali farmaci sono importanti perché la scarsa adesione al trattamento determina un aumento del tasso di ricadute e quindi di riospedalizzazione.

 

Si definiscono long-acting o depôt quegli AP che, per le loro proprietà farmacocinetiche, garantiscono un’attività terapeutica prolungata, con regolari somministrazioni, intervallate nel tempo.

 

La formulazione depôt dei neurolettici convenzionali si ottiene tramite l’esterificazione di molecole short-acting con acidi grassi a catena lunga (acido enantoico e decanoico) e l’uso di un veicolo oleoso che permette la liberazione dell’AP e la sua immissione in circolo in modo lento e regolare.

Il principio attivo del Risperidone, unico atipico long-acting, è contenuto in microsfere di polilattato-poliglicolato (PLG) disperse in soluzione acquosa.

       

 

Nonostante la letteratura segnali che in una percentuale che varia tra il 20% e il 90% dei pazienti schizofrenici non vi sia compliance alla terapia psicofarmacologica (Chue P. 2004), l’introduzione dei farmaci long-acting non ha avuto la diffusione che ci si sarebbe potuti aspettare.

 

Come sottolinea Heres (2005) l’avversione per la prescrizione di tali farmaci è frequente tra gli psichiatri e sembra non essere correlata alla classe di antipsicotici. Le ragioni per non prescrivere long-acting non sono generalmente supportate da giustificazioni cliniche adeguate; sarebbero quindi necessari ulteriori studi per chiarire i vantaggi e/o gli svantaggi dei trattamenti depôt.

 

In questo senso ci è parso importante condurre un’indagine per conoscere e apprendere le opinioni degli psichiatri liguri, valutare le modalità di prescrizione e gli eventuali pregiudizi sulla terapia long-acting.

 

Metodo

Nel periodo Marzo-Giugno 2008 sono stati contattati tutti i medici dei CSM del territorio ligure e sono stati invitati a rispondere alle domande di un questionario riguardante una serie di opinioni circa i long-acting, le loro modalità di somministrazione, la preferenza tra tipici e atipici, la possibile associazione long-acting e psicoterapia, gli eventuali motivi per una non scelta dei long-acting.

La scelta di limitare l’indagine ai CSM, escludendo SPDC, Clinica Psichiatrica e Strutture comunitarie, è dovuta alla funzione prioritaria che il CSM ha nella terapia di mantenimento della schizofrenia.

 

Gli aspetti valutati nel questionario sono:

  • Atteggiamento verso i long-acting
  • Circostanze di utilizzo prevalenti
  • Classe di AP maggiormente usata
  • Cadenza delle somministrazioni
  • % di pazienti in trattamento con depôt
  • Possibile associazione psicoterapia-terapia con depôt
  • Considerazione delle opinioni del paziente
  • Livello di conoscenza farmacocinetica
  • Identità professionale

 

Risultati

I dati si riferiscono ad un campione di 87 medici.

 

I dati più significativi emersi dalle risposte al questionario sono i seguenti:

 

- La maggioranza del campione (96,6%) si dichiara favorevole alla prescrizione dei farmaci long-acting; il dato contrasta con quanto riferito da altri dati della letteratura in cui vengono proposte percentuali più esigue. Il dato è altresì in contrasto con l’effettiva entità numerica dei pazienti che vengono riferiti dai colleghi in trattamento con long-acting (10-20%).

 

- Il long-acting oltre la sua accezione di farmaco per il paziente non compliante (nel 70,2%) si delinea, in un più ristretto gruppo (29,8%), farmaco di utilità terapeutica diversa sia sul piano biologico che relazionale.

Tra gli aspetti segnalati circa l’utilità per la prescrizione dei long-acting, oltre all’apsetto di un miglioramento della compliance, sono emersi: la riduzione del rischio di non adeguata assunzione della terapia, sia in eccesso che in difetto, e la possibilità del mantenimento di un livello plasmatico più costante e adeguato.

Sul piano relazionale vengono segnalati i possibili messaggi simbolici e relazionali di tali terapie.

 

- La preferenza per somministrazioni più rarefatte nel tempo e di maggiore posologia (57% dei casi) potrebbe essere spia di quel possibile distanziamento relazionale da più parti segnalato come rischio della terapia con long-acting.

 

- I pazienti seguiti con terapia long-acting dai colleghi sono in numeri percentuali piuttosto bassi (10,5%).

Questo farebbe pensare ad un gap-divario tra favore per il farmaco e prassi operativa attuata.

 

- Netta è la preferenza per gli antipsicotici atipici; colpisce in questo senso il piccolo gruppo che sembra escludere del tutto tali farmaci dalle proprie scelte terapeutiche privilegiando gli antipsicotici tipici (16,5%).

