Malattie multiple concomitanti e terapia plurimodale: nuovo pardigma o vecchio modello?

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12 ottobre, 2012 - 12:45

* Traduzione di Paolo Migone

Io ho lavorato psicoanaliticamente con quattro pazienti che presentavano una diagnosi clinica di disturbo affettivo bipolare maniaco-depressivo. Ho lavorato inoltre con parecchi pazienti che hanno riferito di soffrire di almeno due diverse forme di depressione contemporaneamente, e ho analizzato due pazienti bulimici e un paziente anoressico. Sulla base di questa ricerca clinica, che conduco da circa dieci anni, sono arrivato alle seguenti conclusioni: 1) possono esistere, contemporaneamente, più disturbi emotivi e psicologici, e un disturbo può mascherare l'altro se non viene controllato farmacologicamente; 2) in questi casi è indicata una terapia congiunta che combina diverse modalità, cosicché entrambi i disturbi possono essere trattati nello stesso tempo; 3) è venuto il momento per noi di ritornare al vecchio modello di malattia, il che però non costituisce necessariamente un nuovo paradigma.

E' apparsa una vasta letteratura psicoanalitica sull'argomento dei disturbi maniacale e depressivo. I contributi clinici e teorici risalgono a più di settanta anni fa, e, tra gli altri, includono i lavori di Abraham, Freud, Fenichel, Lewin e Jacobson. Vi sono stati comunque altri lavori che hanno fornito dati significativi riguardo ai disturbi affettivi. Gaensbauer, Harmon, Cytryn e McKnew (1983) hanno identificato un gruppo di bambini (dai 12 ai 18 mesi di vita) ad alto rischio, i cui genitori erano maniaco-depressivi; questi bambini mostravano disturbi nella qualità del loro attaccamento e una diminuita capacità di autoregolare l'emotività e l'affettività. Più l'età cresceva, più aumentavano questi disturbi, e a 18 mesi questi bambini mostravano forti distorsioni dello sviluppo. Oltre alle predisposizioni genetiche, questi autori ipotizzano gli effetti dannosi dell'ambiente familiare. Gershon, Dunner e Goodwin (1971), e Winokur, Cadoret, Dorzob et al.(1971) hanno riportato una più alta percentuale di disturbi affettivi nei parenti dei pazienti maniaco-depressivi, se paragonati con la popolazione generale. Nei disturbi maniaco-depressivi è chiaramente evidente una componente genetica, ma non sono stati ancora compresi pienamente gli effetti combinati della predisposizione genetica e dei fattori ambientali per quanto riguarda il quadro clinico che osserviamo negli adulti.

Io propongo che invece di trattare un solo disturbo e quindi privilegiare una unica modalità terapeutica, sia meglio pensare alla esistenza di più disturbi che si presentano simultaneamente,ciascuno dei quali richiede la somministrazione della propria terapia specifica. Queste conclusioni derivano dalle mie osservazioni cliniche su pazienti che ho trattato per un lungo periodo di tempo. I miei pazienti maniaco-depressivi erano donne. Sappiamo che il disturbo unipolare depressivo si presenta nelle donne rispetto agli uomini con un rapporto di 2 a 1, ma che il disturbo unipolare maniacale si presenta con frequenza maggiore negli uomini, e si presenta con un rapporto, rispetto alle donne, di 3 a 2. Inoltre sappiamo che l'incidenza del disturbo maniaco-depressivo è più frequente nelle classi sociali privilegiate. Troviamo che specialmente nell'infanzia, ma anche più avanti nella vita, vi sono determinati eventi che determinano la "uscita" del paziente verso il disturbo maniaco-depressivo.

