LESSICO AMOROSO, RECALCATI E LA PSICOANALISI IN TV. Dialogo con Sarantis Thanopulos

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19 febbraio, 2019 - 12:28

PSYCHIATRY ON LINE ITALIA:  La prima domanda riguarda la possibilità e l’importanza di fare divulgazione psicoanalitica attraverso mezzi di comunicazione di massa. Vi sono esempi famosi nel passato come la pluriennale serie  radiofonica di Winnicott per la BBC. Come dovrebbe essere fatta per te una buona divulgazione in psicoanalisi? Come deve svolgere un ruolo di tal fatta uno psicoanalista anche tenendo conto dei suoi pazienti che sicuramente lo vedono?
 
SARANTIS THANOPULOS: Usare i mezzi di comunicazione di massa per diffondere la cultura e il sapere è cosa giusta e necessaria.  Winnicott ha fatto un uso della BBC radio esemplare. Coniugando divulgazione e informazione di alto livello, con uno stile che metteva accuratamente se stesso come persona sullo sfondo. Ha adoperato  un linguaggio insieme chiaro e rigoroso.
Penso che lo psicoanalista che è presente nel campo dei mezzi di informazione/comunicazione deve essere particolarmente attento a non cadere nella seduzione, nella predicazione e nella retorica. Inoltre, la modalità della rubrica, dell’intervista, della conversazione, del dialogo, del confronto con altri punti di vista e saperi, è più adatta della “lezione” al discorso psicoanalitico, per sua natura restio all’indottrinamento.
Il mio personale modo di gestire gli interventi “pubblici” - certo facilitato dal fatto che collaboro con il Manifesto, già di per sé un giornale molto attento alla riflessione - è quello di parlare per ogni argomento di cui mi occupo come se, in qualche modo, lo affrontassi per la prima volta. Dando loro, per come mi riesce, una forma sperimentale, insatura, con l’ambizione di facilitare la dislocazione dello sguardo.
Tutto sommato sostituirei la divulgazione con un’informazione che cerca di costruire con forme semplici e solide la complessità, che non illude i suoi interlocutori di poter comprendere ciò che leggono, ascoltano senza alcun sforzo e impegno da parte loro. Come diceva Marx nella prefazione dell’edizione francese del Capitale (1872): “Non c’è via maestra alla scienza”. Possono, affermava, raggiungerne le sue “vette luminose” coloro che non temono la salita faticosa dei suoi ripidi sentieri.
Lo psicoanalista, come chiunque si dedica al sapere, deve dischiudere prospettive insolite, incuriosire, “pungere”, incoraggiare a ascoltare, leggere, sedimentare i propri desideri e sentimenti, riflettere. Mai offrire cibo precotto.
Se segue questa strada, se non resta impigliato, e stritolato, nella logica dello spettacolo, allora i suoi pazienti lo possono valutare  in sintonia con come già lo conoscono, cioè come persona mediamente, umanamente, appassionata e viva, dotata di conoscenze e di un modo suo di pensare e di sentire, che non vuole imporre a nessuno, e di cui, proprio per questo, possono fare l’uso che vogliono. Non fanno l’analisi con un automa.


 
PSYCHIATRY ON LINE ITALIA: La seconda domanda riguarda più specificatamente la trasmissione di Recalcati su RAI 3: che tipo di divulgazione, se di divulgazione si tratta, fa Massimo Recalcati? Che psicoanalisi propone nei suoi monologhi molto ben confezionati? A chi si rivolge? Come direbbero i narratologi russi: chi è il suo UR-ASCOLTATORE?
 
