PSICHIATRIA 2.0
Innovazione, Social Media e Nuove Tedenze nella Psichiatria del XXI secolo
di Valerio Rosso

Una Mappa Immaginaria della Psichiatria del Prossimo Futuro

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15 luglio, 2017 - 05:50
di Valerio Rosso
Il mondo è cambiato.

 

Ho molti ricordi chiari e nitidi che posso localizzare alla fine degli anni ‘90, anche se sembrano provenire da un’altra era: sono le parole di molti psichiatri, alcuni dei quali mi hanno insegnato così tanto e verso i quali ho ancora molto affetto.

 

Molti di questi esperti colleghi erano soliti replicare in questa maniera alle mie strane domande ed alle mie “provocazioni” sui rapporti tra psichiatria e Digital/New Tech:

 

“…Una cartella clinica elettronica non verrà mai adottata in Psichiatria…”

“La relazione tra le persone non potrà mai essere mediata dai computer o da internet…”

“Intelligenza artificiale per diagnosticare una malattia mentale? Non scherziamo…”

“Realtà Virtuale in psichiatria?…E per fare cosa?”

“Come psichiatra non ho alcun tipo di interesse nei social network…”

 

e così via… ricordate anche voi cose simili?

 

Erano quelli gli anni durante i quali c’erano poche manciate di persone al mondo che stavano capendo realmente le potenzialità della rete, delle tecnologie informatiche del digital, e nessuna di loro era uno psichiatra.

 

Questo genere di atteggiamento mentale era presente in molti dei miei colleghi più anziani ed esperti, salvo poche eccezioni, ed ancora oggi si possono intravvedere posizioni del genere in moltissimi psichiatri, più o meno giovani.

 

Badate bene, stiamo parlando di persone di cultura psichiatrica assolutamente elevata, molti di loro potrebbero essere definiti dei fuori classe.

 

D’altra parte tutta la loro competenza in materia di conoscenza dei meccanismi di funzionamento della mente e della relazione tra esseri umani sembrava necessitare quanto meno di essere ricollocata ed aggiornata, alla luce di cosa stava iniziando ad accadere ed è poi, effettivamente, accaduto in circa 15 anni; pochissimi di loro all’epoca brillarono per capacità predittiva, oltretutto in un campo, quello della psichiatria, assolutamente limitrofo alle scienze umane e a quelle della comunicazione.

 

Questo però non ci deve stupire. Nessuno di voi, a metà degli anni ’90, ha mai fatto affermazioni del tipo: “…ma ti rendi conto? Questo mio amico si è comprato un telefonino! Ma a cosa serve?! Roba da deficienti!”

 

Bene, le affermazioni che ho citato in precedenza suonano stonate allo stesso modo.

 

La psicologia ci insegna che l’inerzia al cambiamento fa parte dell’essere umano.

 

Mi aveva colpito sapere che la nascita della stampa a caratteri mobili, introdotta da Johannes Gutenberg nel 1455, aveva sollevato forti angosce in gran parte degli intellettuali dell’epoca circa i possibili pericoli di una perdita collettiva della memoria da parte dell’uomo che si sarebbe affidato completamente ai libri per ricordare, oppure il timore che i libri avrebbero limitato le relazioni tra le persone rendendo obsoleta la tradizione orale nella trasmissione del pensiero.

 

Ma rimaniamo ai nostri giorni.

 

Vi voglio fare una domanda la risposta alla quale spero sia chiaramente conosciuta da noi medici: sapete cosa fanno tutti, ma proprio tutti, i pazienti che visitiamo, una volta che escono dal nostro studio? Vanno su Google!

 

Ogni persona che riceve una prescrizione o alla quale è stata fatta una diagnosi va a verificare le informazioni ed i consigli che ha ricevuto da noi. Nello spazio che va dal nostro studio all’automobile, il paziente ha già provveduto a farsi una sua propria idea di ciò che noi gli abbiamo detto. 

