I 280 caratteri di Twitter e il desiderio di conoscere l’aborigeno di Guzzanti

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28 settembre, 2017 - 14:42
NDR: Articolo pubblicato su ILSECOLO XIX in data 28/09/17 e pubblicato con permesso dell'autrice che ringraziamo

Corrado Guzzanti l’aveva detto, in tempi decisamente non sospetti

.Erano anni in cui la Rete si affacciava quasi timidamente nella nostra vita e lui sintetizzava così quella che è e rimane la più grande opportunità di conoscere il mondo senza alzarsi dalla poltrona di casa: «Se io ho questo nuovo media, la possibilità cioè di veicolare un numero enorme di informazioni in un microsecondo, mettiamo caso a un aborigeno dalla parte opposta del Pianeta, ma il problema è: Aborigeno... ma io e te... che cazzo se dovemo dì?».

Ecco, torniamo a quell’assunto. A questa teoria che scredita ironicamente l’infinita bellezza di poter conoscere in tempo reale tutto quello che accade nel mondo e che, saggiamente, punta l’attenzione su una parola: “comunicazione”. E interpretiamone il significato non per quello che è assunto nel linguaggio comune, ma per ciò che è diventato oggi: una overdose di informazioni che riguarda non solo e non tanto il patrimonio culturale globale che ora è realmente a portata di clic, ma un’esposizione costante e irrefrenabile della peculiare visione del proprio universo da parte di chi frequenta ogni “veicolo” sociale - virtuale.

 

E se sembra una circonlocuzione anche questa sullo stile del linguaggio usato da Guzzanti, la traduzione però è semplicissima: aggiorno lo stato su Facebook, posto una foto su Instagram, modifico la mia faccia su SnapChat, mi invento una diretta video su qualsiasi social io abbia e, da un po’, mi preoccupo pure di cambiare con frequenza il mio status su WhatsApp. Qualora tutto questo non fosse già troppo, Twitter ha pensato bene di aumentare il numero di caratteri da 140 a 280. E se fini analisti di settore (leggi esperti di social media marketing, guru della comunicazione digitale e via cantando) si applicano proprio sui social a dare la loro (autoritenuta) fondamentale spiegazione per farsi rispondere con altrettanto (autoconsiderate) decisive contro analisi, la vera questione non è chiedersi “perché” ma rispondere direttamente con un bel “ma basta!”.

Basta a “parlarsi” addosso l’uno all’altro, l’uno prima dell’altro, l’uno subito dopo l’altro, l’uno ancora prima che lo dici tu lo dico io e così via. Su tutto quello che pensiamo, su tutto quello che accade, su tutto quello che riguarda ogni piccola e insignificante virgola mal messa nel lungo monologo della nostra esistenza . E fosse solo questo, poi. Perché mentre su Facebook si discute di Twitter, su Instragram qualcuno ha appena postato la foto dello spaghetto al riccio di mare in salsa barbecue, mentre contemporaneamente come se si avesse il dono dell’“ubiquità digitale” compare pure una “story” del nipote che graffia il gatto (magari, almeno sarebbe una notizia). E su WhatsApp? Non basta far parte di duemila gruppi da cui arrivano notifiche senza soluzione di continuità, ma sempre più persone aggiornano anche lì “il mondo” su quel che stanno facendo. Basta, davvero.

Che sopraggiunga la stanchezza su tutti noi. E che non passi e non sembri una scelta da intellettuali quella di “lasciar perdere” per un po’, per qualche tempo o per sempre. Ma che invece si ritrovi la parte sana della Rete. Quella che ti consente di esserci quando veramente lo vuoi e che ti fa spalancare gli occhi davvero di fronte alla bella foto dei figli dei tuoi amici che giocano col cane. Che ti fa scoprire con sano interesse quello che pensano i tuoi conoscenti e dare uno sguardo più ampio a chi non ti è vicino per geografia fisica e di pensiero.Tutto questo era ed è la Grande Sorella Rete che non è cambiata, ha solo aumentato le possibilità di essere iper presenti in questo mondo parallelo e sta a noi gestire il nostro ego potenziato. Il virtuale è un mezzo, immenso e potente: sta a chi lo usa capire come e quando. E fino a quel momento, allora, pensare che si possa raggiungere un aborigeno e non capire nulla di quello che lui ha postato, ora come ora, mette quasi un senso di sollievo.

 

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