Abstract da poster 241 a poster 275

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21 novembre, 2012 - 12:55

 

p241. l’alessitimia e le sue relazioni con il disgusto e i sintomi ossessivo-compulsivi in un campione non clinico di soggetti

V. Marasco1, D. De Berardis1 2, N. Serroni1, L. Olivieri1,

D. Campanella1, T. Acciavatti1 2, M. Caltabiano1,

  • F.S.
  • Moschetta1, A. Carano3, L. Mancini3, G. Mariani3,
  • G.
  • Martinotti4, G. Di Iorio2, M. Di. Giannantonio2

Dipartimento di Salute Mentale, SPDC Ospedale Civile “G. Mazzini”, ASL Teramo; Dipartimento di Neuroscienze ed Imaging, Cattedra di Psichiatria, Università “G. D’Annunzio” Chieti; Dipartimento di Salute Mentale, SPDC Ospedale Provinciale “ C. G. Mazzoni”, Ascoli Piceno; Istituto di Psichiatria, Università Cattolica del S. Cuore di Roma

Lo scopo del presente studio è stato quello di valutare le relazioni tra alessitimia, disgusto sintomi ossessivo-compulsivi in un campione non clinico di 629 studenti di psicologia. A tal fine sono stati impiegati i seguenti questionari: Toronto Alexithymia Scale(TAS-20), Disgust Sensitivity Scale (DSS), Padua Inventory Revised (PI-R), State-Trait Anxiety Inventory (STAI), Beck Depression Inventory (BDI). I risultati hanno mostrato una prevalenza di alessitimia del 10,8% usando un cut-off ≥ 61 al-la TAS-20. I soggetti alessitimici hanno mostrato una maggiore sensitività al disgusto rispetto ai soggetti non alessitimici. Inoltre essi mostravano sintomi ossessivo-compulsivi statisticamente più rilevanti rispetto ai non alessitimici, unitamente alla presenza di maggiori sintomi depressivi. L’analisi delle correlazioni parziali, controllate per età, sesso ansia di stato/tratto e sintomi depressivi, ha rivelato significative correlazioni tra la sensitività al disgusto e la TAS-20 e sottoscale e tra queste ultime e i sintomi ossessivo-compulsivi misurati dalla PI-R. In conclusione i risultati del presente studio mostrano che la presenza di alessitimia sembra essere associata a una maggiore sensitività al disgusto e a una maggiore presenza di sintomi ossessivo-compulsivi, indipendentemente dall’ansia di stato/tratto e dalla presenza di concomitanti sintomi depressivi. Le implicazioni sono discusse nel poster.

p242. il trattamento ambulatoriale per il disturbo borderline di personalità

F. Martino, M. Menchetti, E. Pozzi, D. Berardi

Istituto di psichiatria “P. Ottonello”, Università di Bologna

introduzione: il programma di trattamento per il disturbo di personalità borderline (DBP) è composto da una équipe multiprofessionale: Referente clinico psichiatra, psicoterapeuta, psicologo, infermiere, ricercatore, altro personale in formazione. L’intervento prevede: colloqui con lo psichiatra; valutazione testistica; psicoterapia settimanale di gruppo di orientamento psicodinamico per 1 anno; case management infermieristico. Materiali e metodi: l’assessment indaga: la diagnosi, il quadro sintomatico, l’impulsività, il funzionamento sociale, l’esperienza soggettiva del paziente (motivazione, aspettative, relazione terapeutica e problematiche esterne) risultati: 39 pazienti con DP sono ammessi al Programma. Il 28% (N = 11) presenta una diagnosi di cluster A, il 74% (N = 29) di cluster B, il 54% (N = 21) di cluster C. 20 (51,3%) interrompono il trattamento precocemente, 19 (48,7%) lo concludono. I drop-out sono in prevalenza pazienti con DBP. Riferiscono una relazione terapeutica meno soddisfacente, una minore motivazione al trattamento, aspettative irrealistiche nei confronti del programma e degli operatori, presentano una maggiore presenza di problematiche esterne (famiglia, lavoro). conclusioni: per limitare il drop-out nel DBP sono necessari interventi tempestivi e specialistici, mirati a problematiche prevalentemente di tipo interpersonale; integrati, nell’ottica di un approccio multidisciplinare che intervenga sul fronte individuale, sociale e familiare.

bibliografia

Pozzi E, Ridolfi ME, Daniel DB, et al. Multiple integrated treatment of Borderline personality disorders. Psychoanalytic Psychotherapy 2008;22:218-34.

Martino F, Pozzi E, Chiesa M, et al. The patient’s assessment evaluation questionnaire. In: Chiesa M, Martino F, Pozzi E, editors.Psychosocial treatment refusal in personality disorder: A comparative study. Personal Ment Health 2010;4:64-74.

p243. interazione tra complicanze ostetriche e sNp rs4680 del gene COMT su performance di Working Memory

G. Miccolis*, G. Ursini* **, I. Andriola*, A. Porcelli*,

M. Mancini*, B. Gelao*, L. Sinibaldi**, G. Todarello*,

R. Romano*, R. Masellis*, L. Fazio*, P. Taurisano*,

L. Lo Bianco*, A. Papazacharias*, A. Di. Giorgio*,

G. Caforio*, G. Blasi*, M. Nardini*, A. Bertolino*

*

Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università di Bari; ** Mendel Lab, IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”, San Giovanni Rotondo, Italia

Numerose ricerche evidenziano come la prevalenza di complicanze ostetriche (OC) sia più elevata in individui con schizofrenia rispetto alla popolazione generale. Studi recenti mostrano come le OC possano interagire con fattori genetici nell’influenzare il rischio di schizofrenia. Il gene COMT codifica per un enzima che regola i livelli di dopamina in corteccia prefrontale e contiene un polimorfismo funzionale (SNP rs4680Val158Met), nel quale l’allele Val è associato a maggiore attività dell’enzima, peggiori performance di Working Memory (WM) e, in maniera non univoca, alla diagnosi di schizofrenia. Obiettivo del nostro studio è valutare l’interazione tra SNP rs4680 del gene COMT e le OC sulle performance di WM, fenotipo intermedio correlato alla schizofrenia. 80 soggetti sani, genotipizzati, per COMT rs4680, sono stati sottoposti all’Nback test, per valutare la WM, mentre l’esposizione a OC è stata valutata mediante la McNeil-Sjostrom Scale. L’ANOVA fattoriale mostra un’interazione statisticamente significativa (p = 0,01) tra lo SNP rs4680 del gene COMT e le OC sulla performance di WM. In particolare, nel contesto del genotipo ValVal la presenza di OC è associata ad un minor numero di risposte corrette. I nostri risultati indicano come le OC possano interagire con specifici fattori genetici nel modulare un fenotipo intermedio correlato alla schizofrenia. Lo studio delle interazioni geni-ambiente può contribuire a chiarire perché solo alcuni individui esposti a fattori di rischio genetici e ambientali sviluppano la schizofrenia.

p244. farmacoterapia del disturbo borderline di personalità

G. Mircoli, S. Bascioni, C. Lucarelli, C. Bellantuono

Clinica Psichiatrica, Università Politecnica delle Marche; Ospedali Riuniti Ancona

introduzione: le caratteristiche psicopatologiche dei soggetti con disturbo di personalità borderline (BPD) influenzano la parziale e temporanea risposta alla terapia psicofarmacologica 1. L’intento di questo lavoro è di effettuare una revisione sistematica della letteratura sull’efficacia e la sicurezza di tutte le categorie farmacologiche utilizzate nel trattamento di questi pazienti. Materiali e metodi: la ricerca è stata condotta dal 1980 a settembre 2010 attraverso PUBMED, EMBASE, PSYCLIT e COCHRANE LIBRARY. Sono stati presi in esame 51 RCT placebo-controllati, consultate 12 revisioni della letteratura, 3 meta-analisi e 8 linee guida.risultati: 1. Gli antipsicotici atipici, tra cui il più studiato è l’olanzapina, vengono impiegati per i sintomi cognitivi-percettivi e il discontrollo degli impulsi.

  1. Gli SSRI, tra gli antidepressivi, sono le molecole più sicure ed efficaci per la modulazione dei sintomi della sfera affettiva.

     

  2. Tra gli stabilizzanti dell’umore l’acido valproico, il più utilizzato, e il topiramato sono indicati nel trattamento dell’impulsività e della disregolazione affettiva, mentre il litio sembra avere anche un’importante azione preventiva nei confronti dei tentati suicidi.

     

  3. L’Omega-3 e la clonidina hanno dato alcuni risultati ma non ci sono ancora dati sufficienti. conclusioni: dall’analisi della letteratura è emerso che l’impulsività, le condotte d’abuso, i tentati suicidi, i frequenti drop-out dei soggetti con BPD e l’usooff-label dei farmaci hanno reso difficile intraprendere negli anni ulteriori RCT per confermare l’efficacia e la tollerabilità sul lungo termine della terapia psicofarmacologica 2.

     

bibliografia

1 Kendall T, Burbeck R, Bateman A. Pharmacotherapy for borderline personality disorder: NICE guideline. Br J Psychiatry 2010;196:158-9.

2 Lieb K, Vollm B, Rucker G, et al. Stoffers, Pharmacotherapy for

borderline personality disorder: Cochrane systematic review of ran

domised trials. Br J Psychiatry 2010;196:4-12.

p245. Insight in psichiatria: studio dei modelli etiologici su una popolazione ambulatoriale

S. Orlando, C. Elce, M. D’Addio, G. Giannini, G. Sica,

S. Martucci, D. Galletta, M. Casiello

A.O.U. “Federico II” di Napoli, Dipartimento di Neuroscienze e Comportamento, Area Funzionale di Psichiatria

Diversi modelli teorici spiegano l’insight in letteratura: i più sviluppati sono il Modello Neuropsicologico e il Modello Psicologico. Il primo collega l’insight alla presenza di deficit cognitivi, il secondo lo interpreta come strategia di difesa o meccanismo di coping(Osatuke, 2008). Per confrontare questi modelli, 19 pazienti afferenti al Servizio di Psicodiagnostica dell’Area Funzionale di Psichiatria dell’Università “Federico II” di Napoli sono stati valutati clinicamente e attraverso la seguente batteria di test: Schedule for the Assessment of Insight-Expanded (SAI-E), Wechsler Adult Intelligence Scale-Revised (WAIS-R), Minnesota Multiphasic Personality Inventory 2 (MMPI-2).