 

Vi dirò di più, ci sono molti studi che affermano che spesso il paziente giunge alla nostra attenzione con molte informazioni già ricercate sul web rispetto alle quali ricerca solo una tranquillizzante conferma da parte dello specialista.

 

Sino a pochi anni or sono si pensava che questo fosse un male, che potesse incrinare la relazione terapeutica o l’efficacia dell’intervento medico. Allo stato attuale si dovrebbe considerare tutto questo come un dato di fatto, allo stesso modo di come si considera il fatto che il cielo sia blu o che l’erba sia verde.

 

Le cose stanno semplicemente così ed è compito della classe medica fare fronte ai cambiamenti del mondo con consapevolezza.

 

Ormai quando sento colleghi che mi dicono orgogliosamente che “non sono iscritti a facebook”, che non sono interessati ai social network, che fanno curiose distinzioni tra “libri di carta” e web/ebook, che non sanno nulla di intelligenza artificiale o che considerano la realtà virtuale una specie di videogame… rimango davvero stupito!

 

Proprio noi psichiatri, che dovremmo essere i massimi esperti di relazione e di comunicazione, siamo così poco interessati alle nuove frontiere?

 

Recente si sentono psicologi e psichiatri che portano riflessioni sui Social Network che sono o troppo allarmistiche, con uno stile di pensiero decisamente Pop-Trash, oppure che si appoggiano a lavori pionieristici, spesso anglosassoni, non replicati e intrisi di ideologie a favore o contro le nuove frontiere delle relazioni umane sul web.

 

Alle volte pensiamo, con arroganza, che solo per il fatto di essere psichiatri o psicologi ed aver aperto un account su twitter siamo autorizzati a pontificare. Le cose, ovviamente, non stanno così.

 

Cosa stiamo facendo tutti noi psichiatri, come studiosi e come professionisti, per colmare e controllare il gap culturale rispetto alle nuove tecnologie ed alla rete? Ci limitiamo a lamentarci che i tempi sono cambiati oppure stiamo adeguando il nostro stile di lavoro e le nostre conoscenze al mondo intorno a noi?

 

Dobbiamo stare molto attenti a non fare la figura di “dilettanti allo sbaraglio” nei confronti di un fenomeno che ha cambiato il mondo e che, voglio ribadirlo ancora, ci riguarda direttamente come esperti di relazione e di comunicazione.

 

Continuando a parlare di innovazione in psichiatria, se tante cose sono cambiate alcune invece rimangono uguali da molti decenni, pericolosamente fisse, bloccate a stadi della conoscenza che generano imbarazzo quando la psichiatria si confronta con altre discipline mediche.

 

Questi che riporto di seguito sono alcuni esempi di temi importantissimi che emergono in libertà dalla mia memoria e che potranno dare vita, una volta sviluppati, a vere innovazioni in psichiatria:

 

 
  • Il ruolo del nostro bagaglio genetico nei confronti dello sviluppo delle patologie psichiatriche è tutt’altro che chiarito, così come i vari fattori ambientali e comportamentali giocano un ruolo ancora troppo poco studiato. Non parliamo poi della tanto citata dimensione Bio-Psico-Sociale: ottima intuizione che ha generato un concetto permeato di dimensioni filosofiche, biochimiche, matematiche e Fisiche troppo caotiche per essere maneggiate da noi psichiatri. E allora? Lavoro in equipe multidisciplinare? Network di studio? Intelligenza Artificiale?

 

  • Altro punto molto caldo intimamente connesso al precedente: allo stato attuale non ci sono ancora sistemi diagnostici per le patologie psichiatriche basati su eziologie o patofisiologie definite che possano accuratamente predirre l’adamento e la prognosi di una malattia mentale o l’eventuale risposta o meno a dei trattamenti. Questo è un punto importante, molto stressato da tutte le correnti di pensiero antipsichiatriche.

