Seconda giornata - Giovedì 13 maggio

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23 novembre, 2012 - 12:52

TRA CHIMERE E MICROCHIMERE: NUOVE FRONTIERE DELL'IDENTITA' (Gioia Marzi)

La Relatrice ha mostrato nella sua presentazione come le nuove scoperte in campo biologico e immunologico, e in particolare il microchimerismo, potrebbero modificare il concetto di identità. Molti pensatori hanno concentrato i loro studi sulla definizione dell'identità soggettiva e sulle sue caratteristiche. Ad esempio Platone notava che benché si affermi che l'individuo sia lo stesso dalla sua nascita alla sua morte, in realtà egli “non mantiene in sé le medesime cose, ma si rinnova continuamente...”. Sono state di volta in volta ricercate delle costanti nel mutamento che potessero caratterizzare l'individualità. Il patrimonio genetico non è sufficiente a caratterizzare l'individuo, sul quale certamente le esperienze influiscono in maniera altrettanto determinante attraverso la memoria. E' stato anche affermato che “..l'io biologico nella sua vera essenza è immunologico..” (Burgio). A questo proposito è però da rilevare che cellule d'origine fetale nell'organismo materno erano state individuate già alla fine dell'ottocento nei polmoni di donne decedute in pre-eclampsia. Il microchimerismo viene definito come la presenza di cellule con patrimonio genetico diverso da quelle del resto dell'organismo che le ospita. Questo concetto si rifà a quello antico di chimera, che rappresentava classicamente un essere costituito dall'assemblarsi di parti di diversi esseri. La gravidanza può dar luogo a passaggi di cellule dall'ospite all'ospitato e viceversa. Cosa può succedere nella poliabortività patologica, quando un figlio sopravvive a 2-3 aborti spontanei, quando è superstite di numerosi fratelli non nati o morti nell'immediato post natale? Le donne possono ospitare cellule di diverse generazioni, provenienti sia dalla propria madre, sia da uno o più dei propri figli. Questi dati dovrebbero mutare il concetto dell'identità dall'Io al Noi, si dovrebbe accettare che la nostra individualità è molteplice e che da questa molteplicità potrebbero derivare non solo malattie autoimmuni, ma anche sintomi psichiatrici.

PSICOSI E OSSESSIVITÀ: L' IMPOSSIBILE CONTROLLO DELL' INFINITEZZA. ANTONELLO CORREALE

Il relatore inizia sottolineando la gravità dei pazienti ossessivi e le difficoltà del terapeuta, che spesso si sente intrappolato ed incatenato, come i pazienti stessi. 
Noi dobbiamo innanzitutto chiederci in che modo tali pazienti si pongono verso l' oggetto ossessivo. E che rapporto hanno verso gli altri. Freud aveva un' idea, che il relatore afferma di stare rivalutando molto. Freud insisteva molto riguardo alla sessualità perché rappresenta in modo completo il desiderio. Ma qual' è il desiderio dell' ossessivo? L' ossessivo vuole e poi scaccia, oscilla tra il ti prendo e ti lascio, tengo ed allontano. E' quindi in un continuo oscillare, che si riversa nelle sedute di psicoterapia: l' altro mi sfugge e io lo posseggo, ma possederlo mi fa provare rabbia. Quanto più ho paura, più devo possederlo, ma più lo posseggo e più ho rabbia.
Il vero problema è la distinzione tra Ossessione-Nevrosi ed Ossessione-Psicosi.
L' ossessivo ha un rapporto di imprigionamento verso una figura importante, onnipotente, che lo domina ma non lo schiaccia. L' ossessivo capisce che tale figura è troppo forte per lui e, proprio per questo, cerca di dominarla; esiste, quindi, questa continua lotta amorosa che nessuna dei due vincerà mai.
L' ossessione in campo psicotico è diversa. La figura è sempre onnipotente, ma in questo caso ha il compito di far sopravvivere, di evitare di cadere nel baratro. Infatti, come nel nevrotico casca il desiderio e nel borderline casca il soggetto, così nello psicotico casca il mondo intero.
Perciò, lo psicotico vive in un mondo che sta crollando e cerca continuamente dei salvagenti dove aggrapparsi, per evitare di sprofondare. Tali salvagenti sono i sintomi e i nuclei ossessivi. Vi è di conseguenza una sostanziale differenza nel trattare i due tipi: il nevrotico lo curo e sono sicuro che sta meglio; mentre, curando lo psicotico, potrei scatenare appunto una crisi psicotica. Il relatore conclude il proprio intervento facendo una citazione di Facchinelli, il quale si chiede se è possibile pensare che esista nell' essere umano e nella collettività una tendenza a fermare il tempo, a fermarci noi stessi ed a comportarci come se tutto fosse immobile. Esistono tre esempi in cui ciò accade e si attiva un cronotipo che spinge a fermare tutto:
1- la nevrosi ossessiva
2- il fascismo e le dittature in generale
3- le società arcaiche