Il Modello Neuropsicologico è stato valutato correlando le dimensioni dell’insight (illness, aderenza e conseguenze dalla SAI-E) al totale della WAIS-R e a due sub-test (Memoria di Cifre e Riordinamento di Storie Figurate) per prendere in esame la memoria e le funzioni esecutive. Il Modello Psicologico è stato studiato correlando le stesse dimensioni con le scale F, K e L del MMPI-2, per valutare gli atteggiamenti difensivi dei pazienti. Tra i sub-test WAIS-R, la scala L del MMPI-2 e la SAI-E (consapevolezza in generale e illness) emerge un trend di correlazione al limite della significatività che appare validare entrambi i modelli. I dati preliminari confermano la validità dei diversi modelli, anche se ulteriori ricerche sono necessarie per approfondire le specificità degli stessi.

p246. l’uso dei farmaci psicotropi in 6 regioni italiane

G. Orofino, M.E. Lecca, A. Bocchetta, M. Balestrieri,

F. Caraci, M. Casacchia, L. Dell’Osso, G. Di Sciascio,

F. Drago, M.C. Hardoy, P.L. Morosini, M. Nardini,

C. Faravelli, G. Palumbo, M.G. Carta

Università di Cagliari e AIFA FARM54S73S project Group

introduzione: l’obiettivo è valutare la frequenza dell’utilizzo dei farmaci psicotropi in campioni di popolazione generale di diverse aree italiane. Materiali e metodi: studio condotto da intervistatori clinici, su campioni della popolazione generale adulta, estrattirandom dopo stratificazione per sesso ed età dai registri anagrafici di 7 province in 6 regioni italiane. Totale: 4999 soggetti estratti; 3398 intervistati (68%, 75,5% fra le donne e 59,8% fra i maschi). Strumenti: questionario sul consumo di psicofarmaci; intervista clinica strutturata. risultati: la frequenza dell’utilizzo di farmaci psicotropi risulta la seguente: antipsicotici 0,5% nei maschi, 0,7% nelle femmine; antidepressivi (AD) 2,1%, 7,2% nelle femmine (64% degli AD sono SSRI); stabilizzanti 0,2% nei maschi e 0,5% nelle femmine; Benzodiazepine (BDZ) 3,9% nei maschi, 14,8% nelle femmine; ipnotici 0,3% e 0,7% rispettivamente, altri farmaci attivi sul SNC 0,7% nei maschi e 0,7% nelle femmine. L’utilizzo di rimedi omeopatici per disturbi psichici risulta nel 0,5% dei maschi e nel 1,4% delle donne. L’impiego di AD e BDZ risulta più frequente negli anziani sia femmine (p < 0,05) che maschi (p < 0,01), quello di omeopatici fra le giovani donne (p < 0,05). conclusioni: rispetto a ricerche degli anni ’90, l’uso di AD è incrementato. Anche gli stabilizzanti dell’umore hanno raggiunto frequenze di impiego importanti. I farmaci più utilizzati rimango le benzodiazepine. Le donne sono i maggiori utilizzatori di farmaci psicotropi.

p247. il piacere anticipatorio e consumatorio: uno studio di validazione della versione italiana della teps

R. Pacifico, P. Stratta, I. Riccardi, E. Daneluzzo, A. Rossi

Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università dell’Aquila

introduzione: una estesa letteratura psicopatologica ha trattato gli aspetti rilevanti del costrutto psicologico, psicometrico e psicopatologico del piacere. Sono stati identificati 2 fattori principali definiti come piacere anticipatorio (piacere che si prova nel pensare ad uno stimolo gradevole e positivo) e consumatorio (piacere che si prova in un determinato istante in risposta ad uno stimolo) (Bonsack et al. 2008). Recentemente Gard et al. (2006) hanno sviluppato uno strumento per la valutazione dei 2 costrutti: la Temporal Experience of Pleasure Scale (TEPS, Gard et al. 2006). Obiettivo del nostro studio è valutare le caratteristiche psicometriche della versione italiana di questo strumento. Materiali e metodi: il questionario è stato somministrato a 514 (314 maschi e 273 femmine) studenti degli istituti superiori del-la Provincia di Teramo. La TEPS è stata tradotta in italiano e ritradotto in inglese per valutare che il significato della traduzione fosse mantenuto. È un questionario autosomministrato a 18 items che indaga i 2 componenti del piacere: l’aspetto anticipatorio (10 items) e quello consumatorio (8 items). risultati: i nostri fattori I e II pesano di più sugli item a carattere anticipatorio, i fattori III e IV sono a carattere consumatorio. Le differenze tra i nostri risultati e quelli ottenuti da Gard sembrano essere ascrivibili al contesto culturale.

bibliografia

Bonsack C, et al. . Validation française de l’échelle d’expérience temporelle du plaisir Validation of the Temporal Experience of Pleasure Scale (TEPS) in a French-speaking environment. L’Encephale 2008;35:241-8.

Gard DE, et al. Anticipatory and consummatory components of the experience of pleasure: A scale development study. J Res Personality 2006;40:1086-102.

Gard DE, et al. Anhedonia in schizophrenia: Distinctions between anticipatory and consummatory pleasure. Schizophr Res 2007;93:253-60.

p248. deficit delle funzioni esecutive: una comparazione tra adHd e sindrome di asperger

C. Paloscia* **, R. Alessandrelli*, C. Rosa*, V. Baglioni*,

R. Guerini*, A. Pasini*

U.O. di Neuropsichiatria Infantile, Università di Roma “Tor Vergata”; ** Ass. “La Nostra Famiglia”, IRCCS E. Medea, CDR Brindisi e Lecce

introduzione: la presenza di deficit delle funzioni esecutive è stata riscontrata sia in bambini con disturbi dello spettro autistico (Robinson et al. 2009) che in ragazzi con diagnosi di disturbo da deficit dell’attenzione e/o iperattività (Pasini et al. 2007). Attualmente, pochi studi hanno indagato la specificità di questo deficit nell’ADHD e nella Sindrome di Asperger (Semrud-Clikeman et al. 2010). Il nostro studio si propone di identificare le differenze tra i deficit delle funzioni esecutive presenti nei pazienti ADHD rispetto a quelli che mostrano i ragazzi con sindrome di Asperger. Materiali e metodi: il campione clinico era costituito da 47 bambini maschi: 25 con ADHD di tipo combinato (età: 11,16 ± 2,07) e 22 con sindrome di Asperger (età: 11,77 ± 1,95). Tutti i bambini sono stati valutati con una batteria neuropsicologica costituita da: WISC III, CPT II, TMT, StroopTest, Torre di Londra, e N-back spaziale. È stata utilizzata l’Analisi della Varianza per confrontare i risultati dei due gruppi. risultati: i due gruppi non differivano sui punteggi ottenuti alla Torre di Londra (p = 0,397) e allo Stroop Test, indice CW-C (p = 0,660). I bambini con sindrome di Asperger presentavano una prestazione deficitaria all’n-Back (p = 0,005) e al TMT, indice TMTB-A (p = 0,031). I ragazzi con ADHD mostravano una peggiore prestazione sull’indice del CPT II, RTISIch (p = 0,003). conclusioni: i nostri risultati hanno evidenziato in entrambi i gruppi una compromissione sia della pianificazione che della capacità di inibire una risposta interferente. Era specifico per gli Asperger un deficit della flessibilità cognitiva e della memoria di lavoro spaziale. Negli ADHD, al contrario, era maggiormente compromessa la capacità di inibire una risposta prepotente. Questi dati sono parzialmente in accordo con gli studi precedenti (Semrud-Clikeman et al. 2010). Sono necessari ulteriori studi, su campioni di maggiori dimensioni per poter generalizzare i risultati ottenuti.

bibliografia

Pasini A, Paloscia C, Alessandrelli R, et al. Attention and executive functions profile in drug naive ADHD subtypes. Brain Dev 2007;29:400-8.

Robinson S, Goddard L, Dritschel B, et al. Executive functions in chil

dren with autism spectrum disorders. Brain Cogn 2009;71:362-8. Semrud-Clikeman M, Walkowiak J, Wilkinson A, et al. Executive functioning in children with Asperger syndrome, ADHD-combined type, ADHD-predominately inattentive type, and controls. J Autism Dev Disord 2010;40:1017-27.

p249. risposta clinica all’olanzapina in pazienti con schizofrenia ad esordio precoce

C. Paloscia* **, R. Alessandrelli*, C. Rosa*, V. Baglioni*,

A. Pasini*

U.O. di Neuropsichiatria Infantile, Università di Roma “Tor Vergata”; ** Ass. “La Nostra Famiglia”, IRCCS E. Medea, CDR Brindisi e Lecce

introduzione: la schizofrenia ad esordio precoce (EOS) rappresenta una delle forme più gravi di schizofrenia sia per la severità dei sintomi che per la maggiore tendenza a cronicizzare 1. L’olanzapina si è mostrata un farmaco efficace nella riduzione della sintomatologia psicotica negli adulti. Alcuni studi ne hanno valutato gli effetti a breve termine nei bambini e negli adolescenti. Tuttavia non è ancora chiaro l’effetto a lungo termine dell’olanzapina nella schizofrenia ad esordio precoce. L’obiettivo della ricerca era valutare l’efficacia dell’olanzapina sulla sintomatologia, sul funzionamento globale dei pazienti e sul funzionamento neurocognitivo. Materiali e metodi: è stato valutato un gruppo di 17 pazienti, di età compresa tra i 12 ed i 18 anni, con diagnosi di schizofrenia. Il campione clinico ha effettuato una valutazione clinica al tempo zero prima dell’inizio del trattamento e dopo 6 mesi. Gli strumenti utilizzati sono stati la Positive and Negative Symptom Scale (PANSS), la Clinical Global Impression (CGI) e la Global Assessment of Function (GAF) Scale. Tutti i pazienti sono stati sottoposti ad una batteria neuropsicologica: n-BackStroop Test e CPT II. risultati: 15 pazienti hanno presentato un miglioramento della sintomatologia positiva (p < 0,01). 5 su 17 hanno evidenziato una riduzione significativa della sintomatologia negativa (p < 0,05) mentre 12 soggetti hanno manifestato un miglioramento del funzionamento globale (p < 0,001). 12 pazienti hanno evidenziato un miglioramento della WM spaziale misurata con l’nBack, 8 soggetti hanno presentato una prestazione migliore sul CPT II (attenzione sostenuta) e 7 sullo Stroop Test ottenendo una maggiore capacità di inibire uno stimolo interferente. conclusioni: il nostro studio evidenzia l’efficacia dell’olanzapina nel trattamento nei pazienti ad esordio precoce in età adolescenziale, soprattutto sulla sintomatologia positiva e sul miglioramento della memoria di lavoro spaziale. I risultati confermano le evidenze presenti in letteratura relativamente al miglioramento clinico dei pazienti mentre non concordano con alcune evidenze relative ad un mancato miglioramento neurocognitivo dopo 6 mesi di trattamento 3. Sono necessari ulteriori studi, con maggiori dimensioni campionarie e con periodi più lunghi di follow-up per approfondire gli effetti clinici e sulle funzioni cognitive dell’olanzapina.

bibliografia

1 Mattai AK, Hill JL, Lenroot RK. Treatment of early-onset schizophrenia. Curr Opin Psychiatry 2010;23:304-10.

2 Kumra S, Oberstar JV, Sikich L, et al. Efficacy and tolerability of

second-generation antipsychotics in children and adolescents with

schizophrenia. Schizophr Bull 2008;34:60-71.

