“Better safe than sorry”: ripensare ed implementare la telepsichiatria ai tempi del COVID-19

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26 maggio, 2020 - 16:20
La pandemia da SARS-CoV-2 ha posto a noi psichiatri delle difficoltà apparentemente insormontabili nella gestione delle persone con disturbi psichiatrici (1). Usiamo l’avverbio “apparentemente” perché, in realtà, ci ha consentito di ripensare quello che è il nostro modo “routinario” dell’agire relazionale e terapeutico (2, 3).
A tal scopo si riporta un esempio di richiesta di una persona che ha contattato una help line che è stata attivata presso l’ospedale di Teramo allo scopo di fornire un aiuto psicologico per chiunque ne avesse bisogno o sentisse la necessità durante il periodo “buio” del lockdown.
Persona: “So che disturbo e me ne scuso, ma non ho mai chiesto un vero aiuto per i miei problemi perché mi vergognavo a venire in psichiatria (…) sa, io vivo in un piccolo paese e ci sono parecchie persone che sono seguite da voi al CSM e, mi spiace dirlo, sono tutte additate come pazzi anche se a me sembrano persone che hanno solo bisogno di essere ascoltate e curate (…) appena ho sentito di questo numero gratuito ho approfittato subito perché almeno nessuno può sapere che ho questi problemi (n.d.s. crisi di panico da almeno 5 anni, trattate con il “fai da te” senza beneficio e con sviluppo di depressione “reattiva” ed iniziale ideazione autolesiva) (…) mi piacerebbe fare una visita con lei, ma non posso venire fino a Teramo, come posso fare? (…) però io sono scettico perché una volta che sono stato visitato da un suo collega (privato, n.d.s.), ma mi sono vergognato a raccontargli tutta la mia storia (…)”
Psichiatra (DDB) “ (…) potremmo stabilire di sentirci via Skype, oppure con Meet, Zoom, Teams, quello che lei preferisce e come vuole (…) io credo che poterci vedere “de visu” anche se online possa essere più consono per conoscerci almeno di persona (…) oppure tramite altri mezzi web che lei preferisce”.
Persona “ (…) ma perché, voi sapete usare Skype o Meet? Io credevo che uno dovesse per forza venire di persona sennò niente! (…) quindi siete diventati moderni!”

Questa persona è stata poi vista tramite Skype e Meet da uno degli autori del presente contributo (DDB) e, dopo alcune visite online di approccio, si è convinta a venire di persona presso il CSM di Teramo per una visita con prescrizione terapeutica che a tutt’oggi segue con rimarchevole beneficio. Ovviamente, la stessa persona viene visitata anche “online” con cadenza settimanale per sedute di psicoterapia cognitiva di supporto e questo per lei sta rappresentando un punto di ascolto fondamentale e inusitato.
Una domanda a questo punto sorge spontanea. Ma perché questo tipo di approccio non è quasi mai stato implementato nei servizi pubblici di psichiatria italiani come è stato fatto con grande successo in alcuni paesi esteri (4, 5)? Eppure molti colleghi, in via informale, lo usano da anni per raggiungere persone che, magari, per difficoltà legate al territorio, per causa dello “stigma” della visita psichiatrica (vecchio retaggio della purtroppo deleteria esperienza manicomiale italiana), per sottovalutazione dei problemi psicologici (sempre dalla conversazione di cui sopra “(…) io lo so che voi avete a che fare con le persone che stanno molto male e che i miei problemi sono delle cavolate in confronto…”) etc.
Ma un aspetto centrale della relazione con questa persona è stato il fatto che grazie al “mezzo elettronico” l’accesso agli stati mentali, alla precaria condizione sociale ed economica, alla storia dolorosa di abuso che ella aveva subito in età infantile-adolescenziale è stato (paradossalmente?) facilitato dall’uso della telepsichiatria, cosa che la persona stessa ha rimarcato più volte “(…) quando sono stato visitato di persona, mi sono vergognato a dire quello che avevo subito (…) non so dirle il perché, ma tramite Skype mi sento più sciolto, più protetto, più libero di dire quello che non avrei mai confessato a nessuno (…)”.
Inoltre, sappiamo perfettamente che le persone con disturbi psichiatrici gravi possono essere estremamente a rischio di essere contagiate per una serie di ragioni ben definite (barriere strutturali che impediscono di restare in quarantena, situazioni abitative precarie, scarsa disponibilità economica per gli approvvigionamenti di prima necessità, “homelessness”, riluttanza all’uso di mascherine e guanti, poca attenzione alle norme di igiene per contrastare i contagi ecc.) (6). Per impedire questo fenomeno abbiamo adottato con molte persone affette da gravi disturbi incontri “virtuali” di psicoeducazione su piattaforme online, per telefono o via Whatsapp, spiegando loro la necessità di seguire le norme di igiene e precauzione di base (lavaggio delle mani, disinfezione di eventuali fomiti, uso di gel igienizzanti, uso delle mascherine e dei guanti ecc.) oltre che il rinforzo positivo a continuare le terapie prescritte senza fare “il fai da te” o, peggio, sospendere.
Peraltro Iasevoli et al. (7) hanno dimostrato che persone con disturbi psichiatrici (anche non necessariamente di gravità estrema) avevano un rischio di percezione del  “COVID-19 pandemic-related stress” molto più elevato rispetto alla popolazione generale (che già di per sé aveva, ciononostante, un alto rischio di stress) con una probabilità 2-3 volte più alta di sviluppare sintomi ansiosi e depressivi molto gravi. L’uso degli strumenti di telepsichiatria ha consentito di stabilire una linea d’aiuto virtuale e privata per cercare di ridurre dunque l’impatto delle false credenze (a volte false e alimentate dalla c.d. “infodemia” quand’anche da fake news vere e proprie) (8, 9), delle paure spesso esagerate e fuori luogo pur comprensibili in un contesto di pandemia, della sensazione imminente di poter morire se contagiati (una persona ha riferito testualmente “(…) io ho il diabete e la pressione alta, sono pure schizofrenico, per cui è sicuro che mi prenderò il virus e morirò (…)”) e della percezione di “helplessness” durante il lockdown (10).
Addirittura tramite mezzi di telepsichiatria si è riusciti ad individuare potenziali ed iniziali non aderenze ai trattamenti adottando idonei mezzi per indirizzare questo notevole problema (es. switch da formulazioni per os di antipsicotico a formulazioni LAIs effettuate a domicilio, monitoraggio durante la videoconferenza dell’assunzione dei farmaci come il litio solfato ecc.) (11).
Dunque, in conclusione, considerando anche che la “fase 2” si protrarrà, crediamo, per molto tempo e, anche in previsione (Dio non voglia) di eventuali “seconde ondate” o nuovi focolai di contagio, ci auspichiamo che la telepsichiatria sia implementata in modo formale nei servizi pubblici anche prevedendo corsi di “Information Technology” per gli operatori della salute mentale e per le persone con disturbi psichiatrici non esperti o poco “confident” con queste tecniche. Si potrebbe (o, meglio, si dovrebbe) anche prevedere la fornitura, da parte dei servizi pubblici, di tablets o smartphones (anche di basso costo, purchè dotati con connessione internet) e/o la stipula di convenzioni con le principali compagnie telefoniche nazionali per la connessione ad internet a prezzi ragionevoli riservate a queste fasce di popolazione i cui costi, se sostenibili, potrebbero anche essere a carico dei DSM e/o del Ministero della Salute.
Garantire l’accesso alla continuità relazionale-terapeutica usando le nuove tecnologie è ormai imperativo per ridurre quella che potrebbe essere la prossima pandemia, quella ”psichiatrica”. Perché per usare le parole di Shore et al. (12) in un recente articolo pubblicato su Jama Psychiatry “(...) we are able to harmonize the benefits of telepsychiatry and virtual care while maintaining the core of our treatment: that of human connectedness.”. Bisognerebbe, però, agire subito senza perdere tempo perché, ovviamente, “better safe than sorry”. Infatti, mentre con grande difficoltà si costruiscono le relazioni terapeutiche e le “connessioni” umane, con estrema facilità, se esse non vengono mantenute ed alimentate specie in periodi bui come quello che stiamo vivendo, possono andare incontro ad una ineluttabile ed inesorabile dissoluzione, con le conseguenze che tutti noi ben possiamo immaginare (e che aggiungiamo, non possiamo assolutamente permetterci) (13).
 


