Editoriale
il punto di vista di Psychiatry on line Italia
A.I. .... considerazioni sull'intelligenza artificiale in margine ad un convegno sul tema
"I've seen things you people wouldn't believe. Attack ships on fire off the shoulder of Orion. I watched C-beams glitter in the darkness at Tannhauser Gate. All those moments will be lost in time, like tears in rain. Time to die." ( Roy Batty, BLADE RUNNER, 1982)
Il tema dell'intelligenza artificiale è quanto mai di attualità, mentre scrivo queste note leggo sulla stampa la notizia che proprio a Genova, la mia città, il Dipartimento di Informatica della nostra Università ha messo a punto un sofisticato "bambino di acciaio" chiamato "Babybot" (nella foto a fianco dove si evince che la "macchina" non ha nulla di antropomorfo) in grado di "imitare" le reazioni di un bambino al primo anno di vita.
Controllato da otto sofisticato computer il robot non solo raegisce agli stimoli ma e' in grado di "imparare" e scieglere quale "reazione" giusta avere, è dotato di organi di senso ed è in grado di muoversi e usare la propria mano meccanica.
Le frontiere della ricerca in questo campo si spostano sempre in avanti e una meditazione su questi temi mi pare utile ancorchè non certo definitiva.........
Durante l'ultimo convegno della SOPSI a Roma nella serata del 28 febbraio si è tenuto un "evento speciale" dedicato al tema quanto mai intrigante (non solo per gli psichiatri) dell'Intelligenza Artificiale vista attraverso la rappresentazione che ne ha fatto il Cinema.
Pancheri, Volterra e Rossi hanno commentato immagini tratte da tre film "cult" su questo tema, "2001: A SPACE ODDITY" di Stanley Kubrick (1968), "BLADE RUNNER" di Ridley Scott (1982) e "A.I." di Steven Spielberg (2001), ed io qui vorrei proporre alcune mie riflessioni anche allo scopo di aprire se possibile un dibattito tra i lettori.
Il concetto di A.I. ( Artificial Intelligence) un po' come la F.A.D (Formazione a Distanza) è un ossimoro nella misura in cui contiene al suo interno una contraddizione, a mio modo di vedere, dal momento che, nell'accezione in cui noi uomini intendiamo e "sentiamo" l'intelligenza, non può esistere una "intelligenza" "artificiale": esistono infatti due "intelligenze" una cognitiva ed una affettiva indissolubilmente collegatte tra loro nella mente umana e le "macchine", invece, possono essere dotate di "organi sensoriali" e di strumenti di comunicazione simili ai nostri, sono in grado di elaborare ed immagazzinare dati, "conoscere" ad una velocità spesso molto superiore a quella del cervello umano, mentre possono al massimo "simulare" risposte "affettive" nalla misura in cui tutto discende in loro da matrici e algoritmi alla fin fine basati sulle 4 operazioni fondamentali.
Eppure....
Il sogno postmoderno del "ROBOT SENTIMENTALE" domina la scena nel momento in cui ci troviamo a provare ad immaginare o a rappresentare i futuri sviluppi dell'A.I. come ne sono testimonianza i tre Film presentati a Roma come icastici esempi di proiezione artistica di futuri possibili.
Che caratteristiche ha "l'essere intelligente artificale" che pur con declinazioni diverse, di oscuro pericolo in 2001, in un atmosfera di noir postmoderno in Blade Runner, come rivistazione futuristica della favola di Pinocchio in A. I. , i tre film ci presentano?
Vi è un minimo comun denominatore rappresentato dalla necessità di "rappresentare" menti sintetiche come menti "umanizzate" ovvero in grado di provare anche "sentimenti" quando noi sappiamo molto bene che in realtà la ricerca nel campo della robotica e della intelligenza artificiale punta "necessariamente" a sviluppare progetti "cognitivi", in grado anche di "apprendere", dotati di apparati informatici sempre piu' raffinati miniaturizzati e veloci, ma invariabilmente legati al confronto dei dati; non a caso, infatti, la funzione più difficile da sviluppare è quella visiva per la sua necessità intrinseca di "interpretare e riconoscere" immagini spesso ambigue e i computer di fronte all'ambiguità che è il tratto caratteristico del vivere entrano invariabilmente in crisi non disponendo degli strumenti atti a risolvere in un senso o nell'altro la percezione complessa.
La cosa singolare è che chi si occupa di A.I. , in genere, non avverte questo problema attento ad affrontare i già complessi passaggi della costruzione di macchine intelligenti mentre l'artista, che sa cogliere il "sentire", ci da una rappresentazione del Robot più vicina alla nostra percezione dell'intelligenza umanamente intesa fatta cioè di un coacervo inscindibile di cognizioni (proprie "anche" della macchina), emozioni e ambiguità ( proprie nel bene e nel male del nostro essere "vivi") per soddisfare in qualche maniera forse un nostro bisogno o per sedare forse qualche nostra paura nei confronti dello sviluppo tecnologico che "disumanizzato" probabilmente elicita fantasmi apocalittici di fronte a noi, in una società in cui sempre di più ci si affida "alle macchine" per la gestione di molti (troppi?) aspetti del nostro quotidiano, in una società "messa totalmente in rete" dove non a caso la "rete di persone" che stanno dietro ai terminali e agli schermi si integra con i robots che gestiscono il traffico e la ricerca delle informazioni in una logica, quella sì, che mi fa paragonare INTERNET veramente ad un vero cervello pulsante fatto appunto di "dati" e "sentimenti non sintetici".
Che troviamo infatti nei film che abbiamo preso in considerazione e forse in questo sta la loro romantica bellezza il loro straordinario ancorchè irreale fascino ( ma forse chiediano al Cinema soltanto "realtà" o forse qualche volta gli chiediamo di farci sognare?)?
Ciò che accomuna HAL 9000 il perfido calcolatore assassino di 2001, Roy Batty il replicante di Blade Runner e David il robot bambino di A.I. è la nostalgia e la memoria non una memoria fatta di "dati" ma una memoria fatta di ricordi affettivamente significativi in questo proponendosi non come "macchine" ma come "esseri" nell'accezione che lo spettatore ha immanentemente in sè, ed ecco allora che HAL mentre regredisce sotto i "colpi" dell'astronauta ha "paura" e "ricorda" la sua "infanzia" nel laboratorio dove è stato costruito, Roy, prima di morire allo scadere tragico dei suoi 4 anni di vita, ricorda a Dekart il cacciatore di andriodi ma soprattutto a sè stesso ciò che i suoi occhi hanno visto nella sua breve vita di sintesi, David attraverso l'imago materna che ha interiorizzato e portato con sè nei secoli riesce finalmente a ricongiungersi con la mamma perduta e a "morire" accanto a lei ricreata dagli alieni sulla base dei suoi ricordi, finalmente trasformato, come Pinocchio, in un vero essere umano, a differenza di NDR 114, il robot tuttofare del racconto di ASIMOV , "L'uomo bicentenario", che, dolorosamente, comprende di "non poter morire" ed in questo di non essere "umano".
Ernest Jones nel terzo volume della "VITA E OPERE DI FREUD" ( Il Saggiatore, Milano 1962, pag.184) riporta una confidenza fatta personalmente da Freud a Federn dopo la morte dell'anziana madre il 12 settembre del 1930: "Questo grande avvenimento mi ha colpito in modo strano: niente sofferenze, niente dolore, cosa che si spiega forse con le circostanze, l'età e la cessazione della pena che provavamo per le sue condizioni disperate. Con questo, un senso di liberazione, di sollievo, che credo di poter capire. Non mi era permesso di morire finchè viveva lei, ora invece posso farlo........"
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