L’Uomo dei topi preso per la coda

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1 marzo, 2016 - 09:32
Abstract
 
The Rat Man caught by the tail, or the side of the ghost, paraphrasing a famous expression reported to the desire. From the heart of the famous Freudian case history, the phantasmic tale that sets the tone for the neurotic unleashing, the story of the rat torture, we briefly review the main and original works of Lacan on the subject, scattered among the writings, seminars and a conference, The neurotic’s individual myth, entirely devoted to this interesting and tangled case of obsessional neurosis.
 
L’Uomo dei topi preso per la coda, ovvero dalla parte del fantasma, parafrasando una nota espressione riferita al desiderio. Partendo dal cuore del celebre caso clinico freudiano, il racconto fantasmatico del supplizio dei topi che dà il la allo scatenamento nevrotico, vengono passati brevemente in rassegna i principali e originali riferimenti di Lacan sull’argomento, disseminati tra scritti, seminari e una conferenza, Il mito individuale del nevrotico, interamente dedicata a questo interessante e ingarbugliato caso di nevrosi ossessiva.
 
 
Perché ci interessa rileggere l’Uomo dei topi? Intanto perché è uno dei cinque più celebri casi clinici freudiani, sei se includiamo La giovane omosessuale. Uno di quei casi che sono analisi lasciate per strada, brandelli di analisi[i], rappresentando proprio per questo temi di lavoro sui quali ritornare regolarmente. E poi perché Lacan, nel suo Seminario V, quello sulle formazioni dell’inconscio, il seminario che insegna cose magistrali sulle nevrosi, lo stesso in cui viene presentata una prima bozza del grafo del desiderio, consiglia di ripassare l’Uomo dei topi come se si trattasse della Bibbia, poiché considera questo caso ricco di tutto ciò che c’è ancora da dire sulla nevrosi ossessiva[ii], territorio paludoso, intricato, difficilissimo da esplorare, molto più dell’isteria, come Freud stesso ha sottolineato in più di una occasione. E questo malgrado essa non sia altro che un dialetto del linguaggio isterico, un dialetto oltretutto più affine al nostro linguaggio cosciente che non il linguaggio isterico.
Si può immaginare, ancora, che questo caso clinico rivesta un’importanza speciale perché, dall’Uomo dei topi in poi, la tecnica psicoanalitica si assesterà sull’utilizzo delle associazioni libere, al punto che Lacan, nel proporre una matematizzazione originale del percorso analitico, eleverà a paradigma chiarificatore di tale percorso proprio il caso in questione[iii].
Le Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva, titolo ufficiale dello scritto consegnato quasi subito alla storia della letteratura psicoanalitica come L’uomo dei topi, furono pubblicate nel 1909. Freud ne aveva tuttavia già parlato piuttosto diffusamente in almeno due altre occasioni: durante gli incontri della Società psicoanalitica di Vienna, i famosi incontri del mercoledì, nel 1907, e durante il primo Congresso internazionale di Psicoanalisi, che si tenne nel 1908 a Salisburgo. Questo è l’unico caso clinico del quale possediamo, tra l’altro, gli appunti completi presi da Freud dopo ciascuna seduta, dai quali si apprendono particolari importanti, necessariamente taciuti nella versione destinata alla pubblicazione. Appunti ritrovati subito dopo la morte di Freud, e che Lacan conosceva bene.
Nella Premessa al caso, Freud assicura che il trattamento, protrattosi per circa un anno, ha condotto alla restaurazione piena della personalità del paziente e alla scomparsa delle sue inibizioni[iv], affermazione con la quale evidentemente Lacan si trova in disaccordo: “Non che io consideri l’uomo dei topi” scrive “come un caso che Freud abbia guarito, perché se aggiungessi che non credo che l’analisi sia del tutto estranea alla conclusione tragica della sua storia con la morte sul campo di battaglia, cosa non darei da honnir a qui mal y pense?”.[v] Il riferimento è alla morte prematura dell’uomo durante la Prima Guerra mondiale, svelata in quella “nota in guisa di epitaffio che nel 1923 Freud dedica a questo giovane, che nei rischi della guerra ha trovato < la fine di tanti giovani di valore sui quali si potevano fondare tante speranze >, concludendo il caso con il rigore del destino” e innalzandolo “alla bellezza della tragedia”.[vi]