Bibliografia
1.           Freeman MP. COVID-19 From a Psychiatry Perspective: Meeting the Challenges. The Journal of clinical psychiatry. 2020;81(2).
2.           Druss BG. Addressing the COVID-19 Pandemic in Populations With Serious Mental Illness. JAMA psychiatry. 2020.
3.           Fagiolini A, Cuomo A, Frank E. COVID-19 Diary From a Psychiatry Department in Italy. The Journal of clinical psychiatry. 2020;81(3).
4.           Kannarkat JT, Smith NN, McLeod-Bryant SA. Mobilization of Telepsychiatry in Response to COVID-19-Moving Toward 21(st) Century Access to Care. Administration and policy in mental health. 2020.
5.           Khanna R, Forbes M. Telepsychiatry as a public health imperative: Slowing COVID-19. The Australian and New Zealand journal of psychiatry. 2020:4867420924480.
6.           Shinn AK, Viron M. Perspectives on the COVID-19 Pandemic and Individuals With Serious Mental Illness. The Journal of clinical psychiatry. 2020;81(3).
7.           Iasevoli F, Fornaro M, D'Urso G, Galletta D, Casella C, Paternoster M, et al. Psychological distress in serious mental illness patients during the COVID-19 outbreak and one-month mass quarantine in Italy. Psychological medicine. 2020:1-6.
8.           Chong YY, Cheng HY, Chan HYL, Chien WT, Wong SYS. COVID-19 pandemic, infodemic and the role of eHealth literacy. International journal of nursing studies. 2020;108:103644.
9.           Orso D, Federici N, Copetti R, Vetrugno L, Bove T. Infodemic and the spread of fake news in the COVID-19-era. European journal of emergency medicine : official journal of the European Society for Emergency Medicine. 2020.
10.         Shaw SCK. Hopelessness, helplessness and resilience: The importance of safeguarding our trainees' mental wellbeing during the COVID-19 pandemic. Nurse education in practice. 2020;44:102780.
11.         Sheikh A, Sheikh Z, Sheikh A. Novel approaches to estimate compliance with lockdown measures in the COVID-19 pandemic. Journal of global health. 2020;10(1):010348.
12.         Shore JH, Schneck CD, Mishkind MC. Telepsychiatry and the Coronavirus Disease 2019 Pandemic-Current and Future Outcomes of the Rapid Virtualization of Psychiatric Care. JAMA psychiatry. 2020.
13.         Fiorillo A, Gorwood P. The consequences of the COVID-19 pandemic on mental health and implications for clinical practice. European psychiatry : the journal of the Association of European Psychiatrists. 2020;63(1):e32.

 

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