OSSESSIONI: LACUNE (E DIFESE) DEI CONFINI DEL SE' - FILIPPO MARIA FERRO

Il relatore inizia l' intervento citando Ebel, che raccontò la storia di uno schermidore che col suo fioretto duellò con un nemico invisibile, un' ombra. Il duello durò tutto il giorno, finchè la luce del sole terminò. Questa immagine è qualcosa che rappresenta il vissuto dell' ossessivo; ed, in un qual senso, anche il vissuto del terapeuta, impegnato in questo duello nella speranza di segnare qualche punto a proprio favore, spostando la situazione di difesa del paziente. E' una lotta, una relazione passionale, che richiama la lotta tra Giacobbe e l' Angelo invisibile. A proposito di invisibile, si può fare riferimento ad un romanzo di Gautier, in cui l' autore narra la storia di uno schermidore che riesce ad imparare dal suo maestro un colpo segreto, cioè un affondo che rende invisibile chi lo compie. 
Ora il relatore cita un aneddoto di un allievo di Freud, Zien: dopo aver visitato un paziente con un impulso di alzare le gonne delle donne, disse ai suoi allievi che bisognava accertare se fosse un' ossessione a contenuto sessuale. Quindi chiese al paziente se avesse questo impulso solo con donne giovani o anche con altre donne. Il paziente rispose che lo aveva anche con sua mamma; perciò Zien concluse che in questo caso non vi era un contenuto sessuale vero e proprio, ma solo un accenno. Questo fa sorridere, soprattutto pensando al fatto che Freud sostenne con forza la componente sessuale dell' ossessione. Nel vissuto ossessivo, come già Kraepelin sostenne, abbiamo livelli riconducibili alle nevrosi, e livelli che rientrano nei vissuti psicopatici. Naturalmente ciò vale anche per altre disturbi psichici, le fobie ad esempio, ma per le ossessioni le cose sono diverse.
A questo punto il relatore porta due casi clinici:
nel primo racconta il caso di una donna giovane, che dopo aver subito una rapina a mano armata nella sua pizzeria, ha sviluppato la sensazione di avere ingerito dei tossici e dei frammenti di vetro, che si sono formati durante appunto la rapina. Questo è un vissuto che si ripete frequentemente: il tossico che infetta, che non è digeribile. Il secondo caso, che il relatore nomina “Il paziente dallo sperma vago”, tratta di un paziente che viene sgridato, in età adolescenziale, dalla madre perché guardava riviste pornografiche. Il paziente ha poi sviluppato il terrore di avere eccitamenti sessuali e polluzioni notturne, con la paura che lo sperma andasse in giro ingravidando alcune donne. Esiste un lieve confine tra i disturbi ossessivi e le perversioni, con una certa contiguità; tale contiguità è molto importante, perché ci aiuta a leggere il disturbo ossessivo-compulsivo. Nell' ossessivo l' emergenza di una passione si accompagna all' incapacità di resistere e di controllare; e il desiderio comporta una sorta di coercizione nel rifiutarlo. Questo problema ci ricollega a divese immagini erotiche, ad esempio i ratti mitici di Proserpina, Elena e le Sabine. E' inoltre interessante, nel disturbo ossessivo-compulsivo, l' effetto circolare della comparsa dei sintomi. Già col mito di Proserpina ciò è visibile, in quanto lei passava 6 mesi negli inferi e 6 mesi fuori, avendo un andamento circolare.
Il relatore riporta il caso di un giovane paziente, la cui diagnosi iniziale fu di attacchi di panico, e dopo comparvero certe angosce destrutturanti, che accompagnavano sintomi ossessivi. Più volte la paziente parlò di pensieri ad andamento circolare: compaiono certi pensieri, poi cessano e poi ricompaiono. La circolarità diventa, quindi, un elemento caratteristico del DOC.