Conosciamo il caso, sappiamo che questo giovane uomo di circa trent’anni, Ernst Lanzer, consulta Freud dopo aver sperimentato l’inefficacia di altri trattamenti perché soffre, fin dall’infanzia, di rappresentazioni ossessive, diventate insostenibili in quegli ultimi anni. “Il contenuto essenziale del male” scrive Freud “consiste in timori che qualcosa possa accadere a due persone che gli sono molto care, il padre e una signora di cui è ammiratore. Inoltre il paziente avverte impulsi ossessivi, come ad esempio quello di tagliarsi la gola con un rasoio, e si fabbrica dei divieti che si riferiscono anche a cose insignificanti”.[vii] Sappiamo anche che questo caso clinico prende il titolo con il quale è noto da “un fantasma pieno di fascino che ha […] un’evidente funzione di scatenamento. Si tratta del racconto di un supplizio […] che consiste nell’infilare un topo, eccitato artificialmente, nel retto di un suppliziato, per mezzo di un dispositivo più o meno ingegnoso. Il sentire per la prima volta tale racconto” scrive Lacan “provoca nel soggetto uno stato di orrore incantato, che certo non scatena la nevrosi, ma ne attualizza le tematiche e suscita l’angoscia”.[viii] Ed è già nella seconda seduta che l’Uomo dei topi racconta l’esperienza che fa da sfondo al suo grande timore ossessivo, i cui particolari, labirintici ed estenuanti, Freud impiegò tempo e fatica per afferrare completamente nel corso delle sedute che seguirono.
Ridotto all’osso, il celebre scenario sul quale viene a innestarsi l’ossessione dei topi, e sul quale Lacan concentrerà particolarmente la propria attenzione, è il seguente.
Durante il suo periodo da militare, mentre sono in atto le manovre in Galizia, il paziente perde il pince-nez e, piuttosto che impiegare tempo a cercarlo, preferisce telegrafare al suo ottico di Vienna per farsene spedire un altro. Durante questo stesso intervallo temporale, gli capita di sedere tra due ufficiali, uno dei quali, che amava evidentemente la crudeltà[ix], inizia il famoso racconto del supplizio dei topi.
Siamo al corrente delle reticenze del paziente nel raccontare di questa orribile punizione applicata in Oriente. Sappiamo che si interrompe più volte, che prega Freud di risparmiargli il racconto dei particolari. Conosciamo anche, e ci sembra quasi di vederla, testimonianza di una nota e straordinaria abilità narrativa, quella espressione singolarmente composita che si osserva sul suo volto quando si decide finalmente a parlare, e che ci viene presentata come orrore di un proprio piacere a lui stesso ignoto[x]. Ne Il simbolico, l’immaginario e il reale (1953), Lacan dirà che tutto questo non rappresenta altro che un tentativo del soggetto di realizzare nell’hic et nunc del rapporto con Freud quella relazione sadico-anale immaginaria che è il sale della storia, intento tradito proprio da tale singolare fisionomia.
Durante il racconto del capitano crudele, nel paziente si insinua l’idea assurda che la punizione dei topi possa essere inflitta alle due persone che più ama al mondo: la signora che corteggia e, sorprendentemente, il padre, benché questi sia morto da tempo. Il giorno seguente, mentre lo stesso capitano gli consegna il pince-nez arrivato per posta, aggiungendo che è stato il tenente A. ad anticiparne il pagamento, si fa strada in lui la sanzione che gli ordina di non restituire il denaro al tenente A., pena l’avverarsi della punizione dei topi per la signora dei suoi pensieri e per il padre. Sanzione controbattuta, secondo uno schema a lui ben noto[xi], dall’ordine di restituire i soldi al tenente A. Quando, dopo svariate e apparentemente oggettive difficoltà, riesce finalmente a incontrare il tenente A., apprende che non è a lui che deve restituire il denaro, ma al tenente B., essendo questi e non l’altro l’ufficiale che si occupa della posta. Per il paziente è un brutto colpo non poter adempiere al giuramento ossessivo, evidentemente fondato su una premessa falsa. Egli inizia allora un rocambolesco e contorto lavorìo mentale finalizzato a mettere a punto una strategia che gli permetta di rifondere egualmente il tenente A. ed eseguire in questo modo l’ordine ossessivo. Tornato in sé, dopo averci perso il sonno e dopo aver escogitato espedienti della più varia natura, grazie a un amico chiamato spesso a soccorrerlo in queste situazioni, egli invia le 3,80 corone del pince-nez non al tenente A. e nemmeno al tenente B., ma all’ufficio postale, svelando così di avere sempre saputo che i soldi avrebbe dovuto renderli all’impiegata della posta e a nessun altro. E in effetti viene fuori che, già prima dello scambio con il capitano crudele e della sua raccomandazione di restituire il denaro ad A., il paziente aveva incontrato un altro ufficiale, che lo aveva informato di come stavano effettivamente le cose. Il nostro uomo sapeva bene, dunque, fin dal principio, che i soldi del pince-nez era stata la signorina della posta ad anticiparli, e che il capitano crudele si era sbagliato.
Curiosamente anche Freud rientra, al principio, in questo scenario ossessivo: l’Uomo dei topi è alla ricerca di un medico che gli certifichi, prescrivendogliela come cura, la necessità di restituire i soldi al tenente A. (benché al tenente A. non spetti alcun risarcimento), e si imbatte nel suo nome, che gli era noto per aver sfogliato qualche pagina di Psicopatologia della vita quotidiana. Intento più ragionevolmente sostituito dalla richiesta di essere guarito da tale irriducibile ossessione.