SARANTIS THANOPULOS: Ho guardato le prime puntate con una certa attenzione. Volevo capire qualcosa di più sulla natura di questo dispositivo che già mi appariva totalmente  incongruo per la psicoanalisi nel “lessico familiare”.  Massimo Recalcati usa la forma del monologo. Le domande di rito che vengono rivolte dai suoi seguaci sottolineano questo aspetto. La messa in scena è tutta centrata su di lui. L’uso delle luci, del chiaroscuro più precisamente, e di uno sgabello alto, “rubato” a Pizia, lo presenta come profeta. Ma c’è anche una chiara allusione alle foto delle star della Hollywood dell’epoca d’oro. L’uso di spezzoni di film mira al sentimento facile che fa contrasto con certe espressioni linguistiche complicate.
Questo doppio livello della messa in scena, da una parte appiattisce il pensiero su schemi elementari, di largo consumo, e, dall’altra, facilita l’aspettativa di un’iniziazione ai segreti della conoscenza. Insomma ciò che va in onda è lo spettacolo della conoscenza come svelamento di un  ovvio travestito da mistero. Non penso che questo sia stato studiato a tavolino. Credo che dispositivo televisivo e pubblico siano catturati, da un po’ di tempo e per graduali adattamenti reciproci, in uno specchiarsi narcisistico in cui per uno spettatore che si sveglia e se ne va, c’è almeno un altro che ne prende il posto. Massimo Recalcati nuota come un pesce in queste acque, avrà il suo tornaconto.
 
 
PSYCHIATRY ON LINE ITALIA: Nel tuo contributo pubblicato sulla Rivista parli di “populismo”, io propendo più verso un buonismo rassicurante dove il dolore e il conflitto restano sullo sfondo. Cosa ne pensi?
 


SARANTIS THANOPULOS: Il populismo, in sintesi, trasforma il popolo dei cittadini, della società civile, dei legami solidali, delle differenze dialoganti in massa di individui isolati, non comunicanti che agiscono secondo assunti emotivi e schemi mentali elementari. Opera nel campo dei grandi numeri, slegando tra di loro gli spazi di “conversazione”, la moltitudine di espressioni culturali originali comunicanti tra di loro attraverso le mediazioni necessarie (che garantiscono la sedimentazione e lo sviluppo critico dei sentimenti e dei pensieri) e non tramite reti unificanti e globalizzanti, passivizzanti. Secondo Arendt (Vita activa 1958) più si ha a che fare con grandi numeri di persone, tanto più probabili sono l’adeguamento al modo di fare di tutti e il rigetto del non conformismo.
Il “buonismo” di cui parli è un’ipocrisia sociale che effettivamente aborre il dolore e il conflitto e di conseguenza ci allontana dal vivere vero. È una forma di anestesia che non fa parte del populismo, ma lo anticipa certamente, la sua diffusione  è un segnale infallibile del suo avvento. Del populismo fa parte il “politically correct”. La democrazia, il potere sovrano del popolo dei cittadini (demos), è fatta di scambi paritari tra individui che sono differenti, non sono uguali. Il principio democratico per eccellenza, che il populismo avversa, è la parità tra non uguali, che personalmente preferisco definire come parità tra soggetti desideranti, diversi per capacità, risorse, inclinazioni. Il “politically correct” tende a trasformare la parità tra diversi in uguaglianza tra non pari. È una forza omogeneizzante, conformante che promuove una parità falsa, nominale,  in cui i diseredati vengono formalmente equiparati a sé dai privilegiati, solo per restare ancora più soli e abbandonati.
Penso che promuovere, per esempio, l’idea che la sapienza passa, secondo il principio dei vasi comunicanti, da chi n’è é più pieno a chi n’è più vuoto, sia un’espressione, sempre più diffusa, del tipo di inganno di cui è capace il “politically correct”. I populisti culturali creano l’impressione che si può diventare colti, sapienti, per pura trasmissione di pensieri preconfezionati. Nel fare questo abbandonano la propria capacità di pensare, perché evitano il contraddittorio, il rischio di essere incompresi, l’incomprensione stessa come premessa di una comprensione reale,  e l’incertezza. Finiscono per essere uguali con i propri “allievi”, pensatori senza pensiero ugualmente inconsapevoli di essere ignoranti, ma non sono con essi pari. Sono loro a detenere il potere e dettarne le regole.
I populisti sono ovviamente “populizzati”: diventano vittime, non padroni del movimento regressivo, di distruzione dei legami politici e culturali che promuovono. Essere padroni del destino dei propri “fidelizzati”, non significa affatto essere padroni (relativi) di sé. Il processo di fidelizzazione, fidelizza il fidelizzatore.
Il populismo non crea la crisi della società politica/civile, anche se la aggrava e ne avvia la dissoluzione. Ne è il prodotto, più precisamente una difesa che si costituisce come cura impropria e potenzialmente mortale. Si sa che il trauma nella sua forma permanente è “iatrogeno”: sta nella soluzione (oggetto di “coazione a ripetere”) di contrazione, compressione, ischemizzazione psichica con cui si affronta un’esperienza di grave destabilizzazione psicocorporea e il pericolo (desiderio) che possa ritornare.
Del populismo nessuno di noi può considerarsi immune. Esso ti afferra e non è facilmente afferrabile. Lo puoi afferrare e smascherare, sanando il proprio modo di pensare, solo nelle sue incarnazioni. Il populismo incarnato fa di una persona, un “personaggio”. Criticare il personaggio non è un attacco personale (colpire qualcuno nella sua vita privata o nei suoi sentimenti). È un modo di combattere il processo di spersonalizzazione delle idee a cui sempre di più stiamo assistendo -anche per la rinuncia, supposta saggezza/correttezza, a contraddire le idee che non ci convincono, mettendoci la faccia. Quindi accettando di essere, a nostra volta, oggetto di critica.   
 