Nella mia casistica, due delle pazienti avevano perduto uno o entrambi i genitori nell'infanzia o nella prima adolescenza. Questa perdita era dovuta alla loro morte, anche se il divorzio può rappresentare un evento traumatico che determina "l'uscita" del paziente verso la malattia. Ho di fatto osservato l'aumento del desiderio sessuale negli episodi maniacali e la diminuzione di esso in quelli depressivi. I sogni spesso preannunciavano il manifestarsi di uno o dell'altro polo del ciclo maniaco-depressivo, e in parecchie circostanze le pazienti erano capaci di registrare il viraggio del proprio stato affettivo prima che questo diventasse clinicamente conclamato. In un caso, l'Io osservante della paziente le permise di predire il proprio livello ematico di litio che ella in seguito controllò tramite gli esami di laboratorio. L'Io osservante si mantenne abbastanza intatto nonostante le gravi oscillazioni dell'umore. Non posso dire che le oscillazioni delle mie pazienti furono soltanto nella sfera libidica (fase fallica). Ritengo invece di aver avuto la dimostrazione che i disturbi erano nell'area della aggressività e della libido, con regressioni a fasi molto più precoci dello sviluppo: per esempio, aumentata oralità - crescita del peso corporeo, dell'uso di alcool, insonnia o ipersonnia, eccessivo uso di sigarette. Nel corso del trattamento, comunque, una volta che fu possibile instaurare una solida alleanza terapeutica, le pazienti furono capaci di distinguere i problemi psicologici da quelli "biologici". Fu possibile instaurare e identificare il transfert, ottenere insight, gestire le relazioni personali esterne in modo più realistico e distinguere più accuratamente tra passato e presente, transfert, e realtà storica.

Ora è stato meglio studiato il fenomeno della "ciclizzazione rapida", e quindi il problema della possibile inefficacia del litio in questi casi - ma qui ancora l'Io osservante dei pazienti permette loro di anticipare i viraggi affettivi e di essere meno traumatizzati, meno feriti narcisisticamente, meno danneggiati a livello psicosociale. I sogni continuano, e alcuni pazienti sembrano procedere su due binari, quello del processo psicoanalitico e quello della progressione bio-farmacologica.

Le mie pazienti hanno avuto disturbi psicologici che potevano essere diagnosticati come personalità ossessivo-compulsiva, isteria d'angoscia, isteria di conversione, personalità depressiva, in concomitanza al disturbo maniaco-depressivo.

William Osler propose di tentare di far rientrare tutti i sintomi all'interno di un'unica diagnosi e, in una certa misura, noi abbiamo seguito questo principio. Però questo può non essere più valido quando lavoriamo con pazienti di pertinenza medica.

Per esempio, un paziente può avere una miopia, un mal di gola e anche una ernia ombelicale. Non sarebbe corretto prescrivere la penicillina come terapia per l'ernia ombelicale e neppure le lenti di correzione per il mal di gola. In altre parole, il trattamento deve essere rivolto verso la situazione che richiede una terapia, correttiva o riabilitativa che sia. Similmente, io ritengo che sia giunto il momento per noi di incominciare a parlare di terapie specifiche per disturbi specifici, e ciò presuppone un esame più accurato delle nostre premesse sulla psicopatologia e le sue molte e complesse cause. Questo compito può non essere così facile, dato che abbiamo di fronte molte variabili, ma non credo sia impossibile; con l'ausilio delle tecniche più recenti noi potremmo essere capaci di scoprire dimensioni che ci aiuteranno nella nostra ricerca.

Quello di cui abbiamo bisogno è un maggior numero di studi epidemiologici e clinici, di ricerche sullo sviluppo infantile, di dati derivati dal trattamento psicoanalitico - specialmente di pazienti con disturbi affettivi. La terapia psicologica unita alla terapia farmacologica aiuterà non soltanto i nostri pazienti, ma ci permetterà di ottenere dati precedentemente non disponibili. Individuare casi di neonati, bambini e adolescenti dove tali disturbi siano presenti e dove l'osservazione attenta di individui ad alto rischio può permettere la diagnosi di disturbi prima che questi diventino clinicamente conclamati, ci permetterà di intervenire prima che la malattia interferisca seriamente nello sviluppo. La psicoanalisi può e deve essere parte di questo sforzo preventivo, terapeutico e di ricerca.

 

**Relazione presentata all'Incontro autunnale della American Psychoanalytic Association, New York, 17 dicembre 1983. Pubblicata anche in The Annual of Psychoanalysis, 1986, XIV, New York: Int. Univ. Press.

 

Gaensbauer T.J., Harmon R.J., Cytryn L., McKnew D. (1983), Social-affective development in infants of maniac depressive patients. Manoscritto non pubblicato.

Gershon E.S., Dunner D.L., Goodwin F.K. (1971), Toward a biology of affective disorders. Archives of General Psychiatry, 25: 1-15.

Winokur G., Cadoret F., Dorzob J., et al. (1971), Depressive disease: a genetic study. Archives of General Psychiatry24: 135-144.

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