Perché mai, si domanda Freud, le due cose dette al paziente dal capitano crudele, e cioè la storia dei topi e l’invito a rimborsare il tenente A., causano reazioni patologiche di tale sconvolgente portata? Egli ipotizza, allora, che nel malato esista una sensibilità complessuale, prendendo a prestito un’espressione junghiana. Ipotizza, cioè, che le parole del capitano avessero colpito zone particolarmente sensibili del suo inconscio.
Lacan riprende questa tematica in una conferenza che tiene nel 1953, Il mito individuale del nevrotico, quando parla della costellazione originaria che avrebbe presieduto alla nascita del soggetto, “al suo destino, direi quasi” aggiunge “alla sua preistoria”. “La costellazione del soggetto” dice Lacan “si forma nella tradizione familiare con il racconto di un certo numero di tratti che vengono a delineare l’unione dei genitori”.[xii]
Accade che durante una seduta il paziente racconti un avvenimento nel quale Freud intravede quella che considera la causa immediata, quello che individua come lo spunto occasionale che sei anni prima aveva provocato lo scatenamento nevrotico. C’è un precedente importante, e il precedente è che il padre dell’Uomo dei topi, sposando sua madre, aveva raggiunto una non trascurabile agiatezza economica. “Il prestigio è dunque” rimarca Lacan “dalla parte della madre”.[xiii] Durante uno dei rari momenti di litigio tra i genitori, uno di quelli in cui la madre usava punzecchiare il marito, il paziente aveva appreso che suo padre, prima di sposarsi, aveva fatto la corte a una ragazza bella ma povera alla quale aveva rinunciato per un matrimonio che era dunque, a tutti gli effetti, un matrimonio di interesse. Dopo la morte del genitore (ed è questo l’evento con il quale Freud fa coincidere l’inizio della malattia), la madre del nostro giovane gli aveva proposto di sposare, quando avesse finito gli studi, la figlia di un suo cugino, matrimonio che gli avrebbe dischiuso una carriera brillante e consentito una posizione sociale di un certo rilievo. Il paziente si era trovato così davanti al confitto tra il rimanere fedele alla donna povera e amata o accontentare le ambizioni familiari (il che significava, per Freud, non solo imitare il padre, ma anche accontentarlo), conflitto che aveva risolto ammalandosi e procrastinando il termine degli studi.
Ma c’era anche un altro elemento del suo mito familiare che lo aveva spinto a identificarsi con la figura paterna e che aveva giocato un ruolo fondamentale nello scatenamento della malattia. “Il caso […] aveva voluto” scrive Freud “che una piccola disavventura del padre avesse in comune con la sollecitazione del capitano un importante elemento”[xiv]. Anni prima quest’uomo, da sottoufficiale, aveva ricevuto in custodia del denaro e aveva pensato bene di perderlo giocando alle carte. Era stato quindi uno Spielratte, un topo di gioco. Lacan è molto meno diplomatico di Freud e anche piuttosto comico quando ci dice che, in parole povere, codesto signore aveva “né più né meno dissipato in gioco d’azzardo i fondi del reggimento, di cui era depositario per la funzione che esercitava” e che “ebbe salvo l’onore, se non la vita […] solo grazie all’intervento di un amico che gli aveva allungato la somma da rimborsare, e che si trova così a essere il suo salvatore”[xv]. Amico al quale la somma anticipata non era mai stata restituita, probabilmente per circostanze di vita e non per cattiva volontà. Le parole del capitano crudele, “devi restituire le 3,80 corone al tenente A.”, il paziente le aveva dunque interpretate come un’allusione al debito che il padre non aveva mai estinto.
E’ in questo modo, nel suo dire frammentato e associativo, che si presenta dunque la costellazione familiare dell’Uomo dei topi. E’ così che si annuncia il suo mito, il mito individuale del nevrotico, senza che il soggetto riesca a collegare questo dire all’attualità dei suoi sintomi. Contrariamente all’isteria, infatti, nella quale le cause immediate della malattia sono soggette ad amnesia, nella nevrosi ossessiva gli spunti recenti della malattia vengono ricordati senza particolare fatica. “La rimozione si avvale qui” spiega Freud “di un meccanismo diverso, e in realtà più semplice: invece di far dimenticare il trauma, lo priva del suo investimento affettivo, sì da lasciare nella coscienza del soggetto soltanto un contenuto rappresentativo indifferente, che egli reputa privo di valore”[xvi]. E’ necessaria tutta l’intuizione di Freud, scrive Lacan (ed è qui l’originalità della sua interpretazione), per afferrare che è proprio in questo scenario familiare che sono da ricercare gli elementi essenziali dello scatenamento della nevrosi ossessiva. Intuizione che Freud sembra aver avuto per puro caso, grazie a un dettaglio della sua stessa biografia, e cioè “essere stato oggetto egli stesso di un simile suggerimento della prudenza familiare - cosa che sappiamo da un frammento della sua analisi smascherato nella sua opera da Bernfeld -, e sarebbe bastato” continua Lacan “che egli non avesse risposto in modo contrario, perché mancasse nel trattamento l’occasione di riconoscerlo”[xvii].