 

  • Passiamo poi ad uno dei punti in apparenza “forti” della psichiatria, ovvero i nostri tanto amati ed odiati psicofarmaci. Se affermassimo che l’attuale paradigma psicofarmacologico è sostanzialmente fermo agli anni ’50 e la definizione di nuovi target farmacologici per la terapia dei disturbi psichiatrici procede molto a rilento, qualcuno potrebbe obiettare qualche cosa? Non credo, solo di recente stiamo spostando l’attenzione sulla modulazione di sistemi neuronali come, ad esempio, quello glutammatergico.

 

  • Sul versante delle terapie non psicofarmacologiche penso che sia sotto gli occhi di tutti come lo studio di nuovi trattamenti psicosociali non sia più oggetto di seria ricerca clinica da parte degli psichiatri da ormai molti anni. Ovviamente non intendo qualche case report o brevi pubblicazioni di piccoli gruppi di ricerca isolati. Intendo grandi lavori di interdisciplinarietà tra medicina, psicologia e scienze sociali basate su evidenze e su rigore scientifico.

 

  • Gli anni 2000 probabilmente saranno ricordati per essere un periodo nel quale si è verificato un vero e proprio Esodo di popolazioni. Culture diverse si sono compenetrate con una velocità che non ha paragoni nella storia. Che cosa sappiamo noi, che lavoriamo con popolazioni sempre più diverse dai nostri sistemi culturali di riferimento, di come funziona la mente di persone sradicate dalla terra d’origine? Quanto è sviluppata e pronta ad esprimersi nel mondo reale la cosiddetta Psichiatria Transculturale? Non sarà forse il web lo strumento privilegiato di contatto tra i popoli?

 

  • Per finire voglio solo accennare ai problemi della prevenzione in psichiatria, che è ancora oggetto di discussione e controversie, o dell’impossibilità dell’accesso alle cure psicoterapiche e psichiatriche per una grossa fetta della popolazione mondiale.

 

 

Quello che si profila all’orizzonte è uno scenario nel quale molte delle innovazioni e della tecnologia che la psichiatria ha snobbato per molti anni potrebbe fornire utilissimi strumenti per affrontare e risolvere questi blocchi della psichiatria contemporanea.

 

Di cosa parlo? Dello studio dei Big Data provenienti dai social networks che ormai inglobano parametri psicologici e sociali a non finire, di Network tra Centri di Ricerca, di nuove terapie con Realtà Virtuale o Aumentata che potranno potenzaire ed integrare le conoscenze psicoterapiche classiche, di Telepsichiatria, di utilizzo dell’Intelligenza Artificiale per studiare algoritmi di diagnosi e terapia, di Start-Up che investano sullo studio delle migliaia di molecole “leftovers” provenienti da molte industrie e vendute per poco prezzo, dello sviluppo di dispositivi di nuove tecnologie per il Neuro-Imaging portatili e a basso costo per scansionare costantemente i nostri pazienti e avanti così…

 

Lo scopo di questa mia riflessione è quella di aprire un piccolo spiraglio di futuro e di innovazione ad una disciplina che è troppo complessa per potersi arroccare in posizioni anacronistiche: ci stiamo ormai rendendo tutti conto che i prossimi progressi nella diagnosi e nelle terapie delle malattie mentali non saranno fatti da manipoli di psichiatri “in solitaria”, bensì da gruppi di lavoro nei quali gli psichiatri lavoreranno gomito a gomito con ingegneri, fisici, sociologi, matematici ed altre figure “ibride” che ancora una netta identità professionale non ce l’hanno.

 

Se ne parlava già 20 anni fa in ambito accademico, ma nessuno ci credeva davvero. Fu un intuizione mai coltivata realmente.

 

Adesso le cose sono già andate oltre dato che, ad esempio, ad essere esperti di social network non siamo assolutamente noi psichiatri, come naturalmente dovrebbe essere, ma altre figure professionali che un nome ancora non ce l’hanno ed alle quali iniziamo a chiedere aiuto.

