Jacques Lacan, Altri Scritti, trad.it. a cura di A. Di Ciaccia - 2

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10 ottobre, 2013 - 10:23
Autore: Jacques Lacan
Editore: Einaudi
Anno: 2013
Pagine: 615
Costo:

IL DISCORSO NEGLI “ALTRI SCRITTI”

  1. Dal testo alla lettura

Vi sono tracce dell’aleatorio in ogni essere umano. Certi contatti, taluni incontri, un amore, determinate amicizie riescono talvolta a cambiare un’esistenza. E’ proprio sulla base di tale constatazione che raccolgo l’invito di Mario Galzigna ad andare al lavoro circa la recensione di un’opera incommensurabile quale è, a mio avviso, la pubblicazione in italiano degli Altri scritti. Una siffatta recensione si colloca, dunque, lungi dal pretendersi esaustiva. La lettura di questa pietra miliare della psicoanalisi , così importante e complessa, risulta sempre mediata da chi ci ha introdotto ad essa e verso i quali rimane della gratitudine.
Chi è stato, ed è tuttora, Jacques Lacan per l’esistenza del sottoscritto ? Lacan non è stato, ovviamente per la mia età, né il mio analista né il mio supervisore; non l’ho neppure mai visto “live”. Non sono fra coloro che hanno conosciuto la psicoanalisi a partire dall’opera di Lacan. Il mio interesse per questo campo sorse, invece, nell’incontro con il testo del padre della psicoanalisi, filtrato dal commento freudo-marxiano di alcuni autori della Scuola di Francoforte. Intorno alla metà degli anni Ottanta, per un figlio di operai appena approdato in un Liceo Scientifico della provincia lombarda, questo fu già un periodo appassionante.
L’interesse per il testo di Freud si articolava, però, con l’emergere di una certa sofferenza nel corpo e nella psiche. Questo mi portò ad interrogarmi sul mio inconscio e così, giovane studente di Psicologia, in un modo appunto aleatorio, mi imbattei in alcuni clinici che descrivevano la psicoanalisi attraverso la lettura rigorosa di Freud compiuta da Jacques Lacan. Fra questi, Carlo Viganò, uno psichiatra analizzante di Lacan, operava nella mia città e vi teneva dei Seminari aperti al pubblico. Egli fu il mio primo supervisore e con lui condivisi, per una decina di anni, dal 1997 in poi, il mio studio dove via via la mia pratica come analista cresceva. Tutta la mia formazione avvenne all’insegna dell’opera di Lacan, soprattutto con Massimo Recalcati ed Antonio Di Ciaccia. Quest’ultimo ha appena dato alle stampe la sua ottima traduzione degli Altri scritti.
Quello che scoprii nell’enorme opera di Lacan fu la possibilità di mettere in forma logica quanto Freud aveva descritto talora in modo mitico e, soprattutto, quanto una lettura si differenzi dallo sfogliare meramente delle pagine: leggere implica aprire mondi nuovi, schiudere campi inediti per la ricerca ed il sapere. Lacan si approcciava a Freud in tedesco, trattandolo in fondo come un soggetto dell’inconscio, come un soggetto da intepretare, ed estraeva dai suoi lavori dei concetti mai colti prima che sono divenuti strumenti preziosissimi innanzitutto nella pratica della psicoanalisi.
Mi dedicai, dunque, ad una lettura puntigliosa dei Seminari e di numerosi scritti di Lacan, costellando i miei libri di annotazioni, sottolineature, rimandi e riferimenti basati anche sulle chiarificazioni di cui si tratta di ringraziare J.A. Miller che ha reso capibile e fruibile Lacan. Questo lavoro mi ha coinvolto, mi ha entusiasmato ed, in effetti, nel 2001, quando egli pubblicò gli Autres écrits, in occasione del centenario della nascita di Lacan, avevo praticamente già letto più volte quasi tutti i saggi e le comunicazioni raccolte nel volume in questione. In effetti , passo per uno che Lacan l’ha letto abbastanza e, soprattutto, che l’ha capito. Tuttavia, rileggere Lacan non ci annoia né ci tedia mai; ci porta ogni volta a rilevare qualcosa di nuovo, a sorprenderci dell’ottusità che ci ha colti nel non poter apprendere punti e passaggi che trovavamo oscuri, che ci sembravano scritti in una lingua ostrogota e che ora si dipanano tanto nella loro semplicità quanto nella loro ricchezza volta comunque alla conduzione delle cure.
 
 

  1. L’insegnamento di Lacan

Lacan non scrisse nessun libro. Il suo ormai leggendario insegnamento, decisivo per molte generazioni di analisti e di clinici, è avvenuto soprattutto in forma orale, attraverso i Seminari, che ha tenuto annualmente a Parigi fin dall’inizio degli anni Cinquanta, e gli interventi a svariati Congressi. Sia gli Scritti che questi ulteriori Altri scritti costituiscono delle raccolte, ragionate, di tutta una serie di contributi da lui portati al campo freudiano nel fecondo confronto con varie branche del sapere: filosofia, antropologia, linguistica, matematica.
Miller ci ha permesso di visualizzare bene le varie fasi dell’insegnamento di Lacan, in una prospettiva aporetica, quella di un Lacan contro Lacan; egli operava una ricerca teorica nella logica del work in progress, contraddicendosi sovente, non soltanto da un anno all’altro ma persino in testi coevi e, addirittura, nella stessa pagina.
Nella prima fase dell’insegnamento lacaniano, giunta sino all’inizio degli anni Cinquanta, viene posta in risalto la divisione fra l’io narcisistico, situabile a livello dello stadio dello specchio, ed il soggetto dell’inconscio. Viene distinto l’io immaginario, inerente l’immagine speculare, dal soggetto inconscio che ha come riferimento l’Altro simbolico, l’Altro del linguaggio in quanto l’inconscio è strutturato come un linguaggio. L’analisi punta a ridurre l’io narcisistico portando il soggetto maggiormente in relazione con l’Altro dell’inconscio in cui può rintracciare la sua verità. In questi termini l’analisi è un procedimento dialettico imperniato sull’aprire nuovi sviluppi della verità inconscia ed, in effetti, il principale riferimento teorico di Lacan in quel periodo è Hegel, filtrato da Kojève di cui Lacan, come molti intellettuali francesi, ebbe modo di seguire i Seminari centrati sulla dialettica del desiderio inteso come desiderio del desiderio dell’Altro e sulla dialettica servo-padrone in cui il servo veniva raffigurato dall’icona del lavoratore[1].
In un successivo periodo, nella seconda metà degli anni Cinquanta, Lacan si dedica a mettere in forma logica il concetto dell’inconscio strutturato come un linguaggio. Iscrive la psicoanalisi nel campo dello strutturalismo secondo cui la cultura, con le sue organizzazioni (autorità, istituzioni, eredità, successione, simbolo), ha definitivamente preso il posto della natura animale. Le leggi dell’inconscio sono proprio le leggi del linguaggio: dunque condensazione e spostamento, regole del lavoro onirico descritte nell’Interpretazione dei sogni, vengono rilette, con il linguista Jakobson, come metafora e metonimia. Il desiderio è la metonimia della mancanza-a-essere: non c’è un elemento che definisca l’essere del soggetto ed il desiderio punta proprio a recuperare altrove l’essere da sempre perduto. Gli studi del ginevrino De Saussurre offrono a Lacan il concetto di significante che gli permette di leggere l’Edipo, al di là della tragedia di Sofocle, come metafora paterna in cui il significante padre si sostituisce alla madre originando, quale risultato di tale operazione, il fallo come significato. Il funzionamento del significante del Nome-del-Padre implica che il soggetto con struttura clinica nevrotica possa rispondere alla questione “Cosa vuole mia madre ?”, variante del “Cosa vuole una donna ?” che ha interrogato Freud per tutta la vita. La risposta si baserà sull’articolazione del Desiderio della Madre con il fallo paterno; ad esempio, intenderà che la madre voglia ricevere il fallo dal padre sotto forma di bambini. Nella psicosi, rimarrà un enigma circa l’oggetto del desiderio materno per l’inesistenza di un significante speciale, il significante essere padre, il significante del Nome-del-Padre.  Per questo alcuni si possono scompensare, dopo stagioni anche ampie di pre-psicosi, nel momento in cui nella coppia che li stabilizza arrivano dei figli. In questo momento della teoria lacaniana l’analista costituisce un sostituto metaforico del padre ed il transfert, l’amore di transfert, si caratterizza come sempre paterno.
In un terzo periodo, situabile grosso modo nei primi anni Sessanta, il problema che si pone Lacan è quello del resto dell’operazione linguistica. Non tutto l’affetto è simbolizzato dal campo della parola e dalla funzione del linguaggio, non tutta la pulsione viene sublimata dall’ordine simbolico. Soprattutto a livello corporeo, ristagna qualcosa che residua e questo qualcosa è l’oggetto pulsionale sul quale Lacan impernia la sua teoria dell’angoscia. Vi è una reazione à la Kierkegaard dinanzi ad Hegel: il sapere assoluto del maitre non è in grado di trattare l’angoscia del soggetto, quel particolare che smentisce l’universale assoluto. Le tappe della dialettica lasciano invariata una quota parte della pulsione che si localizza, innanzitutto, in prossimità degli orifizi corporei. Lacan aggiunge ai tre livelli freudiani (orale, anale, fallico) lo sguardo e la voce quali oggetti pulsionali che ha trovato a partire dalla sua pratica con le psicosi ma che vanno rintracciati ben oltre il campo delle psicosi stesse data la loro rilevanza nell’essere umano in genere[2]. La spinta del Trieb, da differenziare comunque radicalmente dall’istinto animale in quanto comunque inserita in un circuito culturale, fa il giro intorno alle varie forme dell’oggetto pulsionale che Lacan ha chiamato oggetto (a). In questi termini la funzione del significante e la logica dell’oggetto (a) sono piuttosto nettamente distinte. L’analista ora diviene un sembiante dell’oggetto pulsionale e deve rispondere, alla domanda del paziente, in termini di pulsione; ad esempio, la fondamentale operazione dell’interpretazione mira all’insensatezza pulsionale.
Siamo giunti, con questa rapida carrellata, all’incirca alla data della pubblicazione degli Scritti, avvenuta nel 1966, il cui ultimo testo risale al dicembre 1965. E’ questo il Lacan forse più noto, quello che assegna la priorità al linguaggio, al significante ed al Padre in quanto significante; quello che disgiunge l’oggetto pulsionale dal campo del linguaggio.
 

  1. Gli “Altri scritti”: dalla causa del desiderio alla mancanza-a-godere

Ho descritto succintamente i primi momenti dell’insegnamento di Lacan scegliendo alcuni dei suoi numerosi schemi in quanto esplicativi di un itinerario. Con i suoi schemi e con i matemi, Lacan punta a rendere trasmissibile in modo integrale la psicoanalisi in un modo accostabile a quanto compiuto da Bion. Gli schemi mettono in luce delle tematiche cruciali e risultano di facile lettura non appena si colga, ad esempio, come tutto ciò che vi viene posizionato a destra indichi l’Altro e come tutto ciò che vi si trova scritto a sinistra rappresenti il soggetto. In Lacan, inoltre, tutto ciò che viene scritto con la lettera iniziale maiuscola si situa nell’ordine simbolico a differenza di quanto sta scritto con la lettera minuscola.
Gli Altri scritti raccolgono testi del giovane Lacan, come I complessi familiari del 1938 ma sono soprattutto una raccolta di saggi successivi alla pubblicazione degli Scritti; essa include soltanto molto marginalmente l’ultimissimo insegnamento lacaniano, quello in cui trova grande spazio la topologia dei nodi a partire dal celebre nodo borromeo. Gli Altri scritti sono ricchi di matemi ma non presentano schemi. Non vi si trova neppure uno schema. Questo Lacan si distingue da quello che sistematizza la psicoanalisi in una perfetta architettura teorica. Questo è il Lacan dei resti, dei residui, dei pezzi staccati, di alcuni scarti del suo insegnamento. Brevi articoli, prefazioni, documenti essenziali si affiancano ad alcune opere più ampie come Radiofonia e Televisione.  Non è il Lacan del significante, questo. Non è il Lacan del Nome-del-Padre. E’ il Lacan dell’oggetto (a). Come scrive Miller, nel Prologo, l’oggetto (a) è la prima lettera degli Altri scritti. Ecco quella che è, forse, la più importante invenzione di Lacan: aver colto il ruolo strutturale dell’oggetto pulsionale.
L’elemento a mio avviso cruciale è, però, una versione nuova dell’oggetto (a), distinta in parte dall’oggetto ubicato a livello degli orifizi corporei. Si tratta dell’oggetto sempre mancante, causa del desiderio, che si smarrisce negli interstizi, negli anfratti, nei piccoli resti. Si tratta anche dell’oggetto plus-godere, dell’oggetto sembiante del godimento, di un godimento mai pienamente raggiunto. In quegli anni, dopo il Maggio del 1968, il principale interlocutore è infatti Marx, sia pur letto dalla prospettiva moderata di Lacan, in un accostamento fra il plus-valore del Capitale ed il plus-godere. Tanto l’economia libidica quanto l’economia commerciale producono in modo estensivo la mancanza-a-godere. La spinta a rintracciare questo godimento diviene insaziabile e gli essere umani rimangono assetati dalla mancanza-a-godere. In quanto si possono recuperare solamente delle fettine di godimento[3]. Dalla mancanza-a-essere del Lacan degli anni Cinquanta passiamo alla mancanza-a-godere degli Altri scritti. Quello di jouissance è un concetto che si intravede lontanamente, come scrive Miller, e davvero centrale nell’ultimo insegnamento di Lacan per la distinzione da lui colta fra il godimento maschile, del tutto fallico, e quello femminile, non-tutto fallico.
Qual è, dunque, almeno a mio parere, l’elemento cruciale degli Altri scritti ? E’ il concetto di discorso, proposto nel periodo di maggior dialogo con le organizzazioni marxiane, in una evidente dialettica con le ricerche di Foucault, e qui ripreso massimamente in Radiofonia. I quattro discorsi (del maitre, dell’Università, dell’isterica e dell’analista) costituiscono i modi con cui il soggetto si articola al corpo sociale facendo legame con gli altri. Il soggetto può cambiare discorso, cambiando posizione nell’esistenza come nell’esperienza analitica. Con la teoria dei discorsi si riduce la distinzione fra significante ed oggetto (a) in quanto il discorso li accoglie entrambi. Con la nozione di discorso, il significante entra in una stretta relazione con il godimento. Nella teoria dei discorsi non vi è una disgiunzione totale fra il significante e l’oggetto (a) ma piuttosto un collegamento fra la catena significante (S1 – S2) e l’oggetto pulsionale oltre che il soggetto. 
Cosa viene a prendere un posto decisivo nell’ultimo Lacan, con un certo declino del Nome-del-Padre? Proprio il discorso in quanto forma del legame sociale. Un soggetto sano è un soggetto inserito in un legame sociale mentre colui che viene diagnosticato come schizofrenico non si iscrive in nessun discorso, in nessun legame sociale. 
Il linguaggio, la ripetizione linguistica è ripetizione di godimento. Il sapere, il sapere-potere, il sapere come modo di strutturazione del potere, correlato al significante, è un mezzo di godimento. L’analista opera, dunque, dei tagli per ridurre il godimento del linguaggio ed il godimento del sapere. Per questo, in un’analisi lacaniana, le sedute, comunque di tempo variabile in base alla logicità e non cronologicità dell’inconscio, sono tendenzialmente brevi. La seduta breve è finalizzata ad incidere sul linguaggio, ad eroderne il godimento. 
 
 



[1] Si legga il capitolo “Introduzione dell’Altro” in J. Lacan, Il Seminario. Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Einaudi, Torino, 1991. Riassuntivo risulta in particolar modo lo schema L (schema Lacan) di p. 309. 
[2] Schematizza tali passaggi la traiettoria delle forme dell’oggetto ai suoi diversi stadi che si trova in J. Lacan, Il Seminario. Libro X. L’angoscia, Einaudi, Torino, 2007,  p. 321.
[3] Per una trattazione più ampia di queste tematiche, mi riferisco al 5° paradigma del godimento secondo Lacan, quello sul godimento discorsivo in  J. A. Miller, I sei paradigmi del godimento, Astrolabio, Roma, 2001, pp. 24-33.
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