In realtà, che il personaggio nella cui biografia rintracciamo un’ingerenza familiare di tal sorta (peraltro non certo rara a quei tempi) coincida con Freud, non è affatto certo, seppure sembri davvero molto probabile, e per rendercene conto è necessario curiosare proprio nel testo che raccoglie i saggi di Bernfeld ai quali Lacan fa evidentemente riferimento.
In uno di questi, Bernfeld avanza l’ipotesi che lo scritto Ricordi di copertura (1899), presentato come un dialogo tra Freud e un trentottenne di formazione universitaria, sia in realtà un monologo. O meglio, un dialogo che Freud intrattiene con se stesso, niente altro che un pezzo di auto-analisi, potendo contare sulla scarsa conoscenza che ancora in quegli anni il mondo aveva dei particolari della sua biografia.
Bernfeld elenca, con lucidità analitica, una serie di vicende di vita, di circostanze e di passioni di quest’uomo sconosciuto, come la passione per la montagna e i paesaggi alpini, che lascerebbero pochi dubbi circa la sua vera identità, aggiungendo accorato: “Chi poteva, nel 1899, avere una comprensione della psicoanalisi così pronta e approfondita? Chi scriveva nell’ultimo decennio del secolo scorso in un tedesco così inconfondibilmente chiaro, semplice e flessibile? Chi è quest’uomo interessante e così promettente, che ne è stato di lui? [...] ora siamo convinti che il trentottenne altri non è che Freud stesso, naturalmente con un leggero travestimento.”[xviii]
Considerando vere le deduzioni di Bernfeld che Lacan fa sue, la svolta principale nel caso dell’uomo dei topi avverrebbe per un vero colpo di fortuna: Freud riesce a cogliere il risentimento provocato nel soggetto dal consiglio matrimoniale materno perché anni prima aveva avuto un suggerimento analogo, evidentemente respinto. Il fatto che questo suggerimento della madre venga riportato alla parola del padre (che al tempo di tale suggerimento era già morto) lascia tuttavia, sostiene Lacan, piuttosto sorpresi. Riporto le parole utilizzate ne La direzione della cura e i principi del suo potere (1958), scritto nel quale il caso dell’Uomo dei topi viene ripreso da angolazioni diverse: “Il meno che si possa dire di questa interpretazione è che è inesatta, essendo smentita dalla realtà che presume, tuttavia è vera in quanto con essa Freud […] anticipa quanto da noi apportato circa la funzione dell’Altro nella nevrosi ossessiva, dimostrando che questa funzione […] si colloca in modo da essere adempiuta da un morto, e che in questo caso nessuno potrebbe adempierla meglio del padre in quanto, effettivamente morto, ha raggiunto la posizione che Freud ha riconosciuto essere quella del Padre assoluto”[xix]. E prima ancora, in Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi (1953), Lacan scriveva: “[…] L’azione castratrice del padre, che Freud sostiene qui con una insistenza che si potrebbe credere sistematica, non ha giocato in questo caso che un ruolo di secondo piano. Ma l’appercezione del rapporto dialettico è così giusta che l’interpretazione […] data in questo momento scatena il decisivo sommovimento dei simboli mortiferi che legano narcisisticamente il soggetto, a un tempo a suo padre morto e alla dama idealizzata; due immagini che si reggono, secondo un’equivalenza caratteristica dell’ossessivo, l’una sull’aggressività fantasmatica che la perpetua, l’altra sul culto mortificante che la trasforma in idolo”. E sarà proprio in questo modo che Freud arriverà al suo scopo: far ritrovare all’uomo dei topi, “insieme alla costellazione fatidica che ha presieduto alla sua stessa nascita, la beanza impossibile da colmare del debito simbolico di cui la nevrosi è il protesto”[xx].
Il tema del padre che, in quanto morto, diventa Padre assoluto ci riporta inevitabilmente a quella obbedienza retrospettiva che i figli riservano al padre dell’orda dopo averlo ucciso, e che Freud fa coincidere con l’inizio del totemismo e dell’esogamia, e identifica come la radice fondamentale del meccanismo religioso e dei suoi nessi con gli ordinamenti sociali e gli obblighi morali.[xxi] Il padre morto diventa più forte del padre vivo, e ciò che prima egli aveva vietato in vita (il possesso delle donne dell’orda), i figli se lo proibiscono in seguito spontaneamente, in virtù della loro coscienza di colpa. E’ questa l’ipotesi antropologica che Freud avanza in quell’opera contorta[xxii] che è Totem e tabù, dove i due desideri rimossi del complesso edipico, omicidio e incesto, vengono fatti risalire ai due tabù fondamentali del totemismo. Allo stesso modo, e in virtù di quella analogia tra pensiero primitivo e pensiero nevrotico, l’allusione esplicita che il padre dell’Uomo dei topi fa, poco tempo prima di morire, a quanto sia ridicolo e davvero poco opportuno che il figlio si metta a corteggiare quella donna, risuona come un divieto che alla sua morte si impone al paziente in tutta la sua inappellabilità.
 