3 Robles O, Zabala A, Bombín I, et al. Cognitive Efficacy of Quetiap

ine and Olanzapine in Early-Onset First-Episode Psychosis. Schizophr

Bull 2009, Aug 25 [Epub ahead of print].

p250. efficacia dell’aripiprazolo nel trattamento dell’irritabilità associata ai disturbi dello spettro autistico

C. Paloscia* **, R. Alessandrelli*, C. Rosa*, V. Baglioni*,

A. Pasini*

U.O. di Neuropsichiatria Infantile, Università di Roma “Tor Vergata”; ** Ass. “La Nostra Famiglia”, IRCCS E. Medea, CDR Brindisi e Lecce

introduzione: gli antipsicotici atipici rappresentano la classe di farmaci più studiata per il trattamento dell’irritabilità nei disturbi dello spettro autistico. Studi retrospettivi e prospettici hanno evidenziato l’efficacia e la tollerabilità dell’aripiprazolo in bambini e adolescenti con disturbo schizofrenico 1, disturbo bipolare e con disturbi pervasivi dello sviluppo (Marcus et al. 2009). L’obiettivo dello studio era la valutazione degli effetti clinici dell’aripiprazolo sull’irritabilità (aggressività, comportamenti autolesionistici e crisi comportamentali) sull’iperattività e sull’isolamento in un campione di adolescenti con disturbi dello spettro autistico. Materiali e metodi: è stata somministrata una dose flessibile di aripiprazolo (10-30 mg) ad un campione di 20 pazienti con diagnosi di disturbo pervasivo dello sviluppo (disturbo autistico e DPS NAS). L’età dei soggetti era compresa tra i 13 ed i 18 anni. Il campione clinico ha effettuato una valutazione psicopatologica al tempo zero prima dell’inizio del trattamento e dopo 16 settimane. Gli strumenti utilizzati sono stati la CGI-S, la CGI-I e la Aberrant Behavior Checklist (ABC) per monitorare i comportamenti disfunzionali e l’irritabilità. La sottoscala Irritabilità dell’ABC era utilizzata per misurare i cambiamenti relativi all’aggressività, ai comportamenti autolesionistici e al-le crisi comportamentali. I responders al trattamento erano i pazienti con un punteggio di 1 o 2 alla CGI e una riduzione ≥ 25% all’ABC. risultati: l’utilizzo dell’ANOVA a misure ripetute ha evidenziato, in 18 pazienti, una riduzione significativa sulla subscala irritabilità dell’ABC dopo 16 settimane di terapia. In 15 ragazzi è

state rilevata una riduzione sulla sottoscala iperattività. Nessun miglioramento significativo era presente nelle altre sottoscale.conclusioni: l’aripiprazolo si è mostrato un farmaco utile nel ridurre l’irritabilità e l’iperattività associata ai disturbi pervasivi dello spettro autistico. I nostri risultati confermano le precedenti ricerche 2 3. Sono necessari ulteriori studi, su campioni più ampi e con disegno crossover in doppio cieco per confermare l’utilità clinica dell’aripiprazolo in questo gruppo di pazienti.

bibliografia

1 Robb AS, Carson WH, Nyilas M, et al. Changes in positive and negative syndrome scale-derived hostility factor in adolescents with schizophrenia treated with aripiprazole: post hoc analysis of randomized clinical trial data. J Child Adolesc Psychopharmacol 2010;20:33-8.

2 Owen R, Sikich L, Marcus RN, et al. Aripiprazole in the treatment of irritability in children and adolescents with autistic disorder. Pediatrics 2009;124:1533-40.

3 Marcus RN, Owen R, Kamen L, et al. A placebo-controlled, fixed-dose study of aripiprazole in children and adolescents with irritability associated with autistic disorder. J Am Acad Child Adolesc Psychiatry 2009;48:1110-9.

p251. difese e disturbo borderline di personalità: differenze con altri disturbi del cluster b ed effetti sulla risposta ai trattamenti

D. Paradiso, P. Bozzatello, A. Blandamura, E. Brignolo,

S. Bellino

Servizio per i Disturbi di Personalità, Struttura Complessa di Psichiatria 1, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Torino

introduzione: i disturbi di personalità sono caratterizzati dall’alterazione dei processi difensivi che comporta una minore capacità di regolare gli stati emozionali e le dinamiche relazionali. Questo studio ha l’obiettivo di confrontare i meccanismi di difesa di tre disturbi del cluster B e verificare se nel DBP lo stile difensivo sia associato ad una differente risposta ai trattamenti. strumenti: la REM-71 valuta 21 difese distinguendo quelle mature e adattative da quelle immature e disadattative. La BPDSI è una scala che misura i sintomi caratteristici del disturbo borderline di personalità. Materiali e metodi: abbiamo valutato con la REM-71 un campione di pazienti ambulatoriali consecutivi con diagnosi di disturbo di personalità borderline, istrionico o narcisistico (DSM-IV-TR). Per il DBP è stata misurata la variazione della gravità dei sintomi dopo 12 mesi con la BPDSI. I dati ottenuti sono stati analizzati con l’ANOVA e con la regressione multipla. risultati: i risultati attesi dovrebbero evidenziare che i pazienti con disturbo borderline si distinguono per meccanismi di difesa più immaturi. Tale assetto difensivo potrebbe influenzare negativamente la risposta ai trattamenti. discussione: i risultati ottenuti saranno descritti e confrontati con i dati della letteratura.

bibliografia

Johnson JG, Bornstein RF, Krukonis AB. Defense styles as predictors of personality disorder symptomatology. J Pers Disorders 1992;6:408-16.

Zanarini MC, Weingeroff JL, Frankenburg FR. Defense mechanisms associated with borderline personality disorder. J Pers Disorders 2009;23:113-21.

p252. relazione tra apatia e attività prefronto-striatale durante compiti cognitivi ed emotivi

V. Petrera, L. Fazio, M. Mancini, P. Taurisano, B. Gelao,

R. Romano, T. Quarto, A. Papazacharias, A. Porcelli,

A. Di Giorgio, G. Blasi, M. Nardini, G. Logroscino,

A. Bertolino

Gruppo di Neuroscienze Psichiatriche, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università di Bari

L’apatia è caratterizzata da riduzione di comportamento finalizzato nonché di capacità cognitive ed emotive. L’apatia è comune in patologie in cui la modulazione dopaminergica di regioni prefrontali e striatali è compromessa, come nella Malattia di Parkinson. Lavori condotti con rCBF SPECT mostrano in soggetti con apatia una ridotta perfusione prefronto-striatale. Obiettivo dello studio è valutare la correlazione tra apatia e funzionalità prefrontale e stria-tale durante compiti cognitivi ed emotivi. 56 soggetti sani (M:25; età: 28,5 ± 5,6; QI: 113,4 ± 11,8) sono stati studiati con BOLD fMRI a 3 Tesla durante working memory (N-back), controllo attentivo (VAC) e valutazione implicita di stimoli emotivi (Faces). A ogni soggetto è stata somministrata la Apathy Scale di Starkstein per la misurazione dell’apatia. I dati di fMRI (regressione lineare con SPM5, p < 0,005) dimostrano una correlazione negativa tra apatia e attività della corteccia prefrontale dorso-laterale (DLPFC) e della corteccia del cingolo dorsale, rispettivamente durante N-Back e VAC. Durante Faces, alti punteggi di apatia appaiono correlati ad un maggiore reclutamento della DLPFC e del nucleo accumbens. I risultati evidenziano un’associazione tra apatia e funzionalità prefrontale e striatale. Tale relazione appare inversa per compiti emotivi e cognitivi suggerendo una dissociazione dei circuiti prefrontostriatali. Studi futuri valuteranno la relazione potenziale di questa dissociazione con il signaling dopaminergico.

bibliografia

Heinz A, Knable MB, Coppola R, et al. Psychomotor slowing, negative symptoms and dopamine receptor availability — an IBZM SPECT study in neuroleptic-treated and drug-free schizophrenic patients. Schizophr Res 1998;31:19-26.

Marin RS. Apathy: a neuropsychiatric syndrome. J Neuropsychiatry Clin Neurosci 1991;3:243-54.

Starkstein SE, Mayberg HS, Preziosi TJ, et al. Reliability, validity, and clinical correlates of apathy in Parkinson’s disease. J Neuropsychiatry Clin Neurosci 1992;4:134-9.

p253. Modalità di consumo ed effetti soggettivi dell’uso di cannabis in pazienti al primo episodio psicotico

  • S.M.
  • Pintore, M. Di Forti, S.A. Stilo, L. Sideli, M.A. Falcone,
  • S.
  • Luzi, E. Cooke, A. Paparelli, M. Sirianni, M. Russo,
  • R.
  • Murray

Institute of Psichiatry, King’s College, London

introduzione: più della metà dei pazienti al primo episodio di psicosi nel Regno Unito riferisce, all’esordio, l’utilizzo di cannabis. Il consumo di cannabis è associato a un esordio più precoce della sintomatologia psicotica. Scopo del presente studio è identificare gli effetti soggettivi e le modalità dell’utilizzo di cannabis in soggetti al primo episodio psicotico. Materiali e metodi: nell’ambito dello studio GAP (Genetic and Psychosis study) sono stati raccolti, mediante una versione modificata del Cannabis Experience Questionnaire (Barkus et al. 2006), dati riguardanti le motivazioni dell’abuso e le sensazioni sperimentate durante l’intossicazione. Il campione è costituito da 180 casi al primo episodio psicotico e 100 controlli sani. risultati: nei due gruppi l’abuso di cannabis non è finalizzato a facilitare situazioni sociali (p > 0,05). Nei pazienti è più frequente l’utilizzo solitario (19,7% vs 9,6%; p < 0,000) e il consumo durante il giorno piuttosto che la sera (38,2% vs 19,4%; p = 0,009). Il gruppo dei controlli sembra più consapevole dei potenziali rischi per la salute associati all’utilizzo di cannabis (52,4% vs 35%), ma le differenze non sono statisticamente significative a causa della ridotta dimensione del campione (p = 0,07). Riguardo le sensazioni soggettive sperimentate durante l’abuso di cannabis i pazienti hanno riportato, in quota maggiore rispetto ai controlli, sospettosità (p = 0,02), nervosismo (p = 0,02) e deficit di concentrazione (p < 0,004). conclusioni: sono state riscontrate differenze riguardo le circostanze dell’abuso di cannabis ed i suoi effetti soggettivi tra pazienti al primo episodio psicotico e volontari sani. Questi dati suggeriscono una differente vulnerabilità tra i due gruppi agli effetti della cannabis.

bibliografia

Henquet C, van Os J, Kuepper R, et al. Psychosis reactivity to cannabis use in daily life: an experience sampling study; Br J Psychiatry 2010;196:447-53.

