Mente ad arte
Percorsi artistici di psicopatologia, nel cinema ed oltre
di Matteo Balestrieri

Hungry Hearts, una storia di Anoressia per procura

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8 settembre, 2015 - 17:52
di Matteo Balestrieri

  Il cuore affamato cui fa riferimento il titolo del film del 2014 di Saverio Costanzo è innanzitutto quello di una madre italiana, Mina (Alba Rorhwacher), che si trova sul gobbo un figlio non voluto a causa dell’incauto comportamento copulatorio del partner e che poi però si avvinghia attorno al prodotto del proprio concepimento fino a volerlo soffocare. E i cuori affamati sono anche quelli del partner americano, Jude (Adam Driver) che riparatoriamente la sposa, e della di lui madre che si sacrifica per salvare il nipote.

  Durante la gravidanza Mina consulta una veggente, che le predice che preservandolo da ogni impurità, il figlio diventerà speciale (un bambino “indaco”). Il film in effetti è tratto dal romanzoIl bambino indaco” di Marco Franzoso. Evidentemente predisposta a comportamenti radicali e fondamentalmente anaffettiva (ha d’altra parte perso la madre in età precocissima), Mina nutre il bimbo con legumi, avocado e semi di lino, non acconsentendo a portare il figlio fuori di casa e non permettendo ad alcuno proveniente da fuori casa (marito incluso) di avvicinarsi al figlio se non dopo essersi accuratamente lavato. Mina conduce una vita da reclusa, con un comportamento che diventa progressivamente paranoico. Jude è molto preoccupato e, dopo avere discusso a lungo con Mina, inizia ad introdurre segretamente nella dieta del bimbo omogeneizzati di carne. Quando Mina se ne accorge, a sua volta di nascosto fa bere al figlio un olio che impedisce l’assorbimento del cibo “cattivo”. Jude ha portato nel frattempo furtivamente il figlio dal pediatra, che gli conferma che è sottopeso e sta correndo dei rischi per la sua crescita. Inoltre, ormai esasperato, Jude si rivolge ai servizi sociali, per sottrarre il figlio alla madre. I servizi adottano, dopo scarsa resistenza, la sua linea e permettono che Jude trafughi il figlio per portalo a casa della propria madre, nonna del piccolo. A Mina sarà permesso di vederlo ogni tanto nella casa della suocera. Tuttavia Mina riesce a riavere con un pretesto il figlio, che a quel punto è sottratto al controllo del padre. La conclusione è tragica e inaspettata, con il coinvolgimento in modo diretto della madre di Jude, disposta a tutto pur di riavere il nipote.


  Di cosa sono affamati i cuori dei protagonisti, ed in particolare quello di Mina? Di affetto, quello che a Mina è mancato e che possessivamente riversa sul figlio. Ad una incapacità di capire i reali bisogni del bimbo, chiusa in un mondo paranoico, si accompagna un odio verso il bimbo stesso e verso il marito, che le hanno sottratto la possibilità di una realizzazione professionale verso cui tutto aveva puntato. Il cuore affamato di Mina è anche quello che, in modo delirante e quindi internamente non contraddittorio, idealizza un bambino non bisognoso di alimenti ma purtuttavia perfetto (“indaco”). Amore narcisistico e odio oggettuale si intrecciano in modo inestricabile in quella che è una storia di “anoressia per procura” in precocissima età.

  Degno di nota per il professionista psichiatra è anche il comportamento assurdo dei servizi pubblici, da quelli sociali alla polizia, e si capisce che non siamo in Italia, ma in America. Quando mai sarebbe possibile (almeno è quello che spero!) che un servizio sociale italiano dia via libera al sequestro di un bimbo ad una madre, senza averla nemmeno vista e consultata una volta? E che dire della polizia che sulla base di una asserita aggressione da parte della stessa madre, irrompe in casa della nonna e le strappa via il bimbo per riassegnarlo nuovamente alla madre? Io immagino che tutto questo sia servito ad aumentare il pathos del film, ma appare ai nostri occhi poco credibile, contrariamente invece alla piena plausibilità del comportamento dei singoli protagonisti, anch’essi portati ad agire e non mai a dialogare, ma comunque all’interno di una storia di quasi ordinaria psicopatologia.

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