R.I.P Monica Vitti. Un ricordo. Lei non sa che io so.

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8 novembre, 2021 - 05:23

 

«Ricordare significa

ritornare al cuore, ritornare con il cuore”».

Papa Bergoglio

 

Anch’io mi unisco al coro unanime di estimatori che rendono omaggio al compleanno dell’attrice, smisuratamente grande, in ogni ruolo: tragico, comico, drammatico, brillante, del cinema, dell’avanspettacolo, del teatro classico, della radio, della televisione ... Per 40 anni - è stato detto e scritto - “il quinto moschettiere” della storica “commedia all’italiana”. La Vitti, tra Gassman, Sordi, Tognazzi, Manfredi. Silente ormai, purtroppo, da oltre 20 anni, in questi giorni ho ricordato Monica Vitti per più di un motivo.

 

Nella vita ci siamo sfiorati. Coincidenze, vicende mie personali, si sono incrociate con le sue. Complice la passione per il teatro. Per puro caso, non ci siamo conosciuti. In un tempo lontano la vidi sfrecciare con una motoretta nei pressi dell’Accademia d’Arte drammatica “Silvio D’Amico”. C’ero andato con un gruppo di aspiranti attori a ritirare i moduli d’iscrizione. Uno di loro la riconobbe e me la indicò a dito. “Vedi? È Monica Vitti! Ha già fatto cose importanti con Sergio Tofano e Orazio Costa”. Lo snodo centrale per entrambi, è stata quella zona privilegiata di Roma che racchiude i saperi e le arti. La Città Universitaria, sede de “La Sapienza”, la Piazza della Croce Rossa, sede dell’Accademia Nazionale di recitazione e del Ministero dei Trasporti (dove mio padre diresse il Servizio Disciplina del personale) e, giù in fondo a destra, il Policlinico Umberto I, fabbrica di medici illustri. Ma lei, Monica Vitti, l’attrice anticonvenzionale, la ribelle, la grandissima, non ha mai saputo che io sapessi chi lei fosse, parafrasando il suo film del 1982 con Alberto Sordi “Io so che tu sai che io so”.

 

Maria Luisa Ceciarelli, era nata a Roma da madre bolognese il 3 novembre 1931 e padre romano, funzionario di banca. Io nacqui a Bologna 10 mesi dopo e venni a Roma nel 1948. I suoi non volevano che facesse teatro ma si assentarono per andare in America dal figlio più grande che era diventato padre di tre gemelli, il tempo sufficiente per consentire alla figlia di diplomarsi attrice e cambiare nome in Monica Vitti strappando l’ultimo pezzo al cognome della madre bolognese per mimetizzare la sua complessa interiorità. Anche i miei non volevano che diventassi attore e sventarono lo stratagemma di falsificare la firma di mio padre sulla domanda di ammissione all’Accademia, allora necessaria per i minori di 18 anni. Ai tempi di Papa Pacelli e prima della Legge Merlin, la carta d’identità era essenziale tanto per i maschi che per le femmine. L’imbroglio fu scoperto quando ricevetti la convocazione per la prova di ammissione all’esame. Mia madre, poco dopo aver alzato la cornetta del telefono, si rese conto che l’Ufficio che chiamava da Piazza della Croce Rossa non era il Ministero, ma l’Accademia. Al mio rientro ricevetti una sonora lavata di capo e fui messo a mangiare in cucina per una settimana di punizione.

 

C’erano altre affinità casuali ma indicative, tra me e lei, come quella di odiare il volo e preferire il treno o la nave, per viaggiare. Devo anche aggiungere, però, che i miei furono più tolleranti di quelli della Vitti, riguardo allo studio della recitazione. Mio padre, saggiamente, mi offrì un’opportunità. Prima di tutto, una “laurea vera”, da sei anni, oppure cinque, come ingegneria o comunque col biennio propedeutico di “Scienze matematiche fisiche e naturali”. Poi, per la recitazione, semmai ne avessi avuto il tempo e me ne fosse rimasta la voglia, avrei potuto scegliere una scuola meno rigorosa della “Silvio D’Amico” per orari e frequenza, a mio piacimento. Fu così che le nostre orbite esistenziali tornarono a divergere. Lei crebbe nell’empireo dell’arte della recitazione fino a diventare Monica Vitti, attrice polimorfa, duttile, incomparabile. Io, invece, diventai medico ed ebbi come Maestro di teatro (e primo paziente) Pietro Sharoff, profugo dal “Teatro d’Arte di Mosca” di Stanislavskij e Dancenko, direttore dell’accademia omonima romana. Trovai anche Silvia, la compagna della vita, madre dei miei figli che in quella scuola ci si era diplomata.

 

Da studente di medicina continuai, per un po’, con teatro, prosa radiofonica, televisione, cinema, e cartoni animati. Smisi quando vinsi il concorso per l’ammissione alla scuola di specializzazione in Clinica delle Malattie Nervose e Mentali. Anch’io, però, mantenni un piccolo segreto, nascondendolo nelle sale di doppiaggