Mente ad arte
Percorsi artistici di psicopatologia, nel cinema ed oltre
di Matteo Balestrieri

OSCAR 2016: Inside out, un viaggio dysneyano nel mondo interiore

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19 ottobre, 2015 - 16:43
di Matteo Balestrieri
 

Inside out (2015) è un film d’animazione della Pixar, distribuito dalla Disney, ricco di spunti per una riflessione sui meccanismi della mente umana. Poiché è un film “per grandi e piccini”, ha ovviamente la possibilità di essere letto a diversi gradi di complessità. La percezione più semplice è quella di una fiaba a più livelli, in cui ci sono i buoni e i cattivi ed il finale del tipo “happy end”. Anche questa lettura impone comunque una riflessione minimale su cosa ci sia dentro i fatti e i comportamenti. Credo che anche per i più piccoli questa riflessione possa risultare estremamente fruttifera per lo sviluppo di una curiosità e di un iniziale ragionamento.
 
  La lettura più complessa, d’altra parte, ci mette a confronto con il funzionamento delle emozioni e delle funzioni cognitive. Le emozioni di una piccola bambina dodicenne alle prese con la sua famiglia e il mondo circostante sono reificate in personaggi dotati ognuno di una personalità. L’emozione prevalente è la Gioia, che presiede a tutte le altre, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia. Tutte insieme governano il comportamento di Riley attraverso i comandi di una consolle. A loro volta le emozioni del padre e della madre governano i loro rispettivi comportamenti. A tal proposito è gustosa la scena dove vediamo che in realtà tutte le emozioni del padre sono collegate ad interessi calcistici e l’unica risposta possibile di fronte ai “capricci” di Riley è quella del “Pugno duro”.
 
  Gli esiti dei comportamenti di Riley vengono registrati come memorie, che possono essere immagazzinate come ricordi gioiosi, tristi o collegati ad altre emozioni. Interessante è il labirinto dove i ricordi a lungo termine vengono stoccati, e poi (quasi a casaccio) progressivamente eliminati, gioiosi o tristi che fossero.
 
  Esistono poi i cinque ricordi fondamentali della vita di Riley e le Isole della Personalità ad essi collegate (la famiglia, le amicizie, l’hockey, la “stupidera”, l’onestà), che sono i punti di riferimento della vita interna di Riley. I cinque ricordi fondamentali sono essenzialmente di tipo gioioso, ma possono venire contaminati dalla Tristezza, e possono, se le circostanze della vita sono negative, anche passare nell’oblio.

 

  Questo l’assetto fondamentale dell’universo interno di Riley proposto dal film, reso più complesso poi dalle avventure di Gioia e Tristezza, che si devono inoltrare nel labirinto del cervello dove vengono immagazzinati tutti i ricordi a lungo termine di Riley, devono poi combattere per non precipitare nel burrone dove tali ricordi vengono regolarmente scaricati per sempre, devono entrare nel subconscio di Riley e devono infine interferire con la troupe cinematografica che si occupa di mettere in produzione i suoi sogni al solo scopo di ottenere un effetto soporifero, in accordo con la teoria freudiana del “sogno come guardiano del sonno”.


 

  Il film propone diversi spunti di riflessione sulla genesi delle emozioni e della memoria. La scelta di campo è quella di mettere in primo piano le emozioni, che sono dotate di vita propria e indipendente, e di dare alla Gioia il ruolo di emozione guida. Si tratta di un film della Disney e questa scelta era inevitabile. Gli Autori tuttavia trattano questo tema con sufficiente autocritica quando vediamo che Tristezza “inconsciamente” inizia a contaminare i ricordi gioiosi, spinta da motivazioni di cui non sa darsi ragione, quasi fossero proprie pulsioni psichiche che non riesce a controllare.
 
  La cognitività è invece rappresentata dalla sola memoria ed è espressa fisicamente da grosse biglie ognuna della quali è un determinato ricordo. L’altra cognitività, intesa come capacità di pensiero, attenzione, capacità di giudizio, ecc., risiede invece tutta nella capacità di ragionamento delle emozioni stesse, che maturano strada facendo le loro abilità di lettura del mondo. In altri termini la cognitività è al servizio dei sentimenti, mentre non è vero il contrario.
 
  In estrema sintesi, il film ci propone un percorso evolutivo della vita interiore di Riley che definisce come primigenia la condizione di vita gioiosa e solo successivamente dà spazio alle altre emozioni. E’ una visione assolutamente disneyana e non corrisponde affatto a tutto quello che sappiamo dalla psicoanalisi sull’universo interno del bambino, che affronta sin da subito non solo momenti di gioia, ma anche sofferenza ed ostacoli, cercando di risolvere i conflitti per attenuare la sofferenza.
 
  La vita della dodicenne Riley è in effetti felice finchè la famiglia non si trova davanti ad alcune importanti difficoltà. A questo punto la Gioia deve imparare a farsi da parte e accettare di farsi contaminare dalla Tristezza. Il finale del film ci rivela infatti che non è possibile una maturazione se non attraverso il contributo paritario di tutte le emozioni, conquista che avviene attraverso l’esperienza della sofferenza e la possibilità di esprimere pienamente il dolore. In altri termini, la maturazione avviene solo prendendo contatto con tutte le parti del sé, abbandonando il falso mito di un’età infantile in cui tutto è gioioso e i genitori sono perfetti.
 
  Il finale è in questo molto reale e veritiero e permette al film di raggiungere quella maturità di prodotto che lo distingue da altre produzioni dysneyane nelle quali esiste solo “la felicità ad ogni costo”.

 

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