IL SOGGETTO COLLETTIVO
Il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale
di Antonello Sciacchitano

Sulla probabilità in psicoanalisi

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28 aprile, 2018 - 11:28
di Antonello Sciacchitano

Ignota agli antichi, che pensavano che ogni evento casuale fosse dovuto alla dea Fortuna,[1] la nozione di probabilità è un prodotto tuttora problematico del discorso scientifico moderno. Ha uno statuto ancora concettualmente incerto, per non dire ambiguo. Perché lo dico? Forse perché tratta di eventi incerti come il lancio di dadi o la mutazione genetica? No, perché il concetto di probabilità, che incrina l’antico e consolidato determinismo secondo cui non c’è evento senza causa ben determinata, non è altrettanto solido. Dallo stare alla frontiera tra ontologia ed epistemologia ne trae solo ambiguità.[2]

Oggi l’interpretazione della probabilità oscilla tra essere e sapere con due approcci non sovrapponibili e reciprocamente irriducibili: sono i due modelli di probabilità, rispettivamente frequentista (bernoulliano e più ontologico) e soggettivista (bayesiano e più epistemico); coabitano nel vuoto già occupato dal principio di ragion sufficiente, tipico della scienza pre-galileiana, modellata sullo scire per causas. Causarum cognitio campeggia sulla volta della stanza della Segnatura in Vaticano come emblema dell’ortodossia epistemologica della classicità, fondata sulla necessità eziologica che non lascia alcuno spazio alla contingenza di ciò che può essere e può non essere.[3] Oggi non abbiamo un Raffaello a disegnare la nostra situazione. Persa la causa e guadagnata la probabilità, cosa ci resta in mano?

La probabilità si inserisce nello spazio epistemico dischiuso dal dubbio cartesiano, che ritiene tutto il verosimile non vero. Qual è l’orizzonte dell’universale negativa? La scienza non offre certezze metafisiche; non convoca cause che causino necessariamente i propri effetti. In assenza di sicurezze ontologiche – direbbe Laing – il probabile non fa posto a un sapere che si sa in modo completo, ma solo a congetture. Il probabile, non provato in modo categorico, non è distante dall’inconscio freudiano, che è un sapere che non si sa di sapere; tuttavia, come quello scientifico, anche il sapere inconscio consente di formulare congetture.

Non conoscendo la probabilità, gli antichi matematici non sapevano operare con congetture, cioè con enunciati né veri né falsi.[4] Bisogna aspettare il XVII secolo perché P. De Fermat formulasse la prima importante congettura sul teorema di Pitagora generalizzato, che resistette indimostrata per ben tre secoli. A Fermat in corrispondenza con Pascal si devono i primi punti fermi del calcolo delle probabilità. Inconscio e probabilità hanno molto in comune, a cominciare proprio dal condividere lo spazio epistemico congetturale.

Nello psicoanalista l’interesse per l’inconscio dovrebbe andar di pari passo con l’interesse per la probabilità, almeno più di Freud. Purtroppo questo interesse non è ancora scattato mentre in parallelo quello per l’inconscio pare affievolirsi. Spiego il plausibile perché alla fine.

Nelle Sigmund Freud gesammelte Werke espressioni come “calcolo delle probabilità” o "eventi indipendenti" non figurano. Freud usò il termine “casuale” (zufällig) esclusivamente nel senso antico (aristotelico) di “fortuito” o “inatteso” (unerwartet). Dimostrò di non essere informato né sulle tecniche combinatorie, risalenti al XVII secolo, né sulle tecniche statistiche, risalenti al XVIII secolo, per estrarre certezze probabili dall’incerto. Eppure di Pierre Simon de Laplace Freud aveva in biblioteca il classico Essai philosophique sur les probabilités del 1812;[5] da matricola di medicina lo firmò nel 1875. Probabilmente non ne fece uso; nelle sue opere non lo citò mai. In effetti, ai tempi di Freud la medicina non calcolava probabilità, ritenute frivolezze del gioco d’azzardo, mentre Boltzmann applicava con successo la probabilità alla meccanica statistica. Le certezze ippocratiche, offerte dal principio di ragion sufficiente per cui ogni morbo ha un agente morboso, erano per il medico più che sufficienti. Ancora mio padre, dermatologo nato nel secolo di Freud, disprezzava le diagnosi di probabilità; non le riteneva all’altezza del dovere del medico nei confronti del malato di enunciare sentenze diagnostiche eziologiche accertate in modo sicuro.

