Intervista a G. Nappi

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27 novembre, 2012 - 20:52

Il Prof. G. Nappi è Presidente Limpe e Direttore Scientifico IRCCS Istituto Neurologico "C. Mondino", Pavia

D: Professore, secondo la sua esperienza di neurologo e direttore scientifico di un Istituto di Ricerca, quale è il ruolo della Neurologo Clinico nell'ambito della medicina oggi? Come è cambiato negli ultimi decenni e come sarebbe auspicabile che si trasformasse nel futuro?
R: La neurologia clinica negli ultimi decenni ha subito una trasformazione epocale. Gli straordinari progressi delle discipline neurologiche, in particolare nell'ambito delle tecniche diagnostiche (RMN funzionale, SPECT/PET) e delle conoscenze biomolecolari, hanno reso sempre più facili, raffinate e precise le diagnosi ed hanno reso più concreta la ricerca di strategie neuroprotettive. Questo ha comportato una vera rivoluzione dell'organizzazione nella gestione del malato neurologico. Le degenze, prima di questa svolta, potevano durare settimane o mesi, in attesa dell'esecuzione dei pochi esami a disposizione ma soprattutto per la necessità di un'osservazione clinica diretta e continuativa che in qualche modo doveva supplire all'incapacità di "vedere" dentro al cervello. 
Oggi il malato neurologico ha sempre meno bisogno di lunghe degenze, mentre necessita di strutture organizzative sempre più "dinamiche" come gli ambulatori o i day-hospital. Il paziente dovrebbe rimanere in ospedale lo stretto necessario, poche ore o alcuni giorni, per poi tornare sul proprio territorio (magari anche lontano dal grande centro clinico) con la certezza di un'assistenza continuativa anche a distanza. Per questo abbiamo bisogno di sistemi di comunicazione, strategie di messa in rete a livello nazionale dei dipartimenti dedicati alla diagnosi, cura e riabilitazione. Pensiamo a due patologie di natura diversa: l'ictus e la Malattia di Parkinson. In passato l'ictus ischemico era considerato un evento "definitivo" nella vita di una persona. Oggi un terzo dei pazienti colpiti sopravvive a dieci anni dall'evento, e gran parte delle risorse impiegate per questa tipologia di pazienti viene utilizzata dopo il primo anno. Ciò perché oggi il paziente colpito da ictus deve rimanere in un reparto di emergenza ("stroke unit") solo per pochi giorni, poi deve essere trasferito in un reparto di degenza riabilitativa, che sia in vicinanza di una stroke unit in caso di recidive o complicanze. Abbiamo poi il paziente affetto da Malattia di Parkinson, che presenta una serie di sintomi non-motori e complicanze che sono di ordine non neurologico; pensiamo ad esempio alla disfagia. Anche in questo caso, la gestione di queste complicanze implica il coinvolgimento di altre strutture (es. la chirurgia generale per un intervento di PEG).
Questa complessa necessità organizzativa delle risorse richiede una contemporanea "trasformazione" del neurologo: egli deve imparare a lavorare in modo interattivo con i colleghi della propria e di altre discipline, liberandosi del ruolo strettamente "accademico" e "carismatico" che ha assunto fino ad ora, assumendosi il carico anche di competenze che esulano da quelle strettamente "mediche", senza per questo rinunciare ad acquisire una preparazione clinica paragonabile se non superiore a quella dei colleghi delle generazioni precedenti.
Il "nuovo" neurologo deve dunque apprendere a lavorare insieme agli altri specialisti. E la "nuova" neurologia deve uscire dal suo chiuso, dai limiti tradizionali, immergendosi nell'alveo della medicina generale: tutti gli organi sono innervati, questo non bisogna mai dimenticarlo. Non significa certo doversi occupare in modo specialistico di tutte le discipline. Ma significa che lo specializzando in neurologia deve essere prima di tutto un medico di medicina generale, che poi si impratichisce ulteriormente in una disciplina molto speciale.

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