Ma perché, ci si può ancora domandare alludendo al nocciolo dello scenario fantasmatico, i topi significano tanto per il soggetto? Che ruolo hanno in quella sensibilità complessuale di cui parla Freud? “Topo è un significante,” scrive Colette Soler, “un significante che condensa il godimento, senza che il soggetto lo sappia, o meglio, lo sa solamente nella forma dell’orrore che ne prova”[xxiii]. Si è accennato a quanto il significante topo rimandi al padre, che era stato, da sottoufficiale, uno Spielratte, un topo di gioco. La quantità di materiale associativo che emerge durante le sedute è davvero consistente, il racconto della punizione orientale aveva sollecitato tutta una serie di pulsioni e portato alla luce una quantità di ricordi, e i topi avevano acquistato un gran numero di significati simbolici cui, nel tempo, se ne erano aggiunti tanti altri. Il supplizio dei topi aveva, tanto per cominciare, risvegliato l’erotismo anale, fondamentale nell’infanzia del paziente, che aveva sofferto di vermi intestinali. I topi erano poi diventati sinonimo di denaro, come mostrava l’associazione Ratten-Raten (topi-rate), o come testimoniava quella frase che gli si era affacciata alla coscienza quando Freud gli aveva comunicato quale sarebbe stato il suo onorario, quel “tanti fiorini tanti topi” che alludeva a una vera e propria valuta in topi. Il topo è anche noto veicolo di infezioni, e probabile simbolo della paura della sifilide, così temuta durante il periodo militare, malattia che aveva spesso sospettato affliggesse suo padre, che in vita non era stato propriamente un santo, come il paziente aveva creduto di dedurre da alcune allusioni raccolte qua e là. I topi, infine, avevano per il soggetto il significato di bambini: roditori che mordono con i loro denti aguzzi. Egli stesso da bambino era stato un piccolo monellaccio disgustoso e sporco[xxiv], come era emerso dalla rievocazione di un episodio nel quale lo si vedeva sculacciato da suo padre dopo che aveva morso qualcuno, probabilmente una governante. Quello stesso episodio in cui, mentre il padre lo puniva, in preda a un’ira furiosa, aveva declassato l’Altro a oggetto, annientandolo. Di questo si trattava, dice Lacan nel Seminario V, visti i sostantivi che aveva urlato (“Lampada! Asciugamano! Piatto!”) per offendere il genitore, non conoscendo cattive parole. “Ben poteva ravvisare nel topo” scrive Freud e concludiamo noi, “il suo sosia”[xxv]. Dagli Appunti apprendiamo che le associazioni con i topi sono davvero tante, ancora più di quelle riportate nella versione del caso destinata alla pubblicazione.
Quando Freud svela la dinamica sottostante alla costruzione del delirio dei topi, esso scompare. La coazione a rimborsare il tenente A. si rivela un’autopunizione per aver fantasticato che il supplizio orientale fosse inflitto a suo padre e alla donna amata. Un’autopunizione, dunque, per i suoi impulsi sadici, e approdiamo così a quel sadismo che, come si diceva, è l’essenza stessa della storia.
Ancora Colette Soler[xxvi], ragionando sulla direzione della cura nel caso in questione, si domanda come intervenga la riduzione dell’ossessione dei topi, concludendone che Freud si astiene dal toccare direttamente il godimento, facendo invece il lavoro del soggetto-supposto-sapere. Freud lavorerebbe sulla serie significante topo=denaro=escrementi=bambino cattivo che morde e che è sporco. In questo modo il godimento si sposta lungo i significanti che si associano in serie, e l’ossessione sparisce quando il paziente arriva ad accorgersi che il topo è egli stesso, proprio lui, uno sporco monello avvezzo a cose ripugnanti. Alla fine dell’analisi dell’uomo dei topi c’è, per Colette Soler, l’acquisizione di un sapere: il sapere della serie significante.
Perché Freud, si chiede Lacan, questa volta nel Seminario VIII. Il transfert (1960-1961), lo chiama Rattenman, l’Uomo dei topi, al plurale? In fondo nel fantasma non compaiono dei topi, ma vi è un topo solo, quello del perturbante supplizio orientale. Ebbene, secondo Lacan si parlerebbe di Uomo dei topi perché il topo si moltiplica incessantemente, in quelle infinite sostituzioni e in quella metonimia permanente di cui la sintomatologia ossessiva è l’esempio paradigmatico. Quella metonimia che vediamo ben scritta nella formula del fantasma dell’ossessivo:
 