PSYCHIATRY ON LINE ITALIA: Le reazioni alle recensioni della trasmissione su Psychiatry on line Italia sono state spesso “da curva sud” con diverse persone certamente in buona fede che hanno urlato alla “lesa maestà”, come ti spieghi tale fenomeno?
 
SARANTIS THANOPULOS: Ho letto la recensione di Annalisa Piergallini e il suo dialogo con Rossella Valdrè e ho trovato le cose che dicono non solo sacrosante, ma anche garbate. Davvero non giustificano commenti da stadio, ammesso che ciò sia mai giustificato. La psicoanalisi e, più un generale, la cultura, non sono il corrispettivo delle squadre di calcio, chi si comporta da tifoso ha sbagliato posto. Gli interventi scomposti nascono dall’oscura percezione di essere in un posizione illegittima, dettata dall’adesione a slogan esistenziali.
Quanto alle reazioni in difesa della “lesa maestà”, saranno fatte pure in “buona fede, ma sono manifestazioni di fideismo. Nulla è più estraneo alla psicoanalisi che la fede ad essa. La psicoanalisi deve essere affidabile, degna di fiducia a ragion veduta. Chi segue la strada della fede, smarrendo il pensiero critico, difende l’oggetto narcisistico con cui si identifica, ma anche lo schema mentale, illusoriamente rassicurante, a cui si è affilato, assoggettato. Un giorno ci si sveglia, ma è spesso è un po’ tardi.
 
PSYCHIATRY ON LINE ITALIA: Recalcati è un ottimo imprenditore di sé stesso visto il successo che hanno i suoi libri presso il grande pubblico ma al tempo stesso non sembra disponibile ad un confronto con colleghi sulle sue tesi. Che ne pensi? Come te lo spieghi?
 
SARANTIS THANOPULOS: Sai, la logica dell’imprenditore è autoreferenziale. Per definizione. Ci sono ovviamente imprenditori senza scrupoli e imprenditori più attenti alle regole della convivenza civile e all’interesse comune. Ma alla fine è alla logica dell’affermazione della loro azienda a cui devono pensare.
Tra l’essere proprietari di un’azienda ed essere imprenditori di sé, c’è, nondimeno, una differenza. Nel primo caso c’è una produttività, che segue un logica di profitto, certo, ma crea qualcosa di utile, un oggetto d’uso. Nel secondo caso, si produce solo successo sociale, economico, potere culturale o politico per se stessi. Il grado di autoreferenzialità aumenta di molto.
Quindi o si è imprenditori di sé o ci si confronta con gli altri. Si tratta di due scelte incompatibili l’una con l’altra. Va da sé che fuori dal confronto con gli altri non si crea conoscenza. Indubbiamente ognuno di noi fa le sue scelte di vita. Ma quando ciò ha un impatto sulla vita degli altri, quando produce, sia pure in modo preterintenzionale, confusione, conformismo intellettuale, è doveroso criticarlo.
In ogni caso l’essere imprenditori di sé e la psicoanalisi non vanno d’accordo, non credi?
 