IL VISIBILE E L'INVISIBILE NEL MONDO DELL'OSSESSIVO (G. Stanghellini; C. Muscelli)

Il mondo fenomenico in cui vivono i pazienti è il mondo com'è sentito e visto dalla loro prospettiva, in prima persona. La varietà dei fenomeni di un disturbo mentale è un tutto dotato di significato, una struttura. Mostrare la struttura di una sindrome significa mostrare come tutte le sue parti siano in una relazione di coerenza semantica organizzate attorno a un disturbo generatore. Possiamo descrivere il mondo del paziente grazie ad alcune “linee guida” che chiamiamo existentialia: il tempo vissuto, lo spazio vissuto, intersoggettività, la materialità, etc. Per quanto riguarda il paziente ossessivo, si ha una metamorfosi del tempo e dello spazio vissuti. Nel caso delle ossessioni da contaminazione, il disordine, la decadenza, la decomposizione e la morte sono avvertite come entità reali, la cui presenza infesta lo spazio vicino, ossia ciò che normalmente sarebbe invisibile diventa visibile come attraverso un microscopio: le sostanze contaminanti come i microbi e i germi sono troppo vicine e lo spazio rimanente cresce all'infinito. Contemporaneamente l'accelerazione diviene il carattere essenziale del tempo vissuto nel mondo ossessivo: al tempus fugit corrisponde l'immobilità della vita dell'ossessivo, tutti i suoi sforzi mirano all'arresto del tempo. Il tempo e lo spazio vissuti sono organizzati delle emozioni, che possono essere definite come le motivazioni vissute del movimento (e-mozione deriva da ex movere, cioè ciò che motiva il movimento). Nell'ossessione da contaminazione l'emozione essenziale è il disgusto, cioè una sorta di nausea associata alla visione della decomposizione. La percezione della decomposizione è percezione dell'aneidos (Straus), cioè la perdita di forma di ciascuna cosa. Siamo invasi dal disgusto quando le cose perdono la loro integrità, come avviene nel caso della putrefazione o in ogni altro caso in cui una parte è separata dal suo intero. La persona ossessiva sente “l'atmosfera-disgusto” (v. Gebsattel) e ne vede gli effetti nel mondo, ma l'origine le resta invisibile, il vortice spazio-temporale resta inconscio. La psicopatologia strutturale ha l'obiettivo di rendere visibile la struttura invisibile dei fenomeni. Quattro livelli di invisibilità possono esser resi visibili attraverso l'esplicazione fenomenologica della realtà manifesta: la fisionomia della decomposizione, il disgusto, l'aneidos e l'importanza. L'inconscio può scorgersi (si materializza) nelle pieghe del mondo/testo che viene prodotto, come sua struttura non intenzionale. La prospettiva fenomenologica sull'inconscio è “modestamente” ermeneutica, poichè cerca un significato presente, un significato che diventa visibile attraverso il testo dopo che il testo è stato prodotto - non in ragione di cause passate. Nel mondo dell'ossessivo diventa visibile l'invisibile processo di decadimento della materia, ma resta invisibile la scaturigine di questa visione del mondo. La psicopatologia strutturale si rivolge al visibile, cioè a ciò che immediatamente presente nel mondo di una persona ossessiva. Dispiegando le pieghe di questo mondo sensoriale, si mette alla ricerca del suo principio generatore, il vortice che rimane invisibile alla coscienza dell'ossessivo.

DUBBIO E SCETTICISMO ANTICO: TRA DOGMA ED EPOCHE' (G. Martinotti)