Ⱥ◊ Φ (a, a’, a’’, a’’’, …)

 
dove la formulazione del secondo termine del fantasma fa allusione a quanto gli oggetti di desiderio siano, in un certo qual modo, delle equivalenze erotiche, degli scivolamenti metonimici: tanti topi, infiniti topi.[xxvii]
 
C’è un altro aspetto del caso clinico dell’uomo dei topi sul quale Lacan si sofferma in più di una occasione. Nel paragrafo III di Funzione e campo, “Le risonanze dell’interpretazione e il tempo del soggetto nella tecnica psicoanalitica”, scrive che i successi terapeutici ottenuti da Freud stupiscono per l’indottrinazione sfacciata da cui sembrano procedere, aggiungendo che “lo sfoggio che se ne rileva nel caso di Dora, dell’uomo dei topi e dell’uomo dei lupi, non manca di scandalizzarci”.[xxviii]
In cosa consisterebbe l’indottrinazione alla quale fa riferimento Lacan? Apprendiamo dal caso che Freud ha, in diverse occasioni, incoraggiato il paziente a superare le sue reticenze, i suoi tentennamenti nel raccontarsi. Quando il soggetto lo prega, in palese stato di turbamento, di risparmiargli il racconto dei particolari del supplizio dei topi, gli risponde che non può fargli concessioni, che vincere le resistenze è una imposizione stessa della cura, a cui non ci si può in alcun modo sottrarre. Lo rassicura che egli stesso non ha inclinazioni crudeli e che non gioisce a tormentarlo. Freud, secondo Lacan, avrebbe afferrato perfettamente la capacità di seduzione che questo gioco ha nell’immaginario, e lo dimostra il fatto che non interpreta la resistenza del paziente, ma aderisce specularmente alla sua richiesta, al punto che sembra entrare nel suo gioco. Non interpreta ma indottrina, o almeno sembrerebbe farlo. Tuttavia, “il carattere estremamente approssimativo, al punto da sembrarci volgare, delle spiegazioni di cui lo gratifica” scrive Lacan “ci informa a sufficienza: qui non si tratta tanto di dottrina, e neppure di indottrinamento, ma di un dono simbolico della parola, gravido di un patto segreto”[xxix]. Freud riconosce la resistenza, non la interpreta, ma la considera propizia alla messa in moto delle risonanze della parola.
Ne La direzione della cura, Lacan scrive ancora sullo stesso argomento, dicendo che ciò che nei casi clinici freudiani stupisce come una indottrinazione preliminare riguarda piuttosto il fatto che Freud spinge il paziente a un primo reperimento della propria posizione nel reale, a costo che ciò comporti una esasperazione dei sintomi. Quel rovesciamento di posizione dell’anima bella, così evidente quando spiega a Dora che ella non subisce gli eventi che le recano sofferenza, ma che vi partecipa attivamente e, anzi, addirittura li causa e li promuove con un certo, seppure inconsapevole, impegno,[xxx] verrebbe accuratamente esercitato anche con l’Uomo dei topi. Mostrando così che la direzione della cura deve necessariamente procedere secondo la sequenza rettificazione-transfert-interpretazione, lì dove la rettificazione, punto di partenza di ogni analisi, atto analitico inaugurale, sarebbe quella dei rapporti del soggetto con la sua realtà psichica, ovvero l’implicazione nel sintomo che lamenta; il transfert è essenzialmente transfert simbolico, unico transfert utile, che colloca lo psicoanalista nel luogo del soggetto-supposto-sapere, e l’interpretazione è “interpretazione nel transfert, e non certo del transfert”[xxxi]. Con tale sequenza, Lacan rovescia di fatto la successione disposta dalla psicoanalisi post-freudiana, transfert-interpretazione-rettificazione, che trattava il transfert essenzialmente come ripetizione, ovvero trasferimento sull’analista dei desideri inconsci del paziente; l’interpretazione era interpretazione del transfert, e la rettificazione quella dei rapporti che il soggetto intrattiene con la realtà esterna, ottenuta attraverso l’identificazione all’Io dello psicoanalista.
Leggiamo ancora che nella quinta seduta Freud illustra al paziente le differenze psicologiche tra conscio e inconscio, gli spiega (lo indottrina!) che l’inconscio è l’infantile, gli mostra le antichità che si trovano nel suo studio, chiarendogli che si sono conservate proprio perché sepolte, e motivandogli in questo modo il perdurare dell’odio inconscio, sepolto anch’esso, verso suo padre. Comprendiamo lo spaesamento dell’Uomo dei topi davanti allo smascheramento dei suoi impulsi aggressivi, dinnanzi alla spiegazione che la paura ossessiva della morte del padre, che lo aveva attraversato a fasi alterne fin dall’infanzia, corrispondesse in realtà a un antico desiderio. Da qualche parte nel Seminario XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964), Lacan ricorda come la soppressione della rimozione si paghi, molto spesso, con un transfert negativo, con un desiderio di morte verso l’analista. Sarebbe il prezzo da pagare per essere stato l’agente della rimozione di quei veli che proteggevano il soggetto dall’orrore di sapere, quel sapere che ha a che fare con la propria castrazione.