Come dicevo, i modi di concepire la probabilità sono due: o come frequenza o come ragione di scommessa. Intesa come frequenza, la probabilità è il rapporto tra numero degli eventi favorevoli sul numero dei casi totali; così sembra più oggettiva (più ontologica); è anche la modalità in apparenza più vicina all’osservazione empirica, di cui Freud si vantava di far esercizio, e alla statistica. Invece, intesa come prezzo, la probabilità è il costo di una scommessa che il soggetto valuta equa: pagare 50 centesimi per ricevere 1 euro, se lanciando una monetina esce Testa, o nulla, se esce Croce; questa modalità è effettivamente più soggettiva (più epistemica) ed è la più vicina agli interessi dell’economista.

Comunque, le due semantiche interpretano diversamente la stessa sintassi, che Kolmogorov assiomatizzò nel 1933, inquadrando la probabilità come misura della res extensa. Come si sa la semantica riguarda la verità espressa dagli enunciati di un certo linguaggio. Nel nostro caso ci si chiede: qual è la verità degli enunciati del calcolo delle probabilità? Come interpretarli? Come frequenza o prezzo? Come spesso avviene in semantica, la decisione resta in sospeso.

La mia preferenza va alla semantica soggettivistica, perché ospita la dinamica congetturale intersoggettiva, basata sull’ignoranza del desiderio dell’altro. Il punto debole della semantica frequentista è che, osservando l’evoluzione di un sistema dinamico, regolata da una legge deterministica (ricorsiva o differenziale),[6] non è facile distinguerla da un’evoluzione probabilistica. C’è un fenomeno caratteristico. La forte dipendenza dalle condizioni iniziali porta due traiettorie evolutive del sistema deterministico, in partenza vicine, a divergere esponenzialmente nel tempo, per esempio con differenze raddoppiate a ogni unità di tempo. Il caos deterministico – così si chiama il fenomeno – fa sì che “la conoscenza dell’equazione dell’evoluzione di un fenomeno non implichi affatto la comprensione del suo comportamento”.[7]

È come dire che l’approccio storico alla successione dei singoli fatti, localmente considerati, non coglie l’essenza del fatto globale neppure in regime deterministico stretto; la narrazione storica restituisce sempre una configurazione ideale, fondamentalmente irrealistica.[8] Basta una variazione iniziale minima per generare storie molto differenti e imprevedibili. È il famoso “effetto farfalla” secondo Edward N. Lorenz: il battito d’ali di una farfalla in Brasile può generare un tornado in Texas (1979). Il complesso d’edipo conosce le farfalle?

In ogni modo, le due semantiche probabilistiche, una più ontologica, l’altra più epistemica, si avvicinano tra loro fino a confluire in meccanica quantistica, dove sembra funzionare “un sapere nel reale”. È il caso dell’entanglement (o correlazione) di due particelle che apparentemente “sanno” lo stato quantico l’una dell’altra senza trasmettersi informazioni, quasi per via telepatica. Nel 1974 Lacan intuì l’esistenza del sapere nel reale scrivendo la Lettera agli italiani;[9] era passato solo un decennio da quando John S. Bell formulò la famosa diseguaglianza che regola la correlazione tra ipotetiche particelle dotate di variabili nascoste.[10] La congettura di Bell fu falsificata sperimentalmente da Alain Aspect negli anni Ottanta. Nel reale non esistono variabili nascoste, i cui valori sarebbero da scovare con qualche ermeneutica storicistica; nel reale esiste, invece, un sapere che si esprime di volta in volta in modo autonomo e non prestabilito. La considerazione vale ovviamente anche per le interpretazioni analitiche dei desideri inconsci latenti, supposti conformi allo schematismo edipico.

L’insegnamento che lo psicoanalista può trarre dal calcolo delle probabilità nelle due versioni citate è semplice e profondo: il reale non è tutto e solo oggettivo; ha una componente soggettiva, che tuttavia interagisce con l’oggettiva, senza esserne nettamente separabile; il paradigma della meccanica classica dello sperimentatore, che sarebbe oggetto a distanza dall’oggetto sperimentale, decade. Questo è evidente sia in meccanica quantistica[11] sia in psicoanalisi. Il tuo reale di trent’anni fa non è oggettivo e immutabile nel passato, che ricordi oggi; lo (ri)costruisci retroattivamente (nachträglich, direbbe Freud) nella seduta di oggi nel pieno senso ontologico, di cui ha parlato D.W. Winnicott a proposito della sicurezza (ontologica) del bambino che gioca e acquista la certezza di essere nell’ambiente in cui gioca.[12] La psicoanalisi è un caso cartesiano di costruzione dell’essere tramite il sapere che non sai ancora di sapere; così la cura analitica alleggerisce le richieste di sicurezza ontologica che regolarmente il soggetto pone al sintomo somatico, tipicamente a quello doloroso. La psicoanalisi, se non è una cura, è un sollievo “sintomatico”.