Machielsen M, van der Sluis S, de Haan L. Cannabis use in patients with a fi rst psychotic episode and subjects at ultra high risk of psychosis: impact on psychoticand pre-psychotic symptoms. Aust N Z J Psychiatry 2010;44:721-8

Schofield D, Tennant C, Nash L, et al. Reasons for cannabis use in psychosis. Aust N Z J Psychiatry 2006;40:570-4

p254. disturbi restrittivi della condotta alimentare ad esordio precoce

S. Pisano*, G. Catone*, F. Salerno*, T. Salvati*,

M. Calderaro*, A. Franzese**, A. Gritti*

Dipartimento Neuropsichiatria Infantile, Seconda Università di Napoli; ** Dipartimento di Pediatria Federico II Napoli

introduzione: lo studio esplora le caratteristiche psicopatologiche dei DCA in età evolutiva e si propone di valutare se dette caratteristiche sono correlate all’età. Materiali e metodi: il campione è composto da 117 ss con DCA-R suddivisi in due gruppi d’età confrontati tra loro (67 ss > 6 aa < 14 aa, 50 ss > 14 <18). I test effettuati sono stati: CDI, EAT-27, BUT, WISC. risultati:prevalenza del sesso F nei due gruppi (79% in g. 6-14; 74% in g. 14-18). tendenza alla relazione negativa (r. = -0,41) tra età e risultati scala EAT (g. 14-18); tendenza alla relazione positiva (r. = +40) tra la CDI e CH-EAT (g. 6-14) e forte relazione positiva (r. = +70) (g. 14-18); forte relazione positiva tra BUT e

C.D.I. (r. = 0,79) (g. 6-14); forte correlazione positiva tra B.U.T.

e Ch-EAT (r. = +0,81 nel g. 6-14; r. = +0,54 nel g. 14-18); forte relazione positiva (r. = 0,81) tra Q.I. e E.A.T. (g. 14-18). conclusioni: i DCA ad esordio precoce hanno molte caratteristiche comparabili a quelle dei soggetti con DCA ad esordio in età adolescenziale quali la medesima distribuzione del disturbo tra i sessi, presenza di sintomi depressivi, disagi relativi all’immagine corporea, alla preoccupazione per il peso e la forma del corpo, alla paura della maturità e alla sfiducia interpersonale. All’aumentare del disagio relativo all’immagine corporea corrisponde un aumento del livello di preoccupazione per il peso e la forma del corpo maggiore nei soggetti di età a cavallo della pubertà che nel periodo post-puberale.

p255. dimensioni cliniche e outcome funzionale nei disturbi di personalità con componente antisociale

V. Politi, S. Costi, A. Montali, M. Amore

Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Psichiatria, Università di Parma

introduzione: questo studio indaga gli aspetti psicopatologici e il funzionamento psicosociale associati al disturbo antisociale di personalità (ASPD), ponendo a confronto un campione di soggetti con ASPD con uno di soggetti con disturbo cluster B di personalità senza componente antisociale (nASPD). Materiali e metodi: 215 pazienti con disturbo di personalità cluster B (secondo DSM-IV-TR), ricoverati presso la Clinica Psichiatrica di Parma dal 2005 al 2010; di cui 50 ASPD, valutati per variabili clinico-anamnestiche, demografiche e comorbilità in Asse I (DSM-IV-TR); livello di adattamento globale (VGF), psicosociale (SVFSL) e grado di stabilità (per qualità delle relazioni interpersonali, eteroaggressività, gesti autolesivi, problemi finanziari e stile di vita). risultati: analisi χFisher’s Exact Test documentano un’aumentata frequenza negli ASPD di condotte di abuso o dipendenza da alcol (p < ,05) o sostanze (p < ,001) e una ridotta frequenza di disturbi dell’umore (p < ,001), ideazione suicidiaria (p < ,05) e gesti autolesivi (p < ,001). Tramite confronto per ranghi di Wilcoxon, gli ASPD non mostrano una differenza significativa nei livelli di funzionamento globale (VGF), bensì caratteristiche riduzioni nei punteggi SVSFL (p < ,001) e stabilità (p < ,05).conclusioni: la dimensione socio-lavorativa sembra cogliere aspetti di funzionamento utili alla valutazione clinico-diagnostica differenziale dei pazienti ASPD, ora incentrata prevalentemente su aspetti di devianza comportamentale.

p256. doppia diagnosi: incidenza nei primi ricoveri in tre differenti periodi

M. Porro, A. Lombardi, A. Feggi, E. Torre, P. Zeppegno

SC Psichiatria, AOU Maggiore della Carità UPO A Avogadro, Novara

scopi: descrivere le caratteristiche socio-demografiche e cliniche di pazienti al PR dimessi con DD in tre differenti quinquenni. Valutare per ogni gruppo l’eventuale relazione tra sostanza d’abuso e patologia psichiatrica. Materiali e metodi: è stato condotto uno studio retrospettivo su cartelle cliniche di pazienti al PR presso la Nostra SCDU in

tre periodi (1990-1994, 2000-2004, 2005-2009) e dimessi con DD. risultati: tra i PR avvenuti nei periodi esaminati emerge un incremento dei casi di DD (12% del 1990-1994, 21% del 2000-2004 e 28% del 2005-2009). L’incidenza della singole diagnosi si è modificata nei diversi anni ma per ogni periodo le patologie più rappresentate rimangono le psicosi schizofreniche o affettive e i disturbi di personalità. L’alcol è la sostanza psicotropa più utilizzata in ogni periodo, si registra inoltre un aumento progressivo sia del consumo di cannabis e cocaina sia dell’incidenza di poliabuso. Solo nel periodo 2005-2009 emerge che i pazienti con diagnosi di psicosi hanno una probabilità maggiore di abusare di cannabis, mentre è costante negli anni il maggior rischio di poliabuso tra i pazienti con disturbo di personalità. conclusioni: dato il continuo incremento dei casi di DD si evidenzia l’importanza di identificare precocemente i casi di comorbilità per offrire adeguata terapia e supporto.

p257. disturbo bipolare in adolescenza: valutazioni cliniche in un campione di pazienti ambulatoriali

A. Presta, I. D’Orta, S. Guida, E. Nikolaidou, D. Prestia,

R. Fravega, S. Puppo, S. Penati, G. Ferrigno

Ambulatorio di Consultazione Diagnostica e Psicoterapica per Adolescenti, Clinica Psichiatrica, Università di Genova

I disturbi dell’umore insorgono spesso in adolescenza e hanno notevoli ripercussioni sul funzionamento sociale e scolastico dei giovani pazienti. In un campione di 260 pazienti di età compresa tra i 14 e i 21 anni (età media 17 anni), che sono stati presi in carico dall’Ambulatorio di Consultazione Diagnostica e Psicoterapica per Adolescenti della Clinica Psichiatrica, 120 erano affetti da un disturbo dell’umore; 16 pazienti erano affetti da disturbo bipolare (6 femmine e 10 maschi). La diagnosi è stata formulata mediante valutazione clinica secondo i criteri del DSM-IV-TR e confermata nel corso della terapia. Le 6 ragazze, di età compresa tra i 17 e i 20 anni, manifestavano un quadro psicopatologico simile caratterizzato da allucinazioni uditive, eco del pensiero, commento degli atti, depersonalizzazione, derealizzazione e alternanza di inibizione ed eccitamento. Per la drammaticità dei sintomi era stata ipotizzata anche una possibile evoluzione verso la psicosi schizofrenica. Queste pazienti hanno tratto beneficio da un trattamento combinato durato due anni, psicoterapico ad orientamento psicodinamico con setting adattato all’età e farmacologico con impiego di stabilizzatori dell’umore, prevalentemente acido valproico, antipsicotici atipici (aripiprazolo e olanzapina) e sertralina. La terapia psicofarmacologica e il sostegno ai genitori sono stati gestiti da un curante diverso dal terapeuta del figlio. Nessuna paziente ha interrotto la terapia e a distanza di 3 anni in tutte vi è stata remissione dei sintomi con ripresa di relazioni interpersonali soddisfacenti e buon rendimento scolastico. La diagnosi si è definita in un disturbo bipolare con sintomi psicotici.

p258. effetto dell’umore indotto da stimoli uditivi sull’elaborazione emotiva implicita in soggetti con differente ansia di tratto

T. Quarto* ** ***, G. Blasi***, L. Fazio***, P. Taurisano***,

A. Bertolino***, E. Brattico* **

Cognitive Brain Research Unit, Institute of Behavioral Science, University of Helsinki, Finland; ** Center of Excellence in Interdisciplinary Music Research, University of Jyväskylä, Finland; ***Gruppo di Neuroscienze Psichiatriche, Dipartimento di Scienze Neuologiche e Psichiatriche, Sezione di Psichiatria e medicina comportamentale, Università di Bari

Studi comportamentali e di neuroimaging hanno dimostrato che lo stato affettivo influenza l’elaborazione conscia delle emozioni di base. In particolare, pazienti affetti da depressione

o disturbi d’ansia hanno una spiccata sensibilità nella discriminazione di stimoli emotivi a valenza negativa e una scarsa capacità nel riconoscimento di uno stimolo emotivo positivo. Precedenti studi hanno dimostrato come stimoli sonori a valenza positiva o negativa siano in grado di indurre in laboratorio degli stati affettivi congruenti alla stimolazione ricevuta (Gilet 2008; Coen et al. 2009). Tuttavia nessuno studio ha sinora indagato l’effetto di uno stato affettivo indotto in laboratorio sull’elaborazione implicita delle emozioni di base. Lo scopo del presente studio è pertanto quello di investigare l’effetto di differenti stati affettivi associati alla percezione di stimoli uditivi piacevoli e spiacevoli sull’elaborazione implicita di stimoli a diversa valenza emotiva in soggetti con differente ansia di tratto. 32 soggetti sani (11 M, età media 26,8 ± 3,8) hanno svolto un compito di elaborazione implicita di espressioni facciali con opposta valenza emotiva (felice e arrabbiata). Il compito prevedeva tre sessioni sperimentali che differivano per la presenza/ assenza e per la valenza dello stimolo uditivo presentato: “Musica” vs “Rumore” vs “Silenzio”. Leperformance venivano acquisite in termini di tempi di reazione (RT) alle risposte corrette. Ogni sessione terminava con la somministrazione del questionario POMS per la misurazione del tono dell’umore. L’ansia di tratto è stata indagata tramite il questionario STAI X2. L’ANOVA a misure ripetute sui punteggi al questionario POMS rivela una riduzione della fatica e un generale miglioramento dell’umore dopo la sessione “Musica” e un aumento dell’ansia nonché un generale peggioramento dell’umore dopo la sessione “Rumore” (p < 0,05). L’analisi dei dati sui RT ha mostrato un significativo effetto d’interazione (p = 0,027) tra la valenza dello stimolo uditivo e quella dell’espressione facciale emotiva, tale che durante la sessione “Musica” i soggetti sono risultati più veloci in risposta a espressioni felici, mentre durante la sessione “Rumore” essi erano più lenti in risposta alle espressioni arrabbiate. Inoltre, le analisi effettuate sui punteggi al questionario STAI X2 hanno rivelato che soggetti più ansiosi mostravano un aumento dei tempi di reazione associati ad elaborazione delle espressioni facciali durante la sessione “Musica” (p < 0,05). I risultati di questo studio mostrano che stimoli uditivi sono in grado di indurre in laboratorio stati affettivi specifici i quali, in interazione con i livelli individuali di ansia di tratto, contribuiscono a spiegare la differenza comportamentale durante elaborazione implicita di emozioni di base. Futuri studi potrebbero chiarire i substrati neurali che sottendono tali evidenze.