In un seminario ancora inedito in Italia, il dodicesimo[xxxii], nella lezione del 28 aprile del 1965, Lacan sostiene che nel momento in cui l’Uomo dei topi sostituisce alla richiesta di certificazione di malattia la richiesta di cura, egli accetta di fatto l’ipotesi che esista un inconscio. Ebbene, in quel momento stesso si inaugurerebbe il transfert.
Lacan non manca di sostenere già nel 1953[xxxiii] e proprio a proposito dell’Uomo dei topi, quanto il transfert contenga in sé una dimensione inedita, creativa, che va oltre la semplice ripetizione di antichi affetti. Lì dove l’interpretazione freudiana tende a ribadire che lo psicoanalista si è sostituito al padre del paziente, egli preferisce sottolineare che Freud occupa, in un primo tempo e in modo diretto, il posto dell’amico chiamato a rassicurarlo, come altri soggetti di sesso maschile prima di lui.
Accade poi che nel paziente, come può capitare classicamente agli ossessivi, comincino a farsi avanti i fantasmi aggressivi, e Freud e la sua famiglia diventano oggetto di fantasie a occhi aperti e di sogni sconci dei quali l’Uomo dei topi, costernato per l’azzardo dei suoi pensieri, diurni e notturni, si vergogna terribilmente. Mito familiare e fantasma iniziano a mescolarsi, e l’interpretazione freudiana che il consiglio matrimoniale materno avesse scatenato la sua malattia, inizialmente rigettata con incredulità, può farsi strada attraverso un sogno con il quale il paziente sperimenta nell’attualità l’antico conflitto donna ricca/donna amata. Nella trasposizione onirica, una ragazza gli appare con due chiazze di sterco al posto degli occhi. E’ quella stessa ragazza che l’Uomo dei topi aveva incontrato per caso in casa del suo analista e, immaginando si trattasse di sua figlia, aveva iniziato a fantasticare che egli si comportasse amabilmente con lui perché desiderava la prendesse in moglie. Tutto ciò lo aveva incollerito, essendo fermo nel suo desiderio di sposare la signora che amava e nessun’altra, seppure la fama e la posizione della famiglia con la quale avrebbe potuto imparentarsi lo avessero inevitabilmente lusingato. Secondo Freud, il sogno significava niente altro che “sposerei tua figlia per i suoi soldi e non certo per i suoi begli occhi”.
L’Uomo dei topi è intelligente, curioso, interessato ai meccanismi della cura, e Freud non manca di elogiarlo[xxxiv]. E’ un paziente che fa molte domande, che chiede delucidazioni, che soprattutto cerca di sapere se la psicoanalisi gli restituirà intatta la sua personalità, frammentata dalla malattia, logorata dalla coesistenza cronica di amore e odio, e Freud si spinge a esprimersi favorevolmente, motivando con la giovane età la prognosi positiva.
Nel caso viene mostrata la presa di coscienza progressiva, attonita del paziente, alla quale si accompagna un crescendo dell’aggressività verso l’analista, responsabile della caduta dei veli che tenevano il soggetto nell’ignoranza circa se stesso. Quell’aggressività che si dispiega nelle fantasie e nei sogni a sfondo sessuale, nei pensieri impertinenti, nei desideri irriverenti e nelle parole volgari che gli attraversano la mente, per i quali si sente talmente in colpa da chiedere a Freud di buttarlo fuori dalla porta. Fantasie, pensieri, desideri minuziosamente descritti negli Appunti del caso, dai quali ricaviamo forse le informazioni più dettagliate sui movimenti transferali.
Freud evidenzia tutta la carica dei trasferimenti sulla sua persona, come quando il paziente, confuso dal racconto del supplizio orientale, esausto dalle resistenze che oppone al fluire libero della parola, si riferisce a lui chiamandolo “capitano”, accostandolo al capitano crudele.
Riusciamo a immaginare il turbamento di Freud quando apprende che il suo paziente è morto in battaglia, e nel 1923 aggiunge al caso quella nota in guisa di epitaffio nella quale, ancora una volta, non dimentica di sottolineare che quegli, grazie all’analisi, aveva riacquistato la salute psichica. Esigenza, quella di mostrare che la psicoanalisi fosse una tecnica terapeuticamente efficace, che in nessun momento viene persa di vista. Quella nota testimonia di una morte nella quale Lacan crede, al contrario, di intravedere gli effetti di una, diciamola così, cattiva analisi. Allusione impegnativa, considerazione sapiente ma vaga che non viene oltremodo argomentata.
E’ certo, comunque, che è proprio dall’Uomo dei topi che Lacan muove per sviluppare abilmente nel suo Seminario degli anni 1957-58 quelle considerazioni sul desiderio nella nevrosi ossessiva che spiazzano per le profondità alle quali sono capaci di calarsi. E’ da qui che parte per arrivare al cuore stesso di una delle forme di nevrosi che più avevano occupato l’indagine freudiana.
 


