FANTASMI NEL SÉ
Clinica del trauma e dei disturbi dissociativi
di AISTED - Associazione Italiana Studio Trauma e Dissociazione

PAZIENTI NELLA "LINEA DI MEZZO"

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2 ottobre, 2018 - 12:27
di AISTED - Associazione Italiana Studio Trauma e Dissociazione

di Dott.ssa Ilaria Vannucci, Psichiatra Psicoterapeuta, Dirigente medico Psichiatra ATS Sardegna ASSL Cagliari, Docente Scuola Psicoterapia Cognitiva ATC Cagliari

Il caso clinico descritto, e le riflessioni che seguiranno, hanno come spunto la storia di A., una paziente affetta da un grave Disturbo Traumatico dello Sviluppo (1) (2), esitato in gravissimo disordine psichico: gravi alterazioni dell’umore associate a dispercezioni di tipo cenestesico, visivo, uditivo, ideazione delirante di tipo persecutorio, poliabuso di sostanze.

A. vive nell’hinterland di un capoluogo di provincia, senza fissa dimora. Costantemente alterata nelle sue facolta’ mentali per l’uso abituale di stupefacenti è solita prostituirsi nelle strade e nelle piazze del comune nel quale vive. E’ vittima di malintenzionati che, approfittando del suo malessere psichico, la filmano mentre si inserisce, o le inseriscono, oggetti in vagina. I video sono poi diffusi sulla rete.
Nella biografia della paziente un nucleo multiproblematico: madre affetta da grave patologia psichiatrica, padre etilista, violento con la moglie e i figli. All’età d circa otto anni viene data in affidamento ed allontanata dal nucleo familiare. In quei primi otto anni di vita, prima che intervengano i servizi sociali con l’allontanamento, purtroppo ha gia’ subito abusi e maltrattamenti fisici, psicologici e sessuali.

Durante il periodo di affidamento, nel quale mantiene i contatti con la famiglia d’origine, A. riprende gli studi e giunge al diploma, che consegue con buon profitto. Il desiderio di ricongiungersi alla famiglia biologica è però fortissimo e alla maggiore età rientra nella casa dei genitori, nella quale permangono condizioni di grave multiproblematicita’.
In questo contesto di vita A. si lega ad un uomo molto più grande di lei che sfrutta la sua prostituzione per trarne profitto. Durante questo periodo avra’ quattro figli, dati immediatamente in adozione subito dopo la nascita, su indicazione del Tribunale per i Minorenni.
La paziente entra in contatto la prima volta con il servizio di salute mentale in occasione della quinta gravidanza, su invio dei servizi sociali. L’obiettivo è quello di offrire ad A. l’opportunita’ di avviare un percorso di cura e di sostegno alla genitorialita’, dal momento che è ben determinata a portare avanti anche questa nuova gravidanza.
A. all’epoca ventiseienne, sembra accettare il cambiamento di vita proposto. La presa in carico è ambivalente. A. non accetta di essere considerata una paziente psichiatrica, rifiuta di assumere farmaci, accetta un supporto psicologico e colloqui di sostegno con la psichiatra. Il decorso della gravidanza è regolare fino al momento del parto, che necessariamente deve avvenire con taglio cesareo come i quattro precedenti. I colloqui di supporto fanno emergere la consapevolezza e la volonta’ della paziente di provvedere alla chiusura delle tube per evitare nuove gravidanze che potrebbero esporla a complicanze ostetriche fatali.
Una volta iniziate le doglie A. si reca spontaneamente in ospedale ma al momento del ricovero, nell’imminenza del parto, scappa. Sostiene di avere “solo mal di pancia”.
Si rende necessario un trattamento sanitario obbligatorio: la paziente partorisce in regime di ricovero coatto e il giudice tutelare dispone che vengano compiuti solo gli atti necessari all’espletamento del parto. La volonta’ della paziente e il parere degli psichiatri nulla possono rispetto alla decisione del Giudice Tutelare. A. rimarra’ con le tube pervie ed in grado di procreare in maniera incontrollata.