PSYCHIATRY ON LINE ITALIA: Il comico Maurizio Crozza ha annunciato in un trailer ampiamente diffuso in rete che uno dei personaggi imitati nella nuova stagione della sua trasmissione sarà Massimo Recalcati. Nel farlo ha proposto un assaggio, un abbozzo di ciò che farà e ha coniato un termine molto tranchant : “PSICOBANALISI” che ne pensi? Ti pare azzeccato nella sua voluta e ovvia ironia?
 
SARANTIS THANOPULOS: La satira deve destabilizzare ogni forma di conformismo culturale e di potere politico. Creare un ridere che è dissacrazione, smitizzazione, il modo più efficace per far vedere che è il Re è nudo. Ognuno di noi può essere esposto alla satira. La satira può essere riuscita o mancare il bersaglio. Questo non lo può decidere chi la subisce, né chi la fa. Tuttavia, quando qualcuno ci prende di mira in modo satirico, non necessariamente sul piano del grande pubblico, dobbiamo chiederci se non abbiamo perso il senso della misura. Se restiamo capaci di ridere (di noi stessi) significa che non tutto è perduto, usciamo dal territorio estremamente scivoloso della possibile hubris e godiamo di un sentimento liberatorio.
PsicoBanalisi è un termine efficace perché non parla soltanto di psicoanalisi, ma anche di analisi. In effetti le analisi impressionistiche del “lessico amoroso” peccano di banalità. Massimo Recalcati è un conoscitore niente affatto banale della psicoanalisi lacaniana di impronta milleriana. Come lo è Antonio di Ciaccia, più rigoroso a mio avviso, ma non sono un’analista lacaniano, la mia è solo un’impressione personale.
Più in generale, apprezzo Lacan come teorico dell’alienazione, penso, tuttavia, che in lui sia difficile distinguerla dalla non alienazione. Questo tende a chiudere, ai miei occhi, la sua dottrina nelle proprie affermazioni.  Nel suo discorso manca la pre-significazione soggettiva del linguaggio, manca un’attenzione adeguata al gesto. Questa difficoltà si riflette sulla sua teoria del desiderio e del godimento. Detto questo è chiaro che quanto dico fa parte di un dibattito scientifico, in cui la tensione tra idee differenti è necessaria.
Ora Recalcati ha scritto su Lacan, sull’anoressia, sul padre libri interessanti. Non condivido la sua posizione sull’uomo senza inconscio (penso che sia incompatibile con la vita), né sulla centralità che attribuisce al padre (in modo positivo o negativo), peraltro sulla scia di Freud e Lacan, ma trovo I suoi punti di vista degni di un confronto di idee tra psicoanalisti e non solo. Tuttavia, quando esce dal perimetro di ciò che è il suo specifico (la buona conoscenza e divulgazione di Lacan letto da Alain Miller) e si avventura in territori in cui ha deciso di vedersela da solo, le cose che dice lasciano molto a desiderare, sono effettivamente banali. Non è però un caso che proprio in questo campo ha costruito, o si è lasciato costruire, come personaggio populista di grande successo. Non credo che questo giovi alla sua reputazione di psicoanalista e men che mai alla psicoanalisi. I suoi followers della psicoanalisi non se ne importano niente o ne hanno un’immagine molto deformata e semplicistica.

PSYCHIATRY ON LINE ITALIA: Quando si esprimono critiche ad un personaggio di successo può sorgere il dubbio che uno dei moventi possa essere l'invidia nei confronti di tale successo. Quale è la tua posizione?