Non è un caso – “non è un caso” cade a proposito in tema di probabilità! – che Lacan, avendo riconosciuto nella funzione fallica il luogo dove gioca la mancanza a essere, originariamente materna,[13] si sia più di Freud avvicinato alla combinatoria e alla stocastica, riconoscendo come le scienze umane, tra cui la psicoanalisi, siano essenzialmente congetturali, cioè probabilistiche.[14]


* * *

Concludo segnalando le tipiche difficoltà che l’analista incontra avvicinandosi al probabile e all’incerto. Sorvolo sulle generiche e scontate resistenze che il discorso comune sviluppa nei confronti del discorso scientifico, che sarebbe riduzionistico e positivistico, cioè ridurrebbe la ricchezza della soggettività all’aridità positività delle formule e dei numeri. Al discorso scientifico, basato su simmetrie nella sincronia, tanto l’analista quanto l’uomo della strada continuano a preferire narrazioni diacroniche informali, basate su eziologie standard, tradizionalmente condivise, che dicano “le cose come stanno” per il senso comune; allora l’analista si affida al complesso d’edipo o di castrazione: convinzioni inconfutabili – se non ammetti l’edipo ti dicono che resisti – quindi potenzialmente deliranti. Ma non è tutto.

Entrando nello specifico, le difficoltà di accesso al discorso probabilistico sono di due ordini concettuali tra loro correlati.

La difficoltà più grossa è atavica: si resiste a sospendere il principio di ragion sufficiente; non se vuol fare l’epoché, come suggeriva Husserl, perché è radicato nella civiltà occidentale sin dai tempi di Ippocrate grazie alle certezze operative che sembra offrire, soprattutto concernenti la cura dell’altro; da allora fino a Heidegger “la ragion d’essere”: Grund in senso epistemico, Ursache in senso ontologico, ha pesantemente determinato l’elucubrazione filosofica, polarizzandola  in senso ontologico.
La difficoltà è ancora maggiore per l’analista freudiano il quale, se ragiona nei termini metapsicologici di Freud, deve ammettere che ogni effetto psichico abbia una causa psichica, segnatamente una pulsione: o sessuale o di morte, rintracciabile storicamente nei suoi effetti. Il determinismo freudiano è ossessivo, nonché coatto; non fa posto a effetti psichici casuali, cioè senza causa. Se dici un numero a caso o se commetti un lapsus, Freud ti dimostra che dietro c’è una tipica causa edipica. (Non è esercizio difficile). La vita psichica freudiana non è la fontana di Trevi: non ha monetine. Quindi Freud non si aprì a considerazioni di probabilità, illuso com’era che lo stretto determinismo dell’avvenire psichico portasse sempre e comunque alla conoscenza certa, cioè a un effetto certo, determinato dalle cause iniziali. In generale questa convinzione è falsa; lo dimostrò Poincaré nel 1890 nella memoria sul moto di tre corpi tra loro interagenti in modo deterministico, secondo la legge di gravitazione universale: esistono orbite periodiche, quasi periodiche e… caotiche, cioè soluzioni di sistemi di equazioni differenziali non lineari, imprevedibili è impossibili da scrivere in termini finiti.[15] Mutatis mutandis, la stessa considerazione vale per il determinismo edipico, anch’esso a tre corpi e non meno caotico e imprevedibile di quello meccanico.

La seconda difficoltà è minore e più tecnica. Nel discorso psicoanalitico corrente, come in ogni dispositivo non scientifico, non la nozione di variabile non ha corso. In storia e in filosofia la diversità del reale si tratta in modo qualitativo, classificando forme diverse in specie e generi differenti (polimorfismo) ma rigidamente predeterminati.[16] Come la biologia predarwiniana, codificata da Linneo, essendo più vicina alla filosofia che alla scienza, era fissista, così anche la psicoanalisi lo è. Il freudismo non riconosce che la variabilità (la pluralità) è una condizione necessaria, benché da sola insufficiente, per pensare quantitativamente la diversità (anche quella qualitativa, a cominciare dalla diversità sessuale), quindi per trattare scientificamente la probabilità.