Il Relatore ha affrontato nella sua presentazione la questione del metodo conoscitivo in psicopatologia. Nel bene e nel male tutti appartengono ad una scuola, e hanno delle idee più o meno “integraliste” nei riguardi delle vicende psichiche che si trovano ad affrontare, ma quanto queste idee rappresentano dei pregiudizi? E, soprattutto, quanto questi pregiudizi intralciano il percorso terapeutico-conoscitivo con i pazienti? Queste domande hanno radici profonde, e molte correnti di pensiero si sono confrontate su questi concetti, a partire dallo scetticismo. Sorto verso la fine del sec. IV a. C., lo scetticismo è l'espressione del profondo disagio in cui le varie scuole filosofiche si trovavano per l'insuccesso nella ricerca della verità assoluta nell'ambito della conoscenza. La ricerca viene quindi spostata dall'oggetto (il mondo) al soggetto (l'uomo) per spiegare le ragioni dei suoi limiti. Lo scetticismo ha la sua origine in Socrate, anche se viene precisando i suoi aspetti solo con Pirrone (ca. 360-ca. 270 a. C.) alcuni decenni dopo la morte del maestro. Pirrone fondò la sua scuola a Elide basandola sui problemi morali e dandole come fine il raggiungimento della felicità umana. Fondamento di questo insegnamento morale è il giudizio che in natura le cose sono "tutte ugualmente incerte”; il saggio di conseguenza non deve presumere di esprimere opinioni su di esse, ma astenersi dal discorrere sulla loro natura (afasia), dal dare giudizi (epoché) e rimanere di fronte a esse imperturbabile (ataraxia), anzi felicemente indifferente (apatia). Obiettivo dello scetticismo antico non è negare l'esistenza del mondo esterno né dimostrare l'impossibilità della conoscenza, bensì sottolineare che l'uomo non è un essere né perfetto né infallibile. Come aveva insegnato Socrate è la consapevolezza dei propri limiti lo stimolo fondamentale per intraprendere qualsiasi ricerca: skepsis, da cui deriva il termine moderno scetticismo, significa proprio questo, “ricerca”. E' proprio contro il dogmatismo degli Stoici, che si distinguevano per la pretesa che fosse possibile raggiungere una conoscenza certa della realtà materiale e diveniente, che si scaglia il teorema scettico. Per gli Stoici è possibile individuare la conoscenza certa, la certezza, dei dogmi, ossia quelle che chiamavano le rappresentazioni catalettiche (phantasiai katalèptikai).Gli Scettici non contestano l'esistenza di rappresentazioni vere e l'esistenza di dogmi inconfutabili, bensì la possibilità di distinguere impressioni vere da impressioni non vere. Esiste una realtà certamente vera ma possiamo solo avvicinarci senza coglierla in pieno. Perciò l'epochè deriva dall'impossibilità di circoscrivere impressioni vere e dall'esigenza di evitare l'errore in un contesto segnato dall'akatalèpsia. La sospensione del giudizio serve dunque a reintrodurre il tempo della ricerca, della valutazione, della comprensione. Cicerone affermò che “il sapiente non assente a nulla assolutamente, bensì segue ciò che appare ed è più probabile, rispondendo si o no a seconda delle circostanze”. Ciò che risulta fondamentale nella filosofia di questi Accademici scettici è la consapevolezza che la conoscenza è mediata soggettivamente: ed è per questa ragione e per la finitezza umana che non si può mai andare oltre un certo grado di probabilità. Questo atteggiamento filosofico di ricerca ininterrotta e mai conclusa in merito alle cose e ai pensieri, lungi dal rivelarsi paralizzante fino alla inattività (apraxia) può essere perseguita facendo riferimento, in senso debole e non dogmatico, a un criterio, ovvero l'adesione al fenomeno e alla sua phantasia o rappresentazione. La sospensione di giudizio la ritroviamo anche in Cartesio; infatti egli afferma che, per non sbagliare, l'uomo deve sospendere il giudizio dubitando di tutto, si parte con il dubitare delle cose più semplici (dubbio metodico) fino a quelle più complesse (dubbio iperbolico). Secondo Cartesio si può dubitare di tutto, tranne del fatto che sto dubitando; ma se dubito allora penso e se penso sono, da qui la celebre frase “cogito ergo sum". Successivamente bisogna sottoporre le cose di cui ho dubitato al metodo, che in Cartesio è filosofico e non matematico come affermava Galileo Galilei. Husserl affida all'epoché il compito di radicalizzare la nostra ricerca fino a giungere a ciò che vi è di più essenziale, originario, nella coscienza; egli usa il termine di "riduzione fenomenologica" per indicare l'operazione che consiste nell'applicazione dell'epoché: l'operazione cioè di ricondurre le nozioni comuni ai dati originari della coscienza pura. Una volta liberata da tutte le sovrastrutture, la descrizione della coscienza conduce ad alcuni dati incontrovertibili, ad alcune "evidenze" che si impongono da sé all'intuizione. Il Relatore conclude con una citazione di Manzoni: “E' men male l'agitarsi nel dubbio, che il riposar nell'errore”.

REPORT A CURA DI MATTEO MARTINO & DAVIDE PRESTIA

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