SARANTIS THANOPULOS: Si ha invidia di una qualità che si desidera possedere. Il sentimento di invidia può essere uno strumento per leggere meglio i propri desideri e aspirazioni e anche la forza propulsiva di una sana identificazione. Le invidie incrociate dei due sessi che li spingono alla reciproca identificazione rendono abitabile il mondo.

Avere invidia dell’analista “più conosciuto di Italia”, so benissimo che Recalcati liquida in questo modo ogni critica che gli è rivolta, come è accaduto anche per l'articolo di Aldo Grasso sul Corriere della Sera, è un non senso per me e penso per chiunque abbia l’aspirazione a svolgere bene il suo lavoro e sviluppare liberamente un pensiero critico, temendo un eccesso di popolarità. Questo eccesso, soprattutto se è di origine mediatica, cioè costruito secondo regole di compiacenza delle mode correnti, nuoce alla salute, snatura i propri sentimenti e il proprio pensiero. Nella misura in cui la popolarità è espressione di un populismo strisciante può essere oggetto di analisi critica. Chi ne è oggetto può ignorarla, perché non la considera degna di attenzione o ribattere dimostrando la sua fallacia.

Attribuirla all’invidia è un giudizio sulle motivazioni dell’altro, non sul contenuto di ciò che egli ha detto. Una reazione umana, ma anche un modo di evitare il confronto con se stessi.  

Una cosa sia chiara: nel passato ho criticato Recalcati su Telemaco, il perdono e il padre. Critiche che riguardavano idee da lui espresse. Questo tempo è passato. Oggi io critico un fenomeno culturale molto insidioso. Che Recalcati sia diventato ingranaggio e promotore di questo fenomeno che non produce idee non è un problema mio. Questa critica, a tipi di personaggi creati dalla collettività come segno dei tempi, l’ho rivolta nel passato a Berlusconi, a Renzi, a Giuliano Ferrara e, recentemente, più volte, a Salvini. Sarà stato per invidia, certo, ma, in tutta onestà, io non avevo e non ho, nulla contro di loro come persone.




 

 
 

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WINNICOTT BBC TAPES: le conversazioni alla Radio di un Maestro della Psicoanalisi.
IMPERDIBILI
Segui il link:
http://www.oxfordclinicalpsych.com/page/608/the-ordinary-devoted-mother-...

A PROPOSITO DI "LESSICO AMOROSO" DI MASSIMO RECALCATI SU RAI3 di Annalisa Piergallini
http://www.psychiatryonline.it/node/7843

L'intervista di Thanopulos è largamente condivisibile e concordo su molti dei punti sollevati rispetto alla divulgazione psicoanalitica che deve essere doverosa, semplice e rigorosa. Molto apprezzabile e pertinente è anche il richiamo a Winnicott, alla sua capacità di esprimere concetti complessi, sooprattutto per quanto riguarda il rapporto madre bambino nei primi mesi di vita, con un linguaggio semplice e comprensibile, e le sue conversazioni radiofoniche rivolte a tutti, con la stessa semplicità senza però mai scadere nella banalità.
Quello che invece mi appare meno chiaro, e su cui vorrei invitare Thanopulos, se lo ritiene, ad argomentare un po' più estesamente, è il senso della sua obiezione a Lacan: "Più in generale, apprezzo Lacan come teorico dell’alienazione, penso, tuttavia, che in lui sia difficile distinguerla dalla non alienazione. Questo tende a chiudere, ai miei occhi, la sua dottrina nelle proprie affermazioni. Nel suo discorso manca la pre-significazione soggettiva del linguaggio, manca un’attenzione adeguata al gesto. Questa difficoltà si riflette sulla sua teoria del desiderio e del godimento." In particolare -premesso che quello di Lacan è più correttamente un insegnamento e non una dottrina, come, mi sembra, teneva egli stesso a precisare- mi piacerebbe capire cosa intende Thanopulos quando dice che in Lacan gli sembra sia "difficile distinguere [l'alienazione] dalla non alienazione" o quando afferma che nel discorso di Lacan "manca la pre-significazione soggettiva del linguaggio", cosa intende cioè per "pre-significazione soggettiva del linguaggio", e in che modo poi queste "lacune" che egli ravvisa nel discorso di Lacan ricadrebbero, come dice, sulla "sua teoria del desiderio e del godimento". Grazie in anticipo per la risposta.