Anche la variabilità varia. Si va dalla variabilità minima, quella binaria di Testa o Croce, di maschio o femmina, di presenza o assenza, di vero o falso, in generale quella qualitativa di 1 o 0, alla massima variabilità quantitativa di variabili che assumono infiniti valori, numerabili o più che numerabili. I valori della variabile sono dei posti (in genetica si dicono loci) dove o collocare delle masse o localizzare delle densità, le quali non sono altro che delle probabilità, nella cui distribuzione si possono individuare un baricentro, una varianza o altri momenti o invarianti meccanici (meccanico, una parolaccia!), su cui basare previsioni.
L’ontologia della variabilità fu proposta 67 anni fa da Van Quine, che intendeva l’essere come “valore di una variabile vincolata”[17] dall’operatore logico esistenziale (esiste almeno un valore della variabile x tale che); in pratica, scientificamente parlando, essere è il valore di una funzione che applica una variabile su un’altra. In termini simil-heideggeriani la funzione ontologica determina l’esserci dell’essere, il Dasein, in un campo di variabilità – la Lichtung. Può questo accenno bastare all’analista per inaugurare un proprio discorso scientifico sull’inconscio o l’analisi ha ancora bisogno di stampelle metafisiche o metapsicologiche per sostenere il proprio discorso?


* * *

Passando dalla probabilità in psicoanalisi alla probabilità dello psicoanalista, propongo un calcolo approssimato ma rigoroso della probabilità che il dottor Sigmund Freud avesse un cancro im Mund, in bocca.

Premetto alcune ipotesi semplificatrici, giusto per poter fare il calcolo. Ipotizzo che Freud viva ai nostri giorni (nel 2015) in Italia, dove la popolazione residente è di circa 60.000.000. Al 2015 gli italiani portatori di tumore sono 3.100.000, quindi i sani sono circa 56.900.000. Applicando agli apparentemente sani un test diagnostico (grossolano) con il 5% di falsi negativi, i positivi veri e i falsi negativi sarebbero:

3.100.000 (veri malati) + 56.900.000 x 0.05 (falsi sani) =
3.100.000 + 2.845.000 = 5.945.000 (totali),

cioè poco meno del 10% (9,91%) della popolazione.
Conclusione: oggi in Italia Freud non avrebbe più del 10% circa di probabilità di avere un tumore; sarebbe troppo poco per intervenire chirurgicamente subito, ma abbastanza per giustificare accertamenti più accurati. Invece, da vecchio ipocondriaco,[18] Freud si precipitò a farsi macellare da Hajek e il suo entourage si convinse “edipicamente” senza difficoltà che il padre doveva morire di tumore maligno. Si chiama volontà di ignoranza, rispettivamente individuale e collettiva. Cosa non volevano sapere l’uno e gli altri?

La considerazione suggerita dal mio semplicissimo calcolo – una moltiplicazione e una somma – (per altro raffinabile applicando il teorema di Bayes) va oltre il suo valore prognostico; mette in luce quanto Freud & Company sistematicamente e radicalmente trascurassero il soggetto collettivo: i ben 3.100.000 portatori effettivi di tumore oltre agli eventuali 2.845.000, sfuggiti al test diagnostico (grossolano) su una popolazione di 60.000.000 di individui. Insomma, per Freud e per i freudiani gli altri – i milioni di altri – non esistevano. Erano psicoanalisti o narcisisti? Esistevano solo loro al mondo?
In realtà nella psicologia freudiana delle masse esiste solo il Führer a cui la massa si identifica. È una psicologia individualistica dove tuttavia l’individuo si cancella identificandosi al leader. Guarda per quali vie la psicologia influisce sul soma! Lo distrugge senza scomodare la pulsione di morte. Un prudente, anche approssimato calcolo delle probabilità avrebbe risparmiato al dottor Sigmund Freud tante inutili sofferenze. Avesse sfogliato il saggio di Laplace che aveva sullo scaffale!
 