p259. interazione funzionale tra polimorfismi dei geni drd2 e aKt1 sull’attività della corteccia prefrontale durante elaborazione esplicita di stimoli emotivi

T. Quarto* ** ***, G. Blasi*, P. Taurisano*, L. Fazio*, L. Lo Bianco*, F. Ferrante*, B. Gelao*, M. Mancini*, A. Porcelli*,

R. Romano*, A. Di Giorgio*, G. Ursini*, A. Papazacharias*,

M. Nardini1, A. Bertolino*

*

Gruppo di Neuroscienze Psichiatriche, Dipartimento di Scienze Neuologiche e Psichiatriche, Sezione di Psichiatria e medicina comportamentale, Università di Bari; ** Cognitive Brain Research Unit, Institute of Behavioral Science, University of Helsinki, Finland; *** Center of Excellence in Interdisciplinary Music Research, University of Jyväskylä, Finland

Il signaling dei recettori D2 per la dopamina è coinvolto nella modulazione del comportamento emozionale e nell’attività delle regioni cerebrali connesse ad esso. Un polimorfismo intronico del gene per i D2 (rs1076560-G > T) altera lo splicing delle due isoforme molecolari da esso codificate (forma corta D2S e forma lunga D2L) ed è coinvolto nella modulazione dell’attività cerebrale durante elaborazione cognitiva ed emotiva. La serina/treonina protein chinasi (AKT) è un mediatore chiave della trasduzione del segnale dei D2. Studi precedenti hanno mostrato che una SNP nel gene AKT1 (rs1130233-G > A), regola l’espressione della proteina e l’attività prefrontale durante working memory. Scopo di questo studio è la valutazione di una possibile interazione fra i polimorfismi D2 rs1076560 e AKT1 rs1130233 sull’attività cerebrale durante elaborazione emotiva esplicita. 94 soggetti sani (35 M, età 25,3 ± 6,2) sono stati caratterizzati per i suddetti genotipi (DRD2/AKT1 N = 34 GG/GG; 34 GG/ Acar; 15 GT/GG; 11 GT/Acar) e sottoposti a fMRI durante un compito di elaborazione esplicita di stimoli facciali a valenza emotiva. I gruppi sono risultati comparabili per manualità e variabili socio-demografiche. Le analisi dei dati di fMRI hanno mostrato un significativo effetto di interazione (p < 0,005) tra DRD2AKT1 ed emozioni sull’attività della corteccia prefrontale (BA 47). L’analisi del segnale Bold-fMRI illustra che l’interazione è spiegata da una maggiore attività dell’allele T del gene DRD2 nei soggetti GG per il gene AKT1 durante l’elaborazione di facce con espressioni neutre e di rabbia. I risultati di questo studio confermano il ruolo dei recettori D2 nell’elaborazione emotiva, suggerendo che le possibili interazioni e l’effetto epistatico di geni diversi possano aiutare a comprendere meglio i correlati neurobiologici del comportamento emotivo. I dati suggeriscono, inoltre, che l’elevato ingaggio di aree prefrontali durante elaborazione esplicita di facce neutre, già evidenziato in precedenti studi, potrebbe predisporre alla modulazione della risposta prefrontale da parte della variabilità genetica individuale.

p260. abuso di sostanze e psicosi, solo una coincidenza?

C. Ranalli*, L. Serroni*, M. De Luca*, A. Di Donato*,

B. Feliziani*, N. Serroni*, D. Campanella*, D. De Berardis*,

L. Olivieri*, A. D’Agostino*, A. Serroni*, A.M. Pizzorno*,

T. Acciavatti* ***, V. Marasco*, A. Carano**, L. Mancini**,

G. Mariani**, N. D’Eugenio***, F.S. Moschetta*,

G. Di Iorio***, M. Di Giannantonio***

Dipartimento di Salute Mentale, Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, Ospedale Civile “G. Mazzini”, Azienda Sanitaria Locale, Teramo; ** Dipartimento Salute Mentale, Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, Ospedale Civile “C.G. Mazzoni”, Ascoli Piceno; ***Dipartimento di Neuroscienze e Imaging, Cattedra di Psichiatria, Università “G. D’Annunzio”, Chieti

introduzione: negli ultimi anni, diversi studi hanno esaminato la relazione tra abuso di sostanze e psicosi mostrando come il loro utilizzo possa influenzare l’età di esordio e le modalità di manifestazione di tali patologie. Le interpretazioni relative a questo fenomeno sembrano far riferimento prevalentemente a due modelli, uno che riguarda il concetto di “vulnerabilità” e l’altro quello di “autoterapia”. Il modello della “vulnerabilità” ipotizza che l’impiego di sostanze possa slatentizzare la patologia psichiatrica o facilitare la sua espressione sintomatologica in soggetti predisposti; quello di “autoterapia” ipotizza invece l’uso di sostanze come una forma di paradossale ed incongrua auto-medicazione di disturbi psichici pre-esistenti, talora non diagnosticati e non trattati. Ci sono diverse ragioni per pensare che il numero di soggetti con disturbo psicotico, che vivono nella comunità e che presentano abuso/dipendenza da sostanze, oggi sia grandemente aumentato. Tale situazione configura indubbiamente un problema rilevante di salute pubblica. Gli studi sulla cannabis (Hambrecht e Hafner, 2000) indicano che il 13% dei soggetti alla prima ospedalizzazione per schizofrenia ha una storia positiva per abuso di cannabis e che circa un terzo di essi ha usato cannabis prima dei sintomi prodromici ed un altro terzo in concomitanza ai sintomi prodromici stessi. obiettivi: l’osservazione, effettuata su un campione, si propone di verificare quanto l’uso o l’abuso di sostanze possa slatentizzare la manifestazione o il mantenimento di un quadro psicotico. Materiali e metodi: a tale proposito abbiamo considerato i ricoveri effettuati presso un S.P.D.C. nel periodo compreso tra il 2008 e maggio 2010. I pazienti presi in esame sono 14, hanno un’età compresa tra i 17 e i 37 anni e presentano diagnosi di psicosi NAS e/o di episodio psicotico. Ad una prima analisi è emerso che il 28,57% dei pazienti presentava una psicosi NAS collegata ad eventi di vita stressanti non attribuibili all’abuso di sostanze. Il re-stante 71,43% del campione invece, mostra un comportamento di dipendenza da sostanze associato all’emergere dei sintomi o alla loro conservazione. Dal sottogruppo di pazienti che ha fatto uso di sostanze abbiamo estrapolato e riportati nel lavoro tre casi suddivisi in base alla tipologia di sostanze utilizzate. conclusioni: dall’osservazione fatta appare che il 71,43% del campione esaminato mostra una possibile correlazione tra l’abuso di sostanze (alcol, cannabis, cocaina, MDMA, Ketamina, eroina) e la comparsa di sintomi psicotici o il mantenimento degli stessi. Tali dati potrebbero essere in accordo con quanto sostenuto in alcuni studi presenti in letteratura sull’argomento secondo cui l’assunzione di sostanze può influenzare o rinforzare la presenza di un quadro psicotico.

La sovrapposizione della sintomatologia psicotica agli effetti dovuti all’assunzione di sostanze è spesso associata a una tendenza da parte dei familiari e del paziente a ritardare la richiesta di aiuto attribuendo la comparsa dei sintomi unicamente alla sostanza. Anche se non è possibile affermare che il comportamento di abuso sia la causa primaria di tali manifestazioni sintomatologiche, è possibile ritenere che questo rappresenti comunque un fattore di rischio in soggetti vulnerabili. A tal fine sono necessari ulteriori approfondimenti per indagare l’impatto che l’utilizzo di sostanze ha sulla psiche di un soggetto nella genesi di episodi psicotici.

p261. adHd, disturbo bipolare e disturbo da uso di sostanze: caratteristiche clinico-demografiche in 147 adulti

S. Rizzato, G. Ceraudo, L. Dell’Osso, G. Perugi

Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie, Università di Pisa

Il disturbo da deficit di attenzione e Iperattività (ADHD) negli adulti si osserva generalmente associato ad almeno un altro disturbo mentale; tra questi di maggior riscontro clinico sono il disturbo bipolare (DB) e il disturbo da uso di sostanze (DUS). L’obiettivo del nostro studio è di valutare la presenza di sintomi ascrivibili allo spettro ADHD in soggetti con DUS, DB e DUS+DB, e di confrontare le caratteristiche demografiche e cliniche dei tre gruppi. Abbiamo reclutato 147 soggetti affetti da DUS e/o DB e valutato tramite la scala DCTC (Diagnostic Clinical and Therapeutic Checklist) per la raccolta delle variabili demografiche-cliniche e somministrato la ASRS vs1.1 (Adult ADHD Self-Report Scale) per la formulazione della diagnosi di ADHD. Dal confronto dei pazienti appartenenti ai tre sottogruppi emerge che quelli con DUS e DUS+DB sono più frequentemente non coniugati (64,2% vs 79,5%) rispetto a quelli con DB (p = ,0001). I pazienti con DUS+BIP riportano livelli di istruzione inferiori 72,7% (p = ,02) rispetto agli altri due gruppi. Essi mostrano punteggi medi più bassi alla scala GAF e punteggi più elevati alla scala ASRS-v1.1. L’Item 2 e l’Item 17 differenziano il gruppo DUS+DB rispetto agli altri 2., l’Item 14 distingue i soggetti DB e DB+DUS dai probandi DUS. Infine, ADHD, BD e DUS sembrano aumentare reciprocamente il rischio relativo di presentarsi associati nello stesso paziente. È possibile ipotizzare una diatesi comune tra ADHD, DB e DUS mediata dalle dimensioni a comune di iperattività e impulsività.

p262. adHd, disturbo da uso di sostanze e disturbo bipolare: comorbidità e decorso clinico