Caro Errico
La mia intenzione era quella di dire che una posizione critica nei confronti di un pensiero, non implica un conflitto insanabile, bensì una fruttuosa tensione. Questo per dire che la mia critica del “lessico amoroso “ non riguardava le posizioni lacaniane di Massimo Recalcati, caso mai il loro uso, ma, invece, un non pensiero mediatico di cui lui è diventato espressione, incarnazione. Nella misura in cui il suo modo di fare contribuisce a desertificate gli spazi di confronto va criticato.
Per quanto riguarda Lacan mi/ti prometto di scriverne più dettagliatamente su Psychiatry on Line, al momento mi sono limitato a enunciate i punti principali delle mie riserve. Posso solo anticipare molto schematicamente poche cose , senza alcuna pretesa di dimostrare alcunché.
È vero che subiamo l’azione ortopedica, alienante della nostra immagine sullo specchio, ma il nostro destino sarebbe quello di un’eterna alienazione senza via d’uscita, senza una presignificazione soggettiva di questa immagine. Parlo dell’esperienza soggettiva non integrata, che precede il suo inquadramento oggettivo, un movimento vitale, sperimentale, aperto alla vita, mai destinate a integrarsi, compiersi in modo saturo, definitivo. In questo campo il senso eccede la sua significazione mediante significanti. La pre-dignificazione soggettiva, che eccede i significanti linguistici per tutta la durata della nostra vita, è fondata sul gesto creativo: il gesto che resta aperto, in movimento anche quando è stato compiuto.
In tutta la nostra vita oscilliamo tra uno stato non integrato dell’esistenza e uno stato integrato, strutturato dalle parole (la langue). Senza questa oscillazione vivremmo sdraiati sul letto di Procruste.
Riguardo il desiderio, vederlo come metonimia della mancanza a essere mi fa pensare alla fuga maniacale. Ne “Il desiderio che ama il lutto” e “Desiderio e legge”, nonché in un mio libro di prossima uscita “La città e le sue emozioni” chiarisco il mio modo, aperto alla critica, di pensare il desiderio. In sintesi, penso che il desiderio non è alla ricerca perpetua di oggetti, ma di differenze. La sua apertura alle differenze lo porta alla sublimazione: all’estensione della sensualità al di là della contiguità sensoriale dei corpi. Così si può arrivare a godere perfino del proprio desiderare, ma questo non è mai dissociato dal rapporto sessuale, dall’incontro carnale tra gli amanti.
Bisogna tenere presente la differenza tra simbolo e il fantasma. Il primo mantiene la nostra esperienza radicata nel corpo , il secondo la disincarna. Stare attenti alla disincarnazione dell’esperienza, evitare di pensare l’amore erotico come incontto te a anime e sguardi (lo sguardo sradicato dal corpo è cieco), evitare di sottomettere la vita all’idea, penso sia molto importante.
Detto questo, appicchi la metonimia della mancanza a essere e il godimento maligno alla perversione del desiderio (alla sua trasformazione in bisogno, in dinamica di tensione e scarica) e tutto torna a quadrare. Qui lo sguardo di Lacan è importante.