 



[1] Sarebbe un tema di studio interessante stabilire quali furono le condizioni culturali propriamente matematiche che impedirono ai Greci di concepire la probabilità: l’assenza dello zero, l’assenza di una notazione numerica efficiente, l’assenza della nozione di variabile, la nozione di misura dipendente dall’esistenza dell’unità di misura, ecc.
[2] Sul tema v. I. Hacking, L’emergenza della probabilità. Ricerca filosofica sulle origini delle idee di probabilità, induzione e inferenza statistica (1975), trad. M. Piccone, Il Saggiatore, Milano 1987.
[3] Mi piace pensare a Darwin come precursore di questo postmodernismo.
[4] L’inconscio freudiano è impensabile in epoca prescientifica. La matematica moderna opera sistematicamente su congetture con modalità ignote alla matematica antica, per esempio alla geometria elementare di Euclide. Il classico Model Theory di C.C. Chang e H.J. Keisler (prima edizione 1973, terza edizione 2012) riporta in appendice ben 8 pagine di congetture in parte stabilite, in parte confutate, in parte tuttora aperte.
[5] Bachelier, Paris, 1840, VII, pp. 274.
[6] Se introdotta dal soggetto in un insieme di simboli, la legge deterministica che opera sui simboli si chiama algoritmo o procedura effettiva di calcolo.
[7] A. Vulpiani, Determinismo e caos, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994, p. 42. È l’occasione per fare chiarezza: meccanicismo non coincide con determinismo. Meccanicismo vuol dire esistenza tra componenti del sistema di simmetrie che possono essere anche probabilistiche.
[8] La concezione husserliana della scienza galileiana come idealizzazione del reale, proposta in Crisi delle scienze europee (1936), è un artefatto della fenomenologia, essa stessa idealistica. Nell’inganno cadde perfino Derrida.
[9] J. Lacan, “Note italienne” (1974), in Id., Autres écrits, Seuil, Paris 2001, p. 308. In realtà Lacan sapeva del sapere nel reale sin dai tempi del suo sofisma sul Tempo logico (1945).
[10] J.S. Bell, “Sul paradosso di Einstein-Podolski-Rosen” (1964), in Id., Dicibile e indicibile in meccanica quantistica, trad. G. Lorenzini, Adelphi, Milano 2010, p. 20.
[11] Il tema dell’interazione di tutto con tutto è una costante del pensiero olistico di Carlo Rovelli. “Le cose del mondo interagiscono in continuazione l’una con l’altra e nel fare ciò lo stato di ciascuna porta traccia dello stato delle altre con cui ha interagito”. C. Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi, Milano 2014, p. 75.
[12] Si vedano le pagine di D.W. Winnicott in Gioco e realtà (1971), trad. G. Adamo e R. Gaddini, Armando, Roma 1974, dove Winnicott scrive IO SONO ed ESSERE in lettere maiuscole (pp. 106, 108, 114). Si veda anche il capitolo Sulla sicurezza in D.W. Winnicott, La famiglia e lo sviluppo dell’individuo (1965), trad. C. Mazzantini, Armando, Roma 1968, p. 45. Winnicott mutuò l’interesse per la questione della sicurezza/insicurezza ontologica da R.D. Laing, L’Io diviso (1959), trad. D. Mezzacapa, Einaudi, Torino 1969, cap. III, p. 47.
[13] La prima ricorrenza di manque-à-être è in J. Lacan, “L’instance de la lettre dans l’inconscient ou la raison depuis Freud” (1957), in Id., Écrits, Seuil, Paris 1966, p. 522.
[14] “Car la conjecture n’est pas l’improbable – la stratégie peut l’ordonner en certitude”, in J. Lacan, “Situation de la psychanalyse et formation du psychanalyste en 1956” (1956), in Id., Écrits, Seuil, Paris 1966, p. 472.
[15] Si sa che nella prima versione di quella memoria Poincaré “dimenticò” proprio le orbite caotiche, compromettendo il premio conferitogli dall’Accademia svedese delle Scienze. La seconda versione comparve quasi due anni dopo il ritiro della prima; la stampa della seconda fu a spese di Poincaré, pari all’entità del premio.
[16] Nel rifiuto a concepire la variabilità, da analista freudiano vi leggo il rifiuto della sessualità. Se ci riproducessimo per via asessuata, per esempio per gemmazione saremmo molto poco variabili, in quanto agirebbe solo la variabilità prodotta dalla mutazione genetica, che è casuale e molto poco frequente.
[17] W.V. Quine, “Due dogmi dell’empirismo” (1951), in Id., Da un punto di vista logico. Saggi logico-filosofici (1961), a c. P. Valore, Cortina, Milano 2004, p. 29.
[18] Il medico è costituzionalmente ipocondriaco. La sua è l’ipocondria del corpo dell’altro.

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