S. Rizzato, G. Ceraudo, N. Mosti, A. Del Carlo, F. Casalini,

M. Benvenuti, G. Vannucchi, L. Dell’Osso, G. Perugi

Dipartimento di Psichiatria Neurobiologia Farmacologia e Biotecnologie, Università di Pisa

Il disturbo da deficit di attenzione ed iperattività (ADHD) negli adulti è spesso clinicamente associato ad altri disturbi mentali tra cui il disturbo bipolare (DB) e il disturbo da uso di sostanze (DUS). L’obiettivo del nostro studio è di valutare la presenza di sintomi ascrivibili allo spettro ADHD in soggetti affetti da DUS, DB e DUS + DB e di confrontare il decorso clinico. Abbiamo valutato 147 soggetti affetti da DUS e/o DB tramite la scala DCTC (Diagnostic Clinical and Therapeutic Checklist) per la raccolta delle variabili demografiche-cliniche ed utilizzato la ASRS vs1.1 (Adult ADHD self-Reort Scale) per la formulazione della diagnosi di ADHD. Dai nostri dati emerge che un quadro clinico compatibile con ADHD si riscontra nel 7,5% dei probandi con DUS, nel 12% del gruppo con DB e nel 29,5% di quello DUS + DB (p = ,008). I pazienti con DB riportano il maggior numero di episodi maniacali 18% vs0,0% dei DUS + BIP (p = ,003). i pazienti con DUS + BIP passano meno tempo in remissione 2,3% (p = ,01), essi inoltre riportano punteggi più bassi alla scala che indaga il funzionamento globale. ADHD, BIP e DUS sembrano aumentare reciprocamente il rischio relativo di presentarsi associati nello stesso paziente (comorbidità multipla). Pazienti DUS + ADHD + BD sembrano presentare un decorso peggiore con un numero elevato di episodi misti o maniacali al momento dell’osservazione e una maggiore gravità degli stessi.

p263. l’orientamento verso il recovery di una comunità agricola per l’autismo grave. dati dal dreeM-it (Developing Recovery Enhancing Environment Measures -Italian Version)

M. Rocchetti, G. Scanferla, M. Boso, E. Emanuele,

E. Barron, N. Piaggi, U. Provenzani, D. Broglia,

R. Colombo, S. Pesenti, M. De Giuli, E. Croci, S. Ucelli,

J. Secker, M. Barcella, M. Cappucciati, R. Magnani,

S. Tinelli, L. Vecchia, P. Politi

Università di Pavia, Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali, Sezione di Psichiatria

backgrounds: recent years have witnessed an increasing interest in the concept of ‘recovery’ in the field of mental health and psychiatry. Developing Recovery Enhancing Environments Measure (DREEM) is the most promising of an emerging group of recovery sensitive measures. This study explores the use of DREEM, as a tool to evaluate the effectiveness of recovery-based care in non verbal adult autistic patients living in an Italian farm community center (Cascina Rossago, San Ponzo Semola, PV, Italy).Methods: 24 mothers of adult nonverbal subject with autism were invited to fill two specific DREEM sections (organizational climate and recovery markers) at two different time points (January 2009 and January 2010). Of them, 17 attended both the interviews. results: total mean scores in the organizational climate section resulted 1.5 in 2009 and 1.47 in 2010 respectively. Total mean scores in the recovery markers section was 1.6 both in 2009 and 2010 administrations. discussion: DREEM is useful with non verbal patients with severe intellectual disability and may be completed by parents. In this sense, it may measure of parents’ viewpoint about the recovery status of their sons. Cascina Rossago results were excellent in both 2009 and 2010 administrations. Accordingly, the farm community model seems to favor the recovery of patients with severe autism.

p264. lo sport fattore di prevenzione dei disturbi d’ansia e della depressione (risultati di una indagine)

L. Serroni*, A. D’Agostino*, N. Serroni*, D. Campanella*,

D. De Berardis*, L. Olivieri*, A. Serroni*, A.M. Pizzorno*,

T. Acciavatti**, A. Carano**, L. Mancini**, G. Mariani**,

  • F.S.
  • Moschetta*, S. Serroni ***, N. D’Eugenio ***,
  • G.
  • Di Iorio***, M. Di Giannantonio***

Dipartimento di Salute Mentale, Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, Ospedale Civile “G. Mazzini”, Azienda Sanitaria Locale, Teramo; ** Dipartimento Salute Mentale, Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, Ospedale Civile “C.G. Mazzoni”, Ascoli Piceno; ***Dipartimento di Neuroscienze e Imaging, Cattedra di Psichiatria, Università “G. D’Annunzio”, Chieti

Gli studi dell’ultimo periodo hanno evidenziato che circa il 60% degli adulti tra i 25 e i 64 anni non svolge alcuna attività fisica e la mancanza di attività fisica e una alimentazione scorretta sono la causa principale di molte patologie delle società industrializzate. Parlando, dei benefici effetti del movimento, questi riguardano tra l’altro anche la prevenzione dell’ansia, della depressione e dell’insonnia. Numerosi studi hanno documentato i benefici psicologici dell’esercizio fisico ed è ben conosciuto che un allenamento può temporaneamente aumentare i livelli di serotonina e migliorare l’umore e che un esercizio fisico continuo può avere un effetto più profondo e duraturo. Uno studio del 2005 pubblicato nel “Journal of Neuroscience” ha dimostrato che l’esercizio fisico aumenta la crescita delle cellule neuronali del cervello. È ormai accertato che l’attività sportiva ha un effetto positivo non soltanto sul fisico ma anche sulla mente. Partendo da tale postulato abbiamo somministrato a 250 persone frequentanti le palestre della nostra città, di età compresa tra i 18 e i 65 anni, in un periodo di sei mesi i seguenti test: la Zung Self-rating Anxiety Scale e la Zung Depression Rating Scale. I risultati ottenuti hanno rilevato per quanto riguarda la scala di valutazione per l’ansia, nella maggior parte dei casi (oltre il 85%) valori compresi tra 0 e 40 indicativi di ansia nei limiti della norma, e per la scala per la depressione anche valori relativamente bassi non significativi per patologia dell’umore in atto. I dati rilevati dal nostro lavoro sono significativi nell’evidenziare l’importanza dello sport nella prevenzione dei disturbi d’ansia e dell’umore

bibliografia

Serroni N, Pizzorno AM, Di Pietro Piccirilli MA, et al. Lo sport fattore di prevenzione dei disturbi d’ansia e dell’umore. XLVIII Congresso della Società Italiana di Psichiatria.

p265. stili di vita solitari e abuso di cannabis in pazienti al primo episodio psicotico

M. Sirianni, M. Di Forti, S.M. Pintore, S.A. Stilo, L. Sideli,

  • M.A.
  • Falcone, S. Luzi, E. Cooke, A. Paparelli, M. Russo,
  • R.
  • Murray

Institute of Psichiatry, King’s College, London

introduzione: l’utilizzo di cannabis come droga ricreativa è comune sia tra i pazienti al primo episodio psicotico che nella popolazione generale. L’abuso di sostanze è spesso associato a stili di vita disregolati così come l’esordio psicotico è associato alla mancanza di una rete sociale. Scopo del seguente studio è verificare la presenza di un’associazione tra utilizzo di cannabis e stile di vita confrontando un campione costituito da pazienti al primo episodio psicotico e controlli sani che utilizzano entrambi cannabis. Materiali e metodi: sono stati reclutati 210 pazienti al primo episodio psicotico dal South London & Maudsley National Health Service (NHS) Foundation Trust e 120 controlli sani dalla popolazione locale. I dati sono stati raccolti, nell’ambito delGenetic and Psychosis Study, mediante l’utilizzo del Social Data Schedule e una versione modificata del Cannabis Experience Questionnaire (Barkus et al. 2006). risultati: i pazienti che utilizzano cannabis riportano più frequentemente di vivere da soli rispetto ai controlli (35% vs 13%; p = 0,000) e tra quelli che vivono insieme ad altri un’elevata percentuale vive con la famiglia (35%vs 22%; p = 0,016) piuttosto che con il partner (35% vs 22%; p = 0,016) o con amici (35% vs 22%; p = 0,016). Inoltre tra i pazienti che abusano di cannabis la proporzione di single è superiore rispetto al gruppo dei controlli (78% vs 56%; p = 0,000) ed è meno probabile che tali soggetti abbiano avuto una relazione stabile e di lunga durata (un anno o più) (73% vs 84%; p = 0,025).conclusioni: i dati raccolti suggeriscono la presenza di un’associazione tra l’utilizzo di cannabis e l’isolamento sociale nei soggetti al primo episodio psicotico, ma non nei controlli sani. L’abuso di cannabis potrebbe quindi aumentare la vulnerabilità all’isolamento sociale nei pazienti al primo episodio psicotico.

bibliografia

Carey KB, Carey MP, Simons JS. Correlates of substance use disorder among psychiatric outpatients: focus on cognition, social role functioning and psychiatric status. J Nerv Ment Dis 2003;191:300-8.

D’Souza DC, Sewell RA, Ranganathan M. Cannabis and psychosis/ schizophrenia: human studies. Eur Arch Psychiatry Clin Neurosci 2009;259:413-31.

Sevy S, Robinson DG, Napolitano B, et al. Are cannabis use disorders associated with an earlier age at onset of psychosis? A study in first episode schizophrenia. Schizophr Res 2010;120:101-7.

p266. il trattamento dialettico comportamentale del disturbo borderline di personalità associato ai disturbi del comportamento alimentare

C. Tamburini1, M. Di Stani1, M. Buzzi1, D. Ghigi2,

M. Bizzochi2, C. Pieraccioli3, L. Barone4

Ambulatorio DCA, AUSL Ravenna; CSM Rimini e Riccione; Casa di Cura Neuropsichiatrica “Villa dei Pini”, Firenze; 4Università di Pavia

introduzione: il trattamento dialettico comportamentale (DBT) 
è una terapia cognitivo comportamentale validata per pazienti 
di sesso femminile con disturbo borderline di personalità (DBP) 
che presentano all’anamnesi gesti suicidari e parasuicidari. 
Questo modello prevede un intervento riabilitativo integrato 
che può essere adottato anche in popolazioni che presentano 
comorbilità con disturbi del comportamento alimentare (DCA) 
caratterizzati da disregolazione emotiva.
Materiali e metodi: il DBT individua nella rete terapeutica il 
presupposto per la presa in carico di pazienti con DBP e/o 

DCA: l’obiettivo è di insegnare loro a riconoscere e modulare i propri stati affettivi e a modificare le proprie condotte in favore di comportamenti più adattivi. Il trattamento si sviluppa attraverso due momenti integrati: la terapia individuale e il gruppo di skills trainingrisultati: sono state avviate al DBT 19 pazienti con diagnosi di DBP o tratti di personalità borderline, in comorbilità con Bulimia Nervosa o DCA caratterizzati da perdita di controllo. 11 pazienti hanno portato a termine il trattamento, che ha avuto durata tra i 6 e i 18 mesi. conclusioni: verranno presentati nel poster gli esiti della terapia, sia in termini di riduzione dei sintomi, ma anche di percezione soggettiva della qualità della vita, rilevati attraverso questionari autosomministrati, interviste semistrutturate e schede settimanali in cui le pazienti hanno registrato gli aspetti impulsivi per tutta la durata del trattamento.

bibliografia

Di Stani M, Tamburini C, Buzzi M, et al. Interdisciplinarietà e lavoro d’équipe nella terapia dei DCA in comorbidità con il Disturbo Borderline di Personalità: l’applicazione del modello dialetto-cognitivo-comportamentale di Marsha M. Linehan. Frammenti 2009;18, n. 1-2.