Caro Thanopulos,
ti ringrazio per la tua sollecita e dettagliata risposta.
Premetto che avevo ben compreso che la tua fosse una considerazione critica, non della posizione di Recalcati nei confronti di Lacan, ma semmai di come egli ne ha ultimamente divulgato mediaticamente il pensiero e l'insegnamento. Ho premesso infatti, nella mia nota, di aver ampiamente condiviso le tue osservazioni in merito alla divulgazione psicoanalitica.
Ho voluto soltanto chiederti dei chiarimenti su quel tuo passaggio in cui tiri più direttamente in ballo alcuni importanti aspetti del discorso di Lacan per metterli in discussione, cosa peraltro assolutamente legittima.
Io non sono un lacaniano di stretta osservanza, né uno studioso approfondito del suo testo, né tantomeno un suo esegeta, ma, per quello che del suo discorso ho letto, approfondito e che mi è sembrato di capire, non credo che Lacan intendesse l'alienazione del soggetto come mi pare la intendi tu, vale a dire come una condizione per cui "il nostro destino sarebbe quello di un’eterna alienazione senza via d’uscita, senza una presignificazione soggettiva di questa immagine". L'alienazione di cui parla Lacan, e alla quale tu fai riferimento, quella cioè dovuta all'"azione ortopedica, alienante della nostra immagine sullo specchio", riguarda essenzialmente l'Io, che si struttura infatti attraverso l'immagine che gli viene rimandata, ortopedizzate come tu giustamente ricordi, dall'esterno, soprattutto appunto durante la famosa fase dello Specchio. L'Io è pertanto una costruzione immaginaria frutto delle identificazioni successive e che lo alienano dal soggetto vero e proprio che rimane come dimenticato sotto le stratificazioni immaginarie, ma non dissolto. Anzi è proprio a questa condizione di disorganizzazione primaria che l'essere umano tende a ritornare e a rifuggire al tempo stesso, distinguendo Laca, come sappiamo, il "moi" dal "je", l'Io dal soggetto. Inoltre il soggetto, in quanto raggiunto dalla parola dell'Altro, è anche qui alienato (noi siamo sempre nel luogo dell'Altro, e il desiderio umano è il desiderio dell'Altro), ma sai bene che non si tratta di alienazione nel senso psichiatrico del termine, che anzi è quando il soggetto non può arrivare a riconoscersi attraverso l'Altro, in quanto luogo del Codice, che si ritrova nella psicosi. Alienato dunque, in quanto diviso, barrato. Cosa che fa del soggetto umano un soggetto significante, imbrigliato dalla parola nella quale però non tutto può rientrare, rimanendo quindi un resto, che è ciò che poi lo mette in tensione continuamente e che Lacan chiama, mi sembra, l'oggetto piccolo (a), che poi è ciò che causa il desiderio. Desiderio che quindi, è sì, metonimia della mancanza, ma in quanto effetto di questa divisione ad opera del linguaggio, tant'è che il soggetto del desiderio non coincide col soggetto del linguaggio, esistendo tra i due un scarto irriducibile. Bisogna poi anche considerare che l'ultimo Lacan ritorna al soggetto come Uno essenzialmente senza l'Altro (rimando a tal proposito al recente bel libro di Miller e Di Ciaccia: "L'Uno-tutto-solo"). Insomma senza pretendere di affrontare qui tutta la complessità del pensiero di Lacan e della sua teoria del Soggetto e del disiderio, mi sembra cje la posizione lacaniana includa, più che escludere, le dimensioni "dimenticate" o "distaccate" del soggetto in seguito all'azione dell'immaginario e della parola. In altre parole, se Lacan può apparire lacunoso è perché lacunoso è il soggetto di cui si tratta, e questo Lacan lo ha ben presente, tant'è che che la psicoanalisi che lui rivendica, e che attribuisce a Freud, è la psicoanalisi che ha per oggetto ciò che manca e non ciò che è presente all'appello della parola, consistendo in questo, in ciò che manca, in ciò che al discorso è sottratto, la peculiarità dell'inconscio e il desiderio che lo abita.
Mi scuserai se sono stato alquanto sintetico, e se mi sono permesso di richiamare alcuni concetti che tu sicuramente conosci meglio di me: lungi da me l'idea di poterti fare una lezione sul pensiero di Lacan. E' solo che me ne sono servito giusto per rappresentarti che la mia idea su Lacan è che in lui ci sia molto proprio di quello che tu ritieni invece sia trascurato od omesso dal suo discorso, e cioè che quello che conta è cio che viene a mancare.
Attendo con piacere di leggere le argomentazioni che ti/mi hai promesso.

Grazie. Manterrò la promessa!


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