RELAZIONE DI COSIMO SCHINAIA (Genova)

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30 novembre, 2012 - 14:16

 

LA VIA DEL SALE : UNA RIVISTA AL CROCEVIA DEI SAPERI PSICHIATRICI

Cosimo SCHINAIA, psichiatra, psicoanalista SPI, direttore strutture residenziali levante genovese, D.S.M. A.S.L. 3, Regione Liguria

 

La realtà psichiatrica genovese era stata nel passato autorevolmente rappresentata dalle riviste scientifiche Quaderni di Psichiatria prima e Neuropsichiatriasuccessivamente. Neuropsichiatria si era cimentata nel tentativo di rappresentare le problematiche scientifiche, cliniche, terapeutiche e assistenziali del tempo in cui veniva pubblicata, risentendo ovviamente del contesto storico-culturale, rappresentato dalla persistenza forte del manicomio. La messa in crisi dell'istituzione manicomiale e del conseguente modello assistenziale aveva favorito la fine di quell'esperienza editoriale, senza però che fossero proposti luoghi alternativi di dibattito scientifico e di scambio culturale scritti.

In occasione della costituzione del dipartimento di salute mentale genovese, che veniva a collegare e unificare esperienze di assistenza e di cura estremamente diversificate, si è posta l'esigenza di uno strumento di comunicazione, riflessione ed elaborazione teorica, che potesse permettere a tutti gli operatori un dialogo approfondito e proficuamente creativo.

Un dialogo che si opponesse alla solitudine talvolta terribile in cui spesso ci si trova ad affrontare l'intensità del dolore mentale, le angosce psicotiche dei pazienti; un dialogo che consentisse di attrezzarci meglio a superare i quotidiani intoppi organizzativi e a spostare in avanti quei limiti che spesso le pubbliche amministrazioni impongono a una psichiatria che, se diventasse sempre più povera sia in termini culturali che economici, rischierebbe di amplificare a dismisura le sue caratteristiche di controllo sociale rispetto alla precipua funzione terapeutica.

La Babele di linguaggi tecnici e organizzativi e di opzioni teoriche che risultava quale eredità della precedente rete dei servizi psichiatrici genovesi doveva dare origine non tanto a una sorta di esperanto psichiatrico che abolisse l'autenticità e la genuinità dei dialetti locali, quanto alla possibilità di capirsi, di avere uncommon ground, di accordarsi, come modalità preliminare a ogni autentica operazione integrativa.

Gli operatori dei servizi di salute mentale dovevano far incontrare i propri pensieri individuali, le esperienze del lavoro di équipe, i linguaggi delle singole professionalità, ma dovevano anche dialogare con linguaggi diversi dai loro, quelli dei medici, degli amministratori, dei gestori delle strutture private, dei colleghi di altri servizi vicini come il servizio materno infantile, il SERT, quello per la cura degli anziani, quello per la cura dei disabili, la medicina legale.

Non bastava: bisognava incontrare esperienze e riflessioni di colleghi che lavoravano in servizi psichiatrici geograficamente e culturalmente distanti e poi confrontarsi con magistrati, avvocati, amministratori, politici, ma anche filosofi, scienziati, letterati. Insomma era necessario pensare alla costruzione di una barca che permettesse a servizi tanto giovani quanto complessi di guadagnare il mare aperto con slancio ed entusiasmo, ma anche con perizia e sicurezza.

Lunghe e appassionate sono state le discussioni per dare il nome alla rivista, un nome che fosse simbolicamente esplicativo del progetto editoriale e che rappresentasse contemporaneamente l'ancoraggio alla realtà, quella clinica, quella relazionale, quella sociale, quella organizzativa e, perché no, anche quella geografica.

Abbiamo pertanto deciso di chiamare la rivista La Via del Sale per sottolineare le caratteristiche di percorribilità e di apertura che essa doveva contenere, ma anche per avvertire che i viaggi proposti sarebbero partiti tutti dalla concretezza delle nostre esperienze

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"Quando la meta stava oltre le catene di Alpi e Appennini, le carovane del sale seguivano le alte vie dei monti, in una marcia il più possibile rettilinea, quasi a proseguire la rotta delle navi" (Praga, 1988).