Alla nascita il bambino è affidato ai servizi sociali. A. chiede di essere aiutata nel suo ruolo di madre e il Centro di Salute Mentale si fa portavoce di tale richiesta, affiancando la paziente in un progetto di supporto alla genitorialita’. Madre e bambino sono inseriti in una comunita’ terapeutica per madri con minori. Durante il periodo di permanenza in comunita’ A. non accetta di assumere terapia farmacologica, instaura rapporti molto conflittuali con le operatrici della comunita’, costruisce un rapporto simbiotico con il figlio. Inevitabilmente va incontro ad un progressivo aggravamento della sintomatologia psichiatrica fino ad arrivare, a dieci mesi dall’inserimento in comunita’, a barricarsi nella stanza con il figlioletto: ha paura di essere uccisa da qualcuno che lei ritiene in grado di perseguitarla anche passando attraverso i muri.
A. subisce ancora un ricovero coatto. Il bimbo viene dato immediatamente in adozione.
Da quel momento in poi la paziente non è piu’ accessibile ad alcun tipo di trattamento. Si allontana dal centro di salute mentale e inizia a fare uso massivo di sostanze alcoliche e stupefacenti.
Talvolta si reca presso il Servizio psichiatrico di Diagnosi e Cura, nel quale ha stabilito un legame di fiducia con un’operatrice per poter essere aiutata ad interrompere nuove, e numerose, gravidanze indesiderate. Dopo ogni interruzione volontaria di gravidanza si allontana dai servizi della salute mentale e riprende la sua vita sempre più deviante e ai margini della societa’.
Il suo dolore esistenziale la porta ad essere aggressiva nei confronti degli operatori dei sevizi sociali, colpevoli di averle portato via i figli. Il suo comportamento disorganizzato la conduce a trascorrere le giornate ubriaca nei giardini pubblici del paese nel quale risiede, prostituendosi in pieno giorno ed arrivando ad eliminare i prodotti del concepimento per strada, in un crescendo di inaiutabilita’ che sembra non avere fine.
Due anni fa, durante l’ennesimo ricovero coatto, il centro di salute mentale, nonostante il sommarsi della patologia d’abuso richieda il coinvolgimento del Servizio per le Tossicodipendenze, nel tentativo di arginare la gravita’ del quadro clinico, avvia la richiesta di attivazione dell’istituto di Amministrazione di Sostegno. Il Giudice Tutelare la attiva in maniera provvisoria. Per un anno l’amministratore di sostegno cerchera’, senza riuscirci, di avvicinare la paziente. Il Giudice Tutelare convochera’ per due volte in udienza i servizi della salute mentale, delle tossicodipendenze e l’amministratore di sostegno, senza poter mettere in atto alcunche’ per far aderire la paziente ad un percorso di cura. Al termine di un infruttuosissimo anno l’attivazione provvisoria dell’amministrazione di sostegno e’ revocata; di fatto è uno strumento legislativo inutile per gestire la complessa situazione nella quale la paziente si trova.

Seguono ancora anni di deriva sociale, di ubriachezza e devianza, punteggiate da ricoveri in trattamento sanitario obbligatorio, seguiti dal dileguarsi della paziente una volta dimessa dal reparto ospedaliero. I servizi sociali del comune e della salute mentale, nel tentativo di intercettare il percorso distruttivo di A. segnalano il caso alla Procura della Repubblica ma la paziente è incensurata e a suo carico non risultano reati o querele di alcun genere. A., nonostante tutte le strategie messe in campo dai servizi, continua a percorrere la sua vita di sofferenza e marginalita’ sociale.
Un fatto di cronaca recente, l’immagine di un’altra giovane donna ugualmente sofferente mentale, immortalata sui giornali locali mentre, accovacciata, sembra dormire sotto lo spartitraffico di una strada statale, richiama alla mia mente il ricordo della dolorosa traiettoria di vita di A.

L’ immagine stessa è per me inquietante metafora di una tipologia di pazienti sospesi in una sottile e pericolosissima linea di mezzo, che le istituzioni, con le loro procedure e i vincoli giuridici, non sono in grado di raggiungere.
La patologia di A., come quella di moltissimi altri individui che hanno sviluppato, a seguito di severi traumi d’abuso infantili, un quadro clinico complesso caratterizzato da una grave psicopatologia, poliabuso di sostanze, disturbo di personalita’ antisociale e, soprattutto, completa inconsapevolezza di malattia e rifiuto alle cure, delinea i limiti e il fallimento delle politiche sociali, sanitarie e giuridiche nell’ambito della salute mentale e delle dipendenze per questa tipologia di pazienti.
Gli strumenti attuali in possesso degli operatori della salute mentale in termini di coercizione alle cure, in soggetti non autori di reato, sono regolati dalla Legge 833/78 art.33 comma 3, art. 34 comma 4, e si basano sulla possibilità di attivare un percorso di cura coattivo ospedaliero della durata di sette giorni, eventualmente rinnovabili (3). In tale direzione si muovono anche gli articoli 51 c.p. “Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere” e 54 c.p. “Stato di necessita’”, che rendono possibile, in caso di urgenza delle cure, l’intervento coercitivo sanitario in collaborazione con le forze dell’ordine, anche in assenza dell’ordinanza del sindaco di Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Nell’ottica del legislatore evidente il tentativo di recuperare il consenso alle cure nell’arco di un tempo variabile durante il periodo di ricovero.