 

- Accanto ad un 72,9% di medici che ritiene imprescindibile l’opinione del paziente nella prescrizione della terapia, segnaliamo un 27,1% che dice di tener conto di essa "solo in parte" o "no" (in due casi).

Riteniamo che questo gruppo faccia riferimento a dimensioni terapeutiche particolari in cui compito dello psichiatra è andare oltre l’ambivalenza per rispondere davvero ai bisogni più remoti del paziente.

Il depôt, in questo senso, una volta introdotto, potrebbe, se la relazione psichiatra-paziente è buona, avere lo stesso significato.

- Per i pochi sfavorevoli all’uso del long-acting (3 casi) gli argomenti a sfavore sembrano di tipo relazionale e clinico in riferimento alla scarsa ricerca in questo modo di favorire la compliance con altre tecniche.

 

L’isolato accenno alla forma di somministrazione ritenuta poco piacevole (iniezione im) può gettar luce su fantasmi di manovre terapeutiche aggressive, probabilmente frequenti, che di fatto ritroviamo nella pratica clinica e nel piccolo campione sano, proposto a conclusione della ricerca, dove nessuno sceglie tale modalità di somministrazione.

 

- Accanto ad un gruppo più numeroso (74,4%) di colleghi che riconoscono una correlazione tra formazione e modelli prescrittivi dei long-acting esiste un gruppo minore ma ben rappresentato (25,6%) di colleghi che non riconoscono alla formazione la stessa importanza.

Il dato globalmente pare indicativo di quella tendenza all’integrazione tipica dell’attuale psichiatria.

 

- La conoscenza dei farmaci long-acting, per come viene desunta dalle risposte, sembra nel complesso almeno sufficiente. Quasi tutti riconoscono nei long-acting differenze non solo correlate alla loro durata d’azione (96,6%), il 66,7% ritiene di avere una conoscenza media della farmacocinetica dei long-acting, il 24,1% una buona conoscenza, solo il 9,2% una conoscenza mediocre.

 

Conclusioni

Per concludere, la rilettura dei dati ottenuti dalla rilevazione statistica delinea i long-acting come farmaci acquisiti nel bagaglio terapeutico dello psichiatra. Le opinioni su di essi sono generalmente favorevoli, buona è la conoscenza della loro farmacocinetica e della loro generale significatività terapeutica.

Accanto esiste un numero non alto di pazienti trattati con long-acting e un continuo riferirsi alla non compliance che, se anche è l’area di maggiore indicazione, non è necessariamente l’unica; le fantasie emerse sono quelle di costringere il paziente alla cura, agli effetti collaterali pericolosi, alla modalità di somministrazione non piacevole.

 

Si ha l’impressione cioè di ritrovare nella ricerca, in una sorta di modello controidentificativo parallelo alle identificazioni del paziente, alcune delle emozioni che il

long-acting, proprio per le sue caratteristiche oltre il biologico, può elicitare in chi lo prescrive e in chi lo assume.

Viene in mente qui tutta la letteratura sulla psicofarmaco-psicoterapia e sui mille significati che l’oggetto farmaco assume una volta introdotto, e per il medico e per il paziente.

 

"Non vi è nessuno che assuma un farmaco unicamente per ciò che esso è……latte (buono o cattivo),… il farmaco è suscettibile di esercitare le funzioni più diverse e questo non solo per il malato ma anche per il medico….".

 

Gabbard segnala l’importanza della comprensione psicodinamica del processo terapeutico anche in funzione della compliance; in questo senso hanno notevole importanza soprattutto le dinamiche transferali e controtransferali e non solo quelle psichiatra-paziente, ma anche quelle riferite al farmaco (effetti collaterali eccessivi e spropositati, miglioramenti per così dire magici prima del tempo utile per l’azione farmacologica).

Gabbard fa notare, in particolare, come lo psichiatra che prescrive farmaci sia una figura transferale e che, da parte del paziente, la decisione di conformarsi alle raccomandazioni del medico attiva tematiche inconsce di aspettative genitoriali con l’ovvio rischio di eventuali rifiuti all’assunzione come ribellione a tali autorità genitoriali.

E’ probabile che tracce di questi processi si ritrovino nelle contraddizioni e ambivalenze emerse al nostro questionario.

 

Chue P., Compliance and convenience: do phisicians and patients see depôt medication differently?, Acta Neuropsychiatrica 2004; 16: 314-318.

Gabbard GO., Psichiatria psicodinamica. Nuova edizione basata sul DSM-IV., Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995.

Heres S. et al., Attitudes of Psychiatrists Toward Antipsychotic Depôt Medication., J Clin Psychiatry 2006; 67:1948-1953.

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