Linehan MM. Il trattamento cognitivo-comportamentale del disturbo borderline. Il modello dialettico. Milano: Raffaello Cortina Editore 2001.

p267. interazione fra varianti genetiche funzionali di drd1 e drd2 sull’attività della corteccia pre-frontale durante controllo attentivo

P. Taurisano* ***, G. Blasi*, A. Papazacharias*,

R. Romano* ***, L. Antonucci*, G. Ursini*, S. Napolitano*,

L. Fazio* ***, A. Di Giorgio* ***, B. Gelao*, G. Caforio*,

R. Masellis*, L. Sinibaldi**, I. Andriola*, L. Lo Bianco*,

M. Mancini*, A. Porcelli*, T. Popolizio***, M. Nardini*,

A. Bertolino*

*

Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università di Bari; ** Laboratorio Mendel, IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo; *** IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, S. Giovanni Rotondo (FG)

Il signaling dei recettori D2 e D1 per la dopamina (DA) è fondamentale per l’esecuzione di processi cognitivi e per l’attività corticale che li sottende. Un polimorfismo di un singolo nucleotide (SNP) intronico nel gene per i D2 (DRD2, rs1076560-G > T) è stato associato a espressione differenziale prefronto-striatale dei D2 pre- e post-sinaptici e a modulazione dell’attività di queste aree cerebrali durante working memory. Inoltre, il gene che codifica per i D1 (DRD1) presenta uno SNP (DRD1, rs686-A > G) che sembra influenzare l’espressione del recettore e che è stato associato a differenti patologie neuropsichiatriche. Scopo di questo studio è la valutazione di una possibile interazione fra le SNP DRD2 rs1076560 e DRD1 rs686 sull’attività cerebrale durante controllo attentivo. 131 soggetti sani (46 M, età 25,3 ± 5,6) sono stati caratterizzati per i suddetti genotipi (DRD2 DRD1 N = 27 GG/AA; 78 GG/GAcar; 9 GT/AA; 17 GT/GAcar) e sottoposti a fMRI durante un compito che elicita livelli crescenti di controllo attentivo. In assenza di differenze comportamentali, i dati di fMRI hanno indicato un effetto di interazione tra le due SNP in DLPFC bilaterale. In particolare i soggetti AA per DRD1 hanno una maggiore attività rispetto ai Gcar solo nel contesto GT per il genotipoDRD2. Questi dati suggeriscono un’interazione geneticamente determinata fra D1 e D2 sull’attività della PFC durante controllo attentivo.

p268. fattori genetico-ambientali e condotte criminose in soggetti con disturbo da uso di alcol

C. Terranova, M. Tucci, M. Montisci, S.D. Ferrara

Sezione di Medicina Legale, Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Università di Padova

introduzione: lo scopo dello studio è proporre un’analisi genetico-ambientale dei fattori correlati a condotte criminose in soggetti alcol dipendenti. Materiali e metodi: lo studio in fase di conclusione è stato condotto su 368 maschi italiani, caucasici, 25-70 aa suddivisi in tre gruppi: gruppo 1, n. 136 alcoldipendenti, gruppo 2, n. 47 alcoldipendenti con precedenti condotte criminose, gruppo 3,

n. 185 controlli. I due gruppi di soggetti alcoldipendenti sono stati raffrontati in relazione a variabili sociali (scolarità, famiglia, religiosità, lavoro) analizzate mediante un’intervista strutturata e l’analisi di documentazione legale disponibile. L’elaborazione statistica dei dati è stata attuata mediante applicazione del test del chi-quadrato e del modello di regressione logistica. L’analisi genetica di 26 SNPs localizzati nelle regioni codificanti e non codificanti del gene della decarbossilasi dell’acido glutammico (GAD) 67) su campioni di sangue relativi ai tre gruppi è stata condotta mediante tecnica GenomeLab SNPStream Genotyping System (Beckman Coulter, Fullerton, CA). La distribuzione allelica e genotipica è stata valutata mediante analisi statistica effettuata con l’ausilio dei software Power Marker e Haploviewrisultati: i risultati preliminari evidenziano un’associazione statisticamente significativa tra condotte criminose e alcuni fattori sociali quali bassa scolarità, problematiche lavorative e problemi droga correlati. Le analisi genetiche sono in fase di ultimazione e saranno oggetto di successiva presentazione. discussione:sebbene i risultati preliminari evidenzino al momento un’associazione solo tra alcune variabili ambientali e condotte antisociali, gli Autori sottolineano comunque l’importanza di includere in studi criminologici futuri un approccio integrato genetico-ambientale. Il razionale di studi analoghi al presente si identifica in una migliore stima dei meccanismi causa di problematiche comportamentali e nella valutazione di nuove strategie terapeutiche e preventive.

p269. il problema della valutazione delle condizioni stressanti: studio di prevalenza in un campione di studenti delle scuole superiori

S. Tinelli, L. Vecchia, R. Magnani, M. Rocchetti,

M. Barcella, M. Cappucciati

Dipartimento di Scienze sanitarie applicate e psicocomportamentali, Sezione di psichiatria. Università di Pavia

background: stress is well known as a risk factor for the onset of several physical and mental diseases. Anxiety disorders, depression and psychosomatic diseases are fequent sequelae of stress. In addition, substance abuse disorder, widespread in young people, can be also stress related. Even if the relation between stress and development of these diseases is well known, there are few data available about the prevalence of this phenomenon in adolescents, especially in school environment. The aim of our study was to investigate the prevalence of perceived stress levels in high school students and correlate them with socio-demographic characteristics. Methods: 407 high school students, aged 18-20, were tested with the italian version of Perceived Stress Scale (PSS) questionnaire and an anonymous form collecting socio-demographic data (age, gender, ethnic group, drugs and cannabis use). results: we found a correlation between female gender and both PSS scores and drugs use (p < 0.001) and among male gender and cannabis use (p < 0.001). The multivariate analysis shows that female gender was the only independent predictor for the PSS score (beta = 0.245, t = 4.671, p < 0.001). conclusions: female gender seems to be a predictive factor for higher perceived stress levels and drugs use, while cannabis use was more frequent in males. Other longitudinal studies are necessary to further investigate these correlations in order to program successful preventive strategies.

p270. Uso di cannabis e dimensioni psicopatologiche negli esordi psicotici

A. Tomassini, M. Malavolta, R. Ortenzi, G. Di Melchiorre,

R. Roncone, R. Pollice

Clinica Psichiatrica, Dipartimento di Scienze della Salute, Università dell’Aquila

introduzione: il legame tra uso di cannabis ed esordio dei disturbi psicotici è stato ampiamente valutato da studi epidemiologici e neuroscientifici. È stata evidenziata, infatti, un’alta prevalenza di consumo di cannabis tra gli individui ad un primo episodio psicotico, con una relazione dose-risposta tra l’esposizione alla cannabis ed il conseguente rischio di psicosi 1 2 . Lo scopo dello studio è stato quello di valutare l’influenza dell’uso di cannabis sul quadro psicopatologico di soggetti all’esordio di un disturbo psicotico (schizofrenico o affettivo) o con uno Stato Mentale a Rischio. Materiali e metodi: sono stati valutati 67 soggetti (40 maschi e 27 femmine) afferenti consecutivamente presso l’ambulatorio SMILE, con esordio dello spettro Bipolare nel 72,3% (N = 47) e dello spettro Schizofrenico nel 7,7% (N = 5) e con Stato Menta-le a Rischio nel 19. 4% (N = 13) dei casi. Sono stati utilizzati i seguenti strumenti di valutazione: Self Report Sympton Inventory-90 (SCL-90) per la valutazione delle principali dimensioni psicopatologiche; la scala per la Valutazione Globale dei Funzionamento (VGF) per il funzionamento globale nel mese precedente; la Clinical Global Impressions-Severity (CGI-S) per la gravità del disturbo. È stato, inoltre, indagato l’uso di cannabis nell’ultimo mese. risultati: il campione totale è stato suddiviso in due gruppi in base alla presenza o meno dell’uso di cannabinoidi nell’ultimo mese: Gruppo 1 formato da 30 soggetti con uso di cannabinoidi e Gruppo 2 di 37 soggetti che non avevano mai utilizzato la sostanza. I due gruppi non differivano significativamente in relazione alle caratteristiche socio-demografiche. Sono state evidenziate differenze statisticamente tra i due gruppi, nel senso di punteggio medio più elevato nel Gruppo 1, relativamente alle dimensioni della SCL-90 ‘Aggressività’ (1,54 ± 1,43 vs 0,95 ± 0,78; p < ,05; t = 2,13), ‘Paranoia’ (1,65 ± 0,95 vs 1,24 ± 0,70; p < ,05; t = 2) e ‘Psicoticismo’ (1,480 ± 1,4245 vs 0,87 ± 0,49; p < ,05; t = 2,42). Il Gruppo 1, inoltre, mostrava, rispetto al Gruppo 2, un punteggio medio significativamente maggiore alla CGI-S (4,50 ± 0,745 vs 3,91 ± 0,85; p < ,05; t = 2,86). Non sono state osservate differenze significative tra i due gruppi relativamente al funzionamento globale valutato con la VGF. conclusioni: i risultati del nostro studio supportano i dati della letteratura che evidenziano differenze nella presentazione clinica ed una maggior gravità del disturbo all’esordio psicotico dei soggetti che utilizzano cannabis rispetto a coloro che non la utilizzano 2 3. Risultata pertanto di estrema importanza nel trattamento dell’esordio psicotico una psicoeducazione sull’uso di cannabinoidi ai fini di una prevenzione secondaria relativamente ad eventuali ricadute e agli esiti a lungo termine del disturbo.

bibliografia

1 Addington J, Addington D. Patterns, predictor and impact of sub

stance use in early psychosis: a longitudianl study. Acta Psychiatr

Scand 2007;115:304-9.

Lambert M, Conus P, Lirman DI, et al. The impact of substance use

disorders on clinical outcome in 643 patients with first-episode psy

chosis. Acta Psychiatr Scand 2005;112;141-8.

Mauri MC, Volonteri LS, De Gaspari IF, et al. Substance abuse in first-

episode schizophrenic patients: a retrospective study. Clin Pract Epi

demiol Ment Health 2006;2:15-21.

p271. abuso di sostanze: quale impatto sui ricoveri in spdc?

A. Trappoli, S. Porcelli, A.R. Atti, C. Petio, L. Mandelli,

A. Serretti, M. Bellini, D. De Ronchi

Istituto di Psichiatria “P. Ottonello”, Università di Bologna

background: l’influenza dell’abuso di sostanze (AS) sul decorso e sulla sintomatologia di una vasta gamma di patologie psichiatriche è ormai largamente riconosciuta. Emergono inoltre dalla letteratura evidenze che sottolineano la presenza di una correlazione fra AS e numero e caratteristiche delle ospedalizzazioni. obiettivi: gli Autori hanno voluto osservare le correlazioni esistenti fra AS e pazienti ricoverati in acuto sfruttando un punto di vista privilegiato rappresentato da un SPDC di Bologna nel periodo 1 gen-31 lug 2008. In tale periodo, la struttura ha coperto l’intero bacino di utenza della città per quanto riguarda i TSO. I dati sono stati raccolti reclutando tutti i pazienti ricoverati nei suddetti limiti di tempo. risultati: nel corso dei sei mesi di osservazione i pazienti ricoverati presso il SPDC dell’Ospedale Maggiore sono stati 402, dei quali 68 in regime di TSO. Dei 402 ricoveri effettuati, il 22% (88 casi) era correlabile all’uso di sostanze, inteso sia come abuso immediatamente precedente il ricovero sia come dipendenza vera e propria. La percentuale di casi correlati a sostanze è risultata maggiore nel sottogruppo di pazienti ricoverati in TSO (31%, 21 casi). discussione: il nostro studio evidenzia l’importanza dell’abuso di sostanze nella Psichiatria attuale. Infatti nel periodo di osser-

vazione di sei mesi il consumo di sostanze è risultato correlato a circa un quinto delle degenze e a circa un terzo dei TSO effettuati. Tale dato evidenzia la necessità e l’importanza della cura concomitante delle problematiche d’abuso nella pratica psichiatrica quotidiana.

p272. il valproato di sodio come possibile farmaco nel trattamento della dipendenza da cannabis: un’esperienza su 30 casi

T. Vannucchi, P. Gai, S. Garcia, A. Manfredi

U.F. Farmacotossicodipendenze, USL 4 Prato

introduzione: studi clinici dimostrano che la dipendenza da cannabinoidi (THC) presenta un alto tasso di recidiva rispetto alle altre droghe, con grandi difficoltà dei consumatori a raggiungere lo stato “drug-free” 1; la sintomatologia astinenziale da THC (irritabilità, aggressività, deflessione del tono dell’umore, craving) insorge ca 1-2 giorni dalla cessazione della droga e si risolve in circa 10 giorni ed è in gran parte responsabile delle ricadute. Scopo dello studio è stato di valutare, sulla base di precedenti studi 2, l’utilità del Valproato di sodio nel trattamento della sindrome d’astinenza da THC. Materiali e metodi: sono stati arruolati 30 pz M che rispondevano ai criteri di Dipendenza da Cannabis (DSM-IV TR) e divisi in 2 Gruppi di 15 pz, il Gruppo A: si sottoponeva al trattamento psicosocioriabilitativo associato al Valproato di sodio (VLP) con una dose di 20 mg/kg/die mentre il Gruppo B: si sottoponeva solamente al trattamento psicosocioriabilitativo. Entrambi i Gruppi sono stati valutati per 12 settimane sottoponendosi settimanalmente a controlli urinari per la ricerca delle droghe ed alla valutazione del craving mediante una scala visuo-analogica (VAS) ed alla valutazione dello stato emotivo (ansioso, irritabile, depresso, calmo, sereno) mediante una scala autosomministrata.risultati: al termine delle 12 set. 9 pz (60%) del Gruppo A hanno presentato una forte riduzione del consumo di THC (< 3 recidive), un miglioramento della sintomatologia astinenziale ed una riduzione del craving; nel Gruppo B 4 pz (26,6%) hanno avuto < 3 recidive ma presentavano sintomi di ansia, irritabilità e disturbi del sonno; il resto dei pz di entrambi i gruppi hanno presentato un numero di recidive ≥ 6. Nel Gruppo A non si sono evidenziati effetti collaterali degni di rilievo eccetto una sonnolenza riscontrata in 5 pz. conclusioni: la mancanza di trattamenti specifici per dipendenza di cannabinoidi induce alla ricerca di terapie utili alla disintossicazione, sulla base di precedenti esperienze l’utilizzo di VLP ha dimostrato di essere utile per il raggiungimento dello stato “drugfree” associando una buona tollerabilità al farmaco. La tipologia dello studio in aperto, la mancanza di confronto verso placebo ed il campione di piccole dimensioni, indubbiamente pongono dei limiti a questo studio ma da quanto è emerso nella nostra esperienza i dati sembrano confermare VLP come un farmaco di possibile utilità nel trattamento anticraving per la Dipendenza da Cannabis come riportato da altri Autori 2.

bibliografia

1 Copeland J, Swift W, Roffman R, et al. A randomized controlled trial

of brief cognitive-behavioral interventions for cannabis use disorder. J

Subst Abuse Treatment 2001;21:55–64.

Levin FR, McDowell D, Evans SM, et al. Pharmacotherapy for mari

juana dependence: a double-blind, placebo-controlled pilot study of divalproex sodium. Am J Addict. 2004;13:21-32.

p273. prevalenza dei tratti autistici sottosoglia in un campione di studenti di medicina

L. Vecchia, N. Brondino, M. Barcella, M. Cappucciati,

R. Magnani, V. Martinelli, M. Rocchetti, S. Tinelli, P. Politi

Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali, Sezione di Psichiatria, Università di Pavia

background: subthreshold autistic traits can be found in students with normal cognitive abilities and may be associated with reduced empathy and impaired communication skills. The aim of this study was to assess the prevalence of subthreshold autistic traits in a sample of undergraduate medical students recruited from the Pavia University School of Medicine. We also determined the potential association between autistic traits and the students 17855 preferences on their future specialty choice. Methods: 135 undergraduate Italian medical students were asked to fill the Autism Spectrum Quotient (AQ), a short self-administered scale which measures autistic traits in individuals with normal cognitive abilities. Participants were divided into 7 groups according to their specialty. Intergroup differences were analyzed using one-way ANOVA and analysis of covariance (ANCOVA). results: the sample showed low-to-mild autistic traits (mean AQ score = 17.09 ± 5.05, cut-off for high levels of autistic traits = 32). There was a statistically significant difference (p = 0.013) between surgery and psychiatry on the “Imagination” subscale of the AQ.conclusions: to our knowledge, our study is the first to assess Italian students using the AQ. Our findings of a significant relation between AQ scores and the future choice of a particular medical specialty confirm that the professional attitudes may be interrelated with specific interpersonal skills as well as autistic traits.

p274. prevenzione del rischio di abuso di armi da fuoco legali. Una ricerca su formazione e pratiche cliniche nel personale sanitario

L. Veneroni*, G. Cavallotti*, A. de’ Micheli**, V. Pirro*,

C.A. Clerici*

*

Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biomediche, Sezione di Psicologia, Facoltà di Medicina, ** Cattedra di Criminologia Clinica, Facoltà di Medicina, Università di Milano

Per la tutela della collettività, è necessario che i soggetti che detengono armi da fuoco possiedano adeguati requisiti di salute mentale e di stabilità emotiva. Psichiatri, psicologi e psicoterapeuti possono trovarsi a gestire situazioni di rischio legato all’abuso di armi da fuoco legalmente detenute. Il problema di come valutare questo rischio e di cosa fare una volta che lo si è evidenziato è una questione rilevante.

Scopo della ricerca è indagare nei sanitari la percezione del problema del rischio di abuso di armi legalmente detenute, la formazione e le pratiche utilizzate per la gestione dei casi problematici. I dati sono stati raccolti attraverso questionari distribuiti in forma cartacea ed elettronica via e-mail on-line attraverso il sito www.ricercawar.com realizzato ad hoc per questa ricerca. È stato raccolto un campione di 908 operatori sanitari sul territorio nazionale italiano (33% medici di medicina generale e medici ASL o militari, 18% psichiatri, 49% psicologi). I risultati sottolineano l’opportunità di migliorare la formazione dei professionisti sul tema e sulle procedure in caso di situazioni problematiche, in accordo con quanto rilevato dalle società scientifiche statunitensi (Longjohn 2004). A questo scopo potrebbero essere utili strumenti di consulenza on-line, forum di discussione e sistemi di formazione a distanza.

bibliografia

Longjohn MM, Christoffel KK. Are medical societies developing a standard for gun injury prevention? Inj Prev 2004;10:169-73.

p275. rischio genetico per la schizofrenia: interazione tra schizotipia ed elaborazione emotiva

G. Viscanti, P. Taurisano, T. Quarto, L. Lo Bianco,

B. Gelao, R. Romano, M. Lozupone, M. Nardini, G. Blasi,

A. Bertolino

Gruppo di Neuroscienze Psichiatriche, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università di Bari

Il rischio di schizofrenia è spiegato per circa l’80% da fattori genetici. Lo studio degli endofenotipi permette di chiarire il rapporto tra genetica della schizofrenia e manifestazioni fisiopatologiche e comportamentali ad essa associate. Studi precedenti hanno dimostrato in parenti di primo grado di pazienti con schizofrenia la presenza di sintomi clinici sottosoglia e di anomalie nella identificazione di emozioni facciali. Scopo di questo studio è indagare una possibile interazione tra schizotipia e carico genetico per la schizofrenia sulla fisiologia associata ad elaborazione emotiva in fratelli non affetti di pazienti con il disturbo. 16 fratelli non affetti e 16 controlli sani, comparabili per una serie di variabili sociodemografiche, sono stati categorizzati attraverso valutazione con SPQ (Schizotypal Personality Questionnaire) in individui con alti o con bassi valori di schizotipia e sottoposti a risonanza magnetica funzionale a 3 Tesla durante elaborazione esplicita di espressioni facciali a diversa valenza emotiva. Un’ANOVA multifattoriale (p < 0,005) ha mostrato nei fratelli non affetti e con alti valori di schizotipia una maggiore attività di DLPFC, amigdala e putamen, durante elaborazione di stimoli avversivi, e un maggiore reclutamento di risorse prefrontali durante elaborazione di stimoli neutri rispetto ai controlli sani. Questi risultati suggeriscono la presenza di un’associazione emozione specifica tra schizotipia ed attività cerebrale durante elaborazione emotiva in soggetti ad alto rischio genetico per la schizofrenia.

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