[i] J. Lacan (1953), Il mito individuale nel nevrotico, Astrolabio - Ubaldini Editore, 1986.
[ii] J. Lacan (1957-58), Seminario V. Le formazioni dell’inconscio, Torino, Einaudi, 2004 p. 409.
[iii] J. Lacan (1953), Il simbolico, l’immaginario e il reale (in Dei Nomi-del-Padre e Il trionfo della religione), Torino, Einaudi, 2006.
[iv] S. Freud (1909), Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva (in Casi clinici 2), Torino, Bollati Boringhieri, 2013.
[v] J. Lacan (1958), La direzione della cura e i principi del suo potere (in Scritti), Torino, Einaudi, 2002, p. 593.
[vi] J. Lacan (1953), Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi (in Scritti), Torino, Einaudi, 2002, p. 296.
[vii] S. Freud (1909), Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva (in Casi clinici 2), Torino, Bollati Boringhieri, 2013.
[viii] J. Lacan (1953), Il mito individuale del nevrotico, Astrolabio - Ubaldini Editore, 1986, p. 16.
[ix] S. Freud (1909), Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva (in Casi clinici 2), Torino, Bollati Boringhieri, 2013.
[x] Ibid.
[xi] Ricordiamo che il paziente è già un ossessivo, e lo è fin da piccolo.
[xii] J. Lacan (1953), Il mito individuale del nevrotico, Astrolabio - Ubaldini Editore, 1986, p. 17.
[xiii] Ibid.
[xiv] S. Freud (1909), Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva (in Casi clinici 2), Torino, Bollati Boringhieri, 2013.
[xv] J. Lacan (1953), Il mito individuale del nevrotico, Astrolabio - Ubaldini Editore, 1986, p. 18.
[xvi] S. Freud (1909), Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva (in Casi clinici 2), Torino, Bollati Boringhieri, 2013.
[xvii] J. Lacan (1955), Varianti della cura-tipo (in Scritti), Torino, Einaudi, 2002, p. 349.
[xviii] S. Bernfeld, S. Cassirer Bernfeld (1981), Per una biografia di Freud, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 71.
[xix] J. Lacan (1958), La direzione della cura e i principi del suo potere (in Scritti), Torino, Einaudi, 2002, p. 593.
[xx] J. Lacan (1953), Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi (in Scritti), Torino, Einaudi, 2002, p. 296.
[xxi] S. Freud (1912), Totem e tabù, Torino, Bollati Boringhieri, 2011.
[xxii] J. Lacan (1969-70), Il seminario XVII. Il rovescio della psicoanalisi, Torino, Einaudi, 2001, p. 135.
[xxiii] C. Soler, in “La Psicoanalisi” n. 7, Astrolabio (1990).
[xxiv] S. Freud (1909), Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva (in Casi clinici 2), Torino, Bollati Boringhieri, 2013.
[xxv] Ibid.
[xxvi] C. Soler, in “La psicoanalisi” n. 7, Astrolabio (1990).
[xxvii] J. Lacan (1960-61), Seminario VIII. Il transfert, Torino, Einaudi, 2008, p. 275.
[xxviii] J. Lacan (1953), Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi (in Scritti), Torino, Einaudi, 2002, p. 283.
[xxix] Ibid., p. 284.
[xxx] vedi S. Freud (1901), Frammento di un’analisi d’isteria.
[xxxi] F. Marone , Il caso delle cervella fresche, lezione tenuta all’ICLeS di Napoli nel 2012.
[xxxii] J. Lacan (1964-65), Séminaire XII. Les problèmes cruciaux pour la psychanalyse, http://www.valas.fr/Jacques-Lacan-Problemes-cruciaux-pour-la-psychanalyse,255, at 20/02/2016.
[xxxiii] J. Lacan (1953), Il mito individuale del nevrotico, Astrolabio - Ubaldini Editore, 1986
[xxxiv] In Totem e tabù (1912), riferendosi all’Uomo di topi scrive: “La definizione onnipotenza dei pensieri l’ho derivata da un uomo assai intelligente, che soffriva di rappresentazione ossessive, il quale, ristabilitosi mediante la cura psicoanalitica, riuscì a dar prova della sua capacità e del suo giudizio”.
 
 
 
 
 
Bibliografia
 
Bernfeld S., Cassirer Bernfeld S. (1981), Per una biografia di Freud, Torino, Bollati Boringhieri, 1991.
 
Freud S. (1909), Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva (in Casi clinici 2), Torino, Bollati Boringhieri, 2013.
-        (1912), Totem e tabù, Torino, Bollati Boringhieri, 2011.
-        (1901), Frammento di un’analisi d’isteria (in Casi clinici 1), Torino, Bollati Boringhieri, 2013.
 
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-        (1957-58), Seminario V. Le formazioni dell’inconscio, Torino, Einaudi, 2004.
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Marone F., Il caso delle cervella fresche, lezione ICLeS Napoli, 2012.
 
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