 

Volete qualche altro esempio di prossime innovazioni tecnologiche in psichiatria legata al mondo digital? 

 

(1) Una nuova startup, la Agile Science, sta mettendo a punto un servizio di consulenza multidisciplinare per la messa a punto di trials clinici basati sull’evidenza, per la psichiatria ma non solo, che tengano conto dei contesti socio-ambientali di riferiemento studiando variabili provenienti da Big Data e dai Social Network.

 

 (2) Molte compagnie stanno investendo sulle possibilità di utilizzo dei Dati Passivi provenienti dagli smartphone per cercare di comprendere pattern di comportamento fisiologici e patologici in persone affette da malattie mentali.

 

(3) Gli Psichiatri avranno bisogno degli scienziati che studiano i Big Data e gli scienziati che studiano i Big Data avranno bisogno degli Psichiatri: le scienze del comportamento possono progredire solamente se la racolta massiva di dati sulla popolazione verrà condivisa e studiata da equipe di lavoro multidisciplinari.

 

(4) Google, Facebook e molte altre compagnie stanno investendo la maggior parte dei loro fondi dedicati alla ricerca sulla Realtà Virtuale e sulla Realtà Aumentata. In che maniera questo può riguardare la psichiatria? Molti studi evidenziano che PTSD e Disturbi d’ansia si giovano grandemente di queste tecnologie, inoltre nuovi approcci psicoterapici e riabilitazione cognitiva sembrano essere destinati a progredire proprio grazie a queste nuove tecnologie.

 

(5) Realtà virtuale e Telepsichiatria procederanno di pari passo con l’opportunità di fornire diagnosi e terapie innovative a grosse fette di popolazione che al momento non possono fruirne direttamente.

 

(6) L’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale sta mettendo a disposizione risorse per la dignosi ed il modellamento di nuove linee guida meno rigide e più affidabili e basate sul “mondo reale” e sui diversi contesti socio-ambientali nei quali le malattie si sviluppano.

 

(7) Molte nuove start-up farmaceutiche stanno studiando le cosiddette molecole “leftover”, acquistate a basso costo dalle aziende che le hanno modellate, usando il modello del networking tra gruppi di ricerca riuscendo a capire rapidamente se possono essere utilizzate come nuovi trattamenti.

 

(8) Vogliamo infine parlare di divulgazione della nostra materia verso il grande pubblico o verso i giovani? Della lotta allo stigma? Come si arriva alla gente per diffondere i messaggi della psicoeducazione? Tutte queste sfide possono essere affrontate e vinte solo se ci serviremo in maniera moderna e strategica della potenza del Digitale. Vi invito a leggere al riguardo questo mio articolo.

 

Queste mie iniziali riflessioni rappresentano le premesse per questa mia rubrica che tenterà di raccogliere con il massimo anticipo possibile tutte le innovazioni che le Nuove Tecnologie ed il Digital potranno fornire alla Psichiatria contemporanea e del futuro.

 

Un esempio pratico di questo mio discorso iniziale è sicuramente la piattaforma di PsychiatryOnLine.it, una prova di grande immaginazione e di pensiero proiettato in avanti che il Prof. Bollorino fece a metà degli anni ’90: mentre la maggior parte delle persone iniziava a conoscere superficialmente il web, senza crederci davvero, Francesco Bollorino dava vita ad un progetto che, oggi come allora, permette ai pazienti, ai colleghi psichiatri e a tutte le persone coinvolte o interessate alla psichiatria di accedere a contenuti di alto valore culturale, pertinenti e aggiornatissimi.

 

Con questa rubrica proverò a dare una piccola mano anche io a questo progetto online che spicca per valore intrinseco, per dimensioni del traffico dei lettori e per completezza della linea editoriale non solo in italia ma anche nel mondo.

 

 

 

Bibliografia:

 

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