 

Come nella realtà storica era avvenuto, abbiamo voluto che La Via del Sale appartenesse a colui che la percorre, riservandoci, come gruppo redazionale, la funzione di stradini, coloro cioè che provvedono a ripristinare la percorribilità e a mantenere aperta l'antica strada, che altrimenti sarebbe resa impercorribile da erbacce e sterpaglie, e con essa la sua funzione di collegamento e di scambio.

Il gruppo redazionale è costituito da psichiatri, psicologi, assistenti sociali e infermieri del dipartimento di salute mentale e nel tempo si è arricchito dell'apporto di operatori provenienti dal servizio materno infantile, dal servizio anziani e dal SERT nel tentativo allargare il dibattito ad aspetti più ampi, anche se in ogni caso collegati allo specifico psichiatrico.

La scommessa è stata quella di costruire uno strumento di comunicazione che appartenesse alla psichiatria pubblica, sostenuto anche economicamente dall'azienda sanitaria locale, che è proprietaria della testata, che però non si richiudesse nell'ambito del servizio pubblico, offrendo laidamente spazio ai problemi, più che alle appartenenze.

La Via del Sale, avvantaggiandosi dell'esperienza di un precedente bollettino redatto con modalità artigianali, è nata nel 1997 per avere una cadenza di uscita quadrimestrale.

 

"La via del sale va considerata una strada dei periodi primitivi, in contrapposizione con quella dei periodi organizzati, ossia i grandi tracciati di fondovalle che per costruzione, manutenzione e sicurezza richiedono l'opera costante di un'unica organizzazione statale" (Praga, 1988).

 

Abbiamo anche noi optato per una sorta di primitivismo, preferendo cioè un'organizzazione agile e artigianale, che andasse di pari passo con il reale sviluppo del dipartimento di salute mentale, in continuo raccordo anche con i limiti, oltre che con le potenzialità dei servizi, ed evitando in tal modo fughe in avanti di stampo intellettualistico, che avrebbero potuto partorire scissioni tra il gruppo redazionale e il gruppo degli operatori.

 

Al tempo dei trasporti someggiati, che durarono fino all'epoca moderna, il tracciato della via del sale non era stabilmente determinato, ma si frammentava in una molteplicità di itinerari, in rapporto all'eventuale presenza di briganti oppure a causa delle avverse condizioni meteorologiche, quali la nebbia o il gelo; era inoltre possibile trovare riparo nei casoni e dissetarsi alle fontane durante il viaggio. La via del sale era percorsa da mercanti, da semplici viandanti, ma anche da contrabbandieri e da briganti. (Quaini, 1970).

 

Abbiamo voluto che anche la nostra Via del Sale fosse percorsa da una molteplicità di riflessioni: pensieri ufficiali, ma anche pensieri nomadi, riflessioni informali, elaborazioni non necessariamente concluse, aperte, se necessario trasgressive, eccentriche, non conformistiche tanto nei contenuti quanto nello stile.

 

Le antiche vie del sale erano tantissime (ricordo tra le altre la via Salaria dei Romani, oppure la via percorsa nel deserto dai Tuareg); anche la via genovese che dal porto, attraversando gli Appennini, raggiungeva il Piemonte fino alla Pianura Padana, non era l'unica, ma si inseriva in un complesso disegno di comunicazioni, che raggiungeva il Nord dell'Europa.

 

Anche noi abbiamo pensato alla Via del Sale inserita in un ampio reticolo comunicativo, una rete dove differenti linguaggi ed esperienze, diverse teorie e vertici di osservazione potessero coesistere senza colonialismi e riduzionismi e talvolta potessero anche contaminarsi vicendevolmente; una via che aprisse le esperienze genovesi e liguri nel campo della salute mentale al confronto con altre realtà anche geograficamente lontane per un comune arricchimento, evitando municipalismi culturali e relativi irrigidimenti e arroccamenti difensivi.