Il caso esposto riassume i limiti della legislazione vigente. Un’ampia fascia di popolazione affetta da disturbi mentali e abuso di sostanze non è assolutamente in grado di recuperare il consenso alle cure neppure in un ricovero ospedaliero della durata di alcuni mesi.
Ne’, d’altronde, la stessa tipologia di pazienti potrebbe usufruire, in ambito ospedaliero, di percorsi terapeutici e riabilitativi adeguati alla gravita’ clinica che il disturbo traumatico dello sviluppo, e le sue devastanti ripercussioni nella qualita’ di vita adulta, richiedono.
Paradossalmente allo stato attuale l’unica via percorribile per questi soggetti è arrivare a compiere reati per i quali siano costretti a scontare una pena. Solo in un regime di misure restrittive infatti è possibile per i servizi costruire un
percorso di cura coattivo, prolungato nel tempo, in contesti terapeutici altrimenti inacessibili per questa fascia d’utenza, altamente problematica.
Le criticita’ intrinseche ai limiti legislativi in soggetti affetti da patologia psichiatrica in comorbidita’ con abuso di sostanze e non consenzienti al trattamento è stata recentemente segnalata anche dal Prof. Paolo Cendon, giurista e “padre” della legge sull’amministrazione di sostegno (4). L’evento drammatico che ha riaperto il dibattito sul diritto negato alla cura è stata la morte della giovane Pamela, smembrata a soli diciotto anni per essersi allontanata dopo due giorni dalla comunita’ terapeutica nella quale avrebbe dovuto fare un percorso riabilitativo. Riprendendo i fili di quella giovanissima vita spezzata il Prof. Cendon invita alla riflessione sulla necessita’, per alcune tipologie di pazienti, di un periodo di cura coattivo prolungato in idonee strutture di cura e riabilitative.

Anche il caso di A., con il suo carico di sofferenza e deriva sociale, racconta, malgrado gli sforzi dei servizi coinvolti, un diritto alla cura negato. Per quanto innovativa nei contenuti e rivoluzionaria, la riforma basagliana sulla salute mentale manifesta oggi i limiti dei suoi quarant’anni, realisticamente anacronistici in una societa’ troppo differente per costumi e forme di sofferenza mentale da quella che diede origine alla riforma psichiatrica del 1978.
Queste realta’ psicopatologiche contemporanee richiedono nuova consapevolezza e capacita’ di cogliere e guidare i cambiamenti nella prevenzione e nella cura dei disturbi psichici (5), soprattutto se in comorbidita’ con abuso di sostanze.
Per fare questo occorre che, accanto all’innovazione teorica e terapeutica di tipo sanitario, sia rinnovata anche la parte legislativa. Con termini chiari, e con tutte le tutele e le garanzie che la delicatezza dell’argomento “coercizione alle cure” richiede, occorrono leggi che si pronuncino con nuovi percorsi di diritto alla cura, tali da garantire l’accesso a cure tempestive ed adeguate anche in coloro che oggi si trovano, incolpevoli, “nella linea di mezzo”.

BIBLIOGRAFIA
1) B. van der Kolk, «Developmental Trauma Disorder: Toward a rational diagnosis for children with complex trauma histories» Psychiatric Annals, vol. 35, n. 5, pp. 401–408, 2005.
2) G. Einaudi: La diagnosi del Disturbo Traumatico dello sviluppo: uno strumento nel lavoro di rete http://www.psychiatryonline.it/node/7440
3) Legge 13 maggio 1978, n. 180 " Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”. Gazzetta Ufficiale 16 maggio 1978, n. 133.
4) Paolo Cendon: I diritti dei più fragili. Storie per curare e riparare i danni esistenziali. Rizzoli, 2018 5) R. A. Lanius, E. Vermetten e C. Pain, Eds., L'impatto del trauma infantile sulla salute e sulla malattia: l'epidemia nascosta, Roma: Giovanni Fioriti Editore, 2012.

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