SOPSI 2003: INTERVISTA AL PROF. T MCNEIL

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12 ottobre, 2012 - 16:55

In merito alla sua relazione sui fattori di rischio per la schizofrenia,a che punto pensa sia la ricerca in questo momento riguardo a questi e su cosa pensa che questo tipo di ricerca debba focalizzarsi in futuro?
Sta diventando ricerca di grandi studi epidemiologici e meta-analisi, anche se molti hanno opinioni diverse riguardo alla validità delle meta-analisi. A me non piacciono molto. Penso che tendano ad includere anche studi non buoni, e alcuni dei risultati non sono molto rilevanti. Se introduci dati non ben raccolti nella meta-analisi certamente ciò ha un impatto sulla valutazione del rischio. 
E' un momento importante per la ricerca in epidemiologia ed io stesso mi occupo di epidemiologia. Io penso che un approccio multiplo, che guardi al rapporto tra fattori di rischio e struttura cerebrale sarebbe il più rilevante.
Occuparsi di fattori di rischio, struttura cerebrale e sintomi è importante, ma i sintomi spesso vengono dimenticati. Inoltre vi è stata una tale predominanza di studi di genetica molecolare che non hanno aumentato le nostre conoscenze.
Sembrano esserci così tanti fattori di rischio coinvolti, che sembrano variare tra centri e paesi diversi, che io penso che ognuno di noi faccia del male a se stesso avendo delle così grandi aspettative su particolari fattori di rischio. In grandi linee questo campo di ricerca è molto dinamico, ma devi essere in grado di tollerare le ambiguità, devi essere come un detective se vuoi occuparti di fattori di rischio.

Lei ha parlato di fattori di rischio precoci e tardivi, pensa che sarà facile sbrogliare la matassa riguardo al ruolo di questi ed altri fattori nello sviluppo della malattia?
Penso che uno degli obiettivi principali nei prossimi anni sarà rivalutare il ruolo dei fattori di rischio sociali, che sono stati fuori moda per molti anni; negli ultimi anni alcuni studi se ne sono occupati, anche grazie a Robin Murray ed i suoi studi. L'infanzia sta diventando anche un focus di ricerca importante, grazie al alcuni progetti di ricerca britannici, che hanno dimostrato come l'infanzia sia importante e che non sono solo la gravidanza o il parto che determinano lo sviluppo della schizofrenia.

Cosa pensa della possibilità di avere un modello reale dell'eziologia di questa patologia in un futuro prossimo?
I modelli sono facili da realizzare, sono l'unica cosa che noi ricercatori facciamo. La cosa importante è essere in grado di provarli, non solo crederci.
Nel campo della ricerca sulla schizofrenia, nuove ipotesi venivano spesso prodotte, e non erano mai smentite, diventavano superate e “morivano”. Alcuni credono che se smentisci una teoria è un fallimento ed in realtà io penso che la ricerca scientifica sia fatta di ciò, smentire teorie.
La scienza a volte, dovrebbe fare qualcosa per smentire ciò in cui la comunità scientifica crede. Però sembra che noi ricercatori preferiamo ciò che è invisibile. Se qualcuno dicesse che la lunghezza del mignolo determina il 15% della varianza nella schizofrenia, non piacerebbe a molti, perché è troppo ovvio.

Chiaramente tra tutto ciò spesso si perde contatto con la realtà clinica e con i sintomi e i pazienti, come lei ha evidenziato in una delle sue ultime diapositive.
Si, e penso che l'idea del Prof. Maneros che si debba distinguere tra sindromi diverse è importante, soprattutto per quanto riguarda la specificità dei risultati. Forse se non puoi distinguere un soggetto con schizofrenia da uno con un disturbo bipolare, allora forse non troverai differenze tra fattori causali in quelle due patologie e potrebbe proprio essere così.
Dall'altro lato ciò che mi crea problemi è scoprire così tanti fattori di rischio per la stessa patologia. Non essere così pignoli con la diagnosi è una questione di convenienza, è abbastanza difficile trovare 35 casi che hanno avuto contatto con il virus della rosolia, immaginate avere diversi gruppi: schizofrenia, disturbo schizoaffettivo, disturbi dell'umore e alcuni casi di psicosi atipiche. Lo fai perché ti consente di fare ricerca. 
Non sono a conoscenza di studi su grandi campioni che hanno dimostrato differenze tra sottogruppi diagnostici di pazienti. Si tratta anche di diversi modi di definire le patologie: uno è a seconda dei sintomi, il secondo è a seconda del decorso, il terzo è basato sull'eziologia ed il quarto sul trattamento e la risposta ai farmaci. Nella tradizione psichiatrica però, come sottolineato dal Prof. Marneros, si è soliti fare una classificazione basata sulla presentazione sintomatica.

L'idea della dicotomia tra diagnosi categorica e dimensionale è molto rilevante per la pratica clinica, ma molto difficile da mettere in pratica. 
Si, è un argomento molto importante e la domanda è: Se questi disturbi sono su un continuum, di che continuum parliamo? Se parliamo di sintomi, allora si, sono d'accordo; se parliamo di un continuum eziologico, allora non so, perché non sappiamo quale sia l'eziologia di questi disturbi. Se parliamo di un continuum a livello biologico, neuropsicologico e neurale, allora non sono d'accordo.
In un nostro studio abbiamo dimostrato che vi è una grande differenza tra i figli di donne schizofreniche e donne con i disturbi dell'umore; cioè se studi la performance neurologica durante la loro vita, da prima della nascita fino all'età di 22 anni, questi sono 2 gruppi a rischio completamente diversi. Per quanto riguarda alcuni aspetti, come la performance cognitiva e la anomalie neurologiche, i figli di donne con disturbi dell'umore sono superiori ai controlli, se ciò è vero come possiamo affermare che queste patologie ( schizofrenia e disturbi dell'umore) siano sullo stesso continuum neurobiologico? Sono sicuramente molto diversi. Io penso che sia importante essere consapevoli di ciò di cui si parla per evitare generalizzazioni.

Come si inserisce ciò nel tipo di ricerca che lei porta avanti nel suo dipartimento?
Noi ci occupiamo della maggior parte di ciò, ma non di tutto ciò. Abbiamo svolto molta ricerca sulle complicanze ostetriche. Penso che però la ricerca debba fare progressi, noi abbiamo iniziato ad occuparci di complicanze ostetriche alla fine degli anni 70, quando non era riconosciuto che queste potessero essere fattori di rischio per la schizofrenia. Ciò è stato seguito da studi epidemiologici. Il problema è cercare di progredire riguardo a ciò di cui vi è bisogno e che può essere utile, in un determinato momento. Ad esempio, se vi sono già 21 studi sull'epidemia d'influenza del '57, non abbiamo bisogno del 22esimo, a meno che tu non sappia cosa è sbagliato nei primi 21. All'ultimo meeting sulla schizofrenia al Maudsley Hospital, Londra, qualcuno ha detto che dovremmo tutti smetter di fare ricerca per sei mesi e pensare!

L'ultima domanda che volevo farle riguarda l'Europa e si è parlato oggi di come integrare la ricerca e la pratica clinica in una piattaforma europea. Come pensa che ciò sia realizzabile nel miglior modo, in un futuro prossimo?
In pratica non so quale sia il modo migliore a proposito della ricerca e dei fondi europei, questi sono diventati estremamente burocratici, io non ho molta esperienza a riguardo. Gli studi condotti in più paesi sono molto validi, soprattutto da un punto di vista epidemiologico e dei fattori di rischio che si possono studiare. Praticamente vi sono difficoltà che riguardano la lingua e gli strumenti diagnostici usati, e fare collaborare tanti ricercatori non e' una delle cose più facili.

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