 

Dai Fenici, ai Punici, ai Greci, ai Romani l'espansione della produzione e della distribuzione del sale andò sempre aumentando, fino a raggiungere nel basso medioevo e all'inizio dell'età moderna un'importanza che oggi sembra incredibile.

Il suo commercio fu fonte di ricchezza, non solo per i mercanti, ma anche per gli erari dei vari stati che, resisi conto ben presto dell'indispensabilità del sale, non mancarono di approfittare della situazione, facendone l'elemento tassabile per eccellenza, da cui trarre tutto il vantaggio possibile.

L'esosità erariale ha favorito il contrabbando del sale, sia come modalità illecita di arricchimento, sia come forma di opposizione alle inique gabelle dello stato centrale. A tal proposito, rifacendomi alla marcia del sale capeggiata in India da Gandhi, vorrei ricordare che così come il sale è di chi lo produce e che nessuno può impunemente detenerne il monopolio, nessuno può arrogarsi il diritto di avere l'esclusiva del sapere.

 

La durevolezza del sale e la sua immunità dal deperimento ne hanno fatto un emblema di immortalità e, quindi, di saggezza. Anticamente si credeva che esercitasse un influsso determinante in favore della fertilità e della fecondità e contro la sterilità.

La stabilità del sale ha contribuito a creare l'idea che condividere il sale con un'altra persona desse luogo a un vincolo di amicizia e di lealtà duratura tra i due; il sale giocava pertanto un ruolo importante nei cerimoniali dell'ospitalità. Analoga applicazione trovava a conferma di giuramenti, a ratifica dei patti, a suggello di accordi solenni.

Jones (1971) deduce dalle ricerche antropologiche la caratteristica ambivalenza legata all'uso del sale nel folklore e nelle religioni.

Abbiamo voluto che le caratteristiche della fertilità e dell'ambivalenza, intesa come potenzialità, legate al sale fossero l'humus culturale della nostra rivista, che avrebbe dovuto assumere la capacità di veicolare messaggi insaturi, di ospitare linguaggi polisemici, aperti, non definitivi, capaci di rendere fertile il campo, stimolando il lettore a metterci del suo, a farsi protagonista di un progetto condiviso.

La Via del Sale si è costituita come opportunità per un viaggio attraverso una strada aperta e ombreggiata e come luogo per incontri che continuiamo ad augurarci fecondi e sorprendenti. Non ha voluto essere e non sarà mai la rivista ufficiale, la Verità, la Pravda, ma ha provato ad alimentare il dibattito e la ricerca mettendo a confronto democraticamente tutti i linguaggi, tutte le professionalità.

Il gruppo redazionale si è posto l'obiettivo di cogliere in nuce le problematiche emergenti, le aree di sofferenza elaborativa, i pensieri collettivi in statu nascendi, affinando la capacità di annusare l'aria che tira e proponendo la rivista come luogo di riferimento per una riflessione comune senza conformistici unanimismi, ma anzi dando spazio all'originalità dei contributi individuali.

 

Perché un progetto tanto ambizioso, quanto specifico potesse prendere forma, la costruzione della copertina è stata affidata a un grafico di valore, Aristo Ciruzzi e le illustrazioni delle rubriche a un illustratore d'eccezione, Lele Luzzati, dopo appassionati incontri con i redattori.

La rivista è stata ripartita in una serie di rubriche che potessero accogliere tematiche, ma anche stili differenti, evitando di privilegiare particolari apporti teorici e tecnici in favore di un misurato eclettismo, ma mantenendo fermi alcuni principi basilari: il rigore metodologico, l'attenzione umanistica, l'opposizione a ogni forma di riduttivismo (sia organicistico che psicologico o sociale), la continua messa in discussione delle pratiche istituzionali.

E' stato dato spazio, oltre che ai tradizionali contributi scientifici, a scritti brevi dallo stile fresco e immediato, definiti segnali di fumo, che avvertono di riflessioni iniziali, di progetti in via di definizione, di nuove ipotesi organizzative, a descrizioni di esperienze in atto, magari nelle prime fasi, nella rubrica corno inglese, a poesie, annunci, ricordi, recensioni, letture.

Il gruppo redazionale si è dato tempi e luoghi di discussione e di lavoro editoriale ed ha organizzato momenti di incontro e di verifica del proprio operato e del progetto con tutti gli operatori nelle loro sedi di lavoro. Queste modalità operative sono state ritenute necessarie per esaltare la funzione pubblica della rivista, evitando arroccamenti su preconcette posizioni di piccolo gruppo e, quindi, operazioni che, con il passare del tempo, avrebbero potuto mostrare un'intrinseca sterilità culturale.

La pratica di partecipazione e, in un certo senso, di costruzione comune della linea editoriale della rivista, la mancanza di censura dei contributi dovuta anche alla varietà delle rubriche, (al massimo si chiede all'autore di precisare meglio alcuni concetti, oppure si interviene se sussistono dubbi di ordine etico e deontologico) costituiscono la garanzia della sua agilità, vitalità e democraticità.

Questa pratica ha permesso un'ampia e articolata riflessione sul senso dello scrivere in psichiatria.

Quando qualcuno decide di scrivere un articolo scientifico, dovrebbe innanzitutto interrogarsi sul senso che questa operazione può avere: se si tratta, cioè di un'operazione volta alla comunicazione di un'esperienza significativa, di una riflessione approfondita, di una formulazione teorica nuova e originale, oppure se si tratta di un'operazione volta a soddisfare i propri bisogni narcisistici ed esibizionistici che, seppure presenti fisiologicamente ogni volta che qualcuno espone se stesso e le proprie idee in pubblico, qualora fossero predominanti, determinerebbero un prodotto superfluo e ridondante, inautentico e, pertanto, incapace di comunicare al lettore la presenza intenzionale ed emotiva dell'autore.

Sono più di due milioni gli articoli pubblicati annualmente dalla stampa biomedica internazionale. E' diventato assolutamente impossibile orientarsi all'interno di un numero così evidentemente pletorico. Prevalgono sovente ragioni di ordine economico, di carriera accademica, di acquisizione di titoli (scarsi con le recenti norme) per i concorsi pubblici o di spinta delle case farmaceutiche che stimolano una sovrapproduzione di lavoriscientifici o pseudoscientifici, con la presenza talvolta di episodi di frode, di plagi, che non fanno bene alla comunità scientifica. (Pancheri, 1995)

La sovrabbondanza di lavori scientifici è stata ulteriormente accentuata dal ricorso alle ricerche in Internet, dove accanto a titoli prestigiosi, spesso sono presenti lavori decisamente scadenti o scientificamente irrilevanti, in una sorta di consumistico supermercato dei papers, in cui il povero lettore rischia di avere serie difficoltà di discernimento.

Allora che fare? Non scrivere? Non pubblicare? Non leggere? Certamente no. Si tratta più semplicemente di imparare a scrivere per gli altri e non solo per se stessi, di avere riviste con comitati di redazione e con referees onesti e collaborativi con l'autore. Dovrebbero prevalere i consigli e i tentativi di revisione del testo con pieno coinvolgimento tecnico, ma anche emotivo dell'autore, piuttosto che atteggiamenti superegoici, giudicanti, distruttivi, castranti o, al contrario, superficialmente lassisti, irresponsabili e deresponsabilizzanti.

Questo problema si è posto come centrale per una rivista come la nostra che ha l'ambizione di fare scrivere tutti, compresi gli operatori di base, e che ha voluto costituirsi come agorà al cui interno mettere a confronto i linguaggi specialistici con quelli più quotidiani, i generi letterari e gli stili differenti, le competenze più diversificate.

La scelta della redazione di ampliare il cast degli autori, presuppone, però, un continuo e dinamico dialogo con i singoli autori e con tutti gli operatori, a loro volta potenziali scrittori, per ottenere insieme un buon prodotto, una rivista cioè che contemporaneamente possa essere espressione dello stato attuale dell'arte, ma che sia anche spia di quanto di nuovo comincia a muoversi all'interno dei servizi dal punto di vista tecnico, organizzativo, politico, prima che sia raggiunta una visibile massa critica.

Si possono scrivere anche cose semplici, con prevalenza degli aspetti descrittivi, ma possibilmente bene, con un linguaggio corretto, non infarcito di spesso inutili termini stranieri, a tutti accessibile e, quindi, non gergale, ma non per questo sciatto, superficiale, non in grado di dare il polso dell'argomento di cui si è scritto.

Le prime e più comuni domande che come gruppo redazionale ci poniamo sono queste: l'esposizione è chiara? Tiene sufficientemente conto della letteratura rilevante sull'argomento trattato? Il lavoro è corredato da una corretta bibliografia? Il titolo è appropriato rispetto ai contenuti? Si tratta di uno scritto che non danneggia o offende qualcuno ed è rispettoso del paziente e del suo diritto alla privatezza? E, qualora sussistano elementi di riconoscibilità, è stato chiesto in anticipo il permesso di pubblicare informazioni che possano rendere riconoscibile la situazione clinica o sociale dell'interessato?

Si tratta di uno scritto che può migliorare la conoscenza, la professionalità, o più semplicemente stimolare la curiosità di chi lavora nel campo della psichiatria pubblica, ma anche di chi eventualmente ai problemi della salute mentale vuole approcciarsi per altri motivi, quali lo studio, o il volontariato, o l'avere un familiare sofferente o l'operare nel campo del sociale?

Alcune di queste domande sono o dovrebbero essere tipiche di ogni gruppo redazionale di riviste scientifiche, ma l'ultima in particolare ha a che fare con un obiettivo specifico de La Via del Sale ed è questo obiettivo apparentemente minimo, in realtà molto ambizioso, e cioè la costruzione di uno strumento che permetta una sorta di educazione e di stimolo alla scrittura, a connotare in termini originali la nostra rivista e a garantirle uno spazio autonomo nel variegato panorama dell'editoria psichiatrica nazionale.

Ognuno, singolarmente o collettivamente, può inviare i propri lavori, le proprie riflessioni, le proprie ipotesi teoriche senza alcun timore di venire giudicato, anzi con la convinzione che in tal modo aprirà un dialogo proficuo prima con i redattori e poi con tutti i lettori de La Via del Sale. La rivista, anzi, potrà continuare a vivere in presenza di una concorrenza fortissima, solo se saprà ottimizzare le proprie caratteristiche di originalità e, al contrario, diventerebbe obsoleta e superflua, se cercasse di imitare nello stile e nei contenuti riviste che hanno a loro disposizione più storia e più mezzi.

La scommessa de La Via del Sale sarà vinta solo se gli autori saranno in numero sempre maggiore i loro scritti sempre più originali e autentici, nati dall'incontro quotidiano con la sofferenza psichica, dal confronto fra le diverse professionalità per un arricchimento del nostro fare e pensare in psichiatria, per ricordare il titolo di un famoso volume curato da Dario De Martis.

 

Jones E., (1971) - Il significato simbolico del sale nel folclore e nella superstizione - in Saggi di psicoanalisi applicata, vol. II, Folklore, Antropologia, Religione, Rimini, Guaraldi.

Pancheri P. (a cura di), (1995) — Scrivere e pubblicare in psichiatria -, Roma, Il Pensiero Scientifico.

Praga C., (1988) - Sulle tracce della Via del Sale. Dal porto di Genova alla Valle del Vobbia -, Genova, Sagep.

Quaini M., (1970) - Per la geografia storica dell'Appennino genovese: le strade e gli insediamenti - in Studi geografici sul genovesato, Ist. Di Sc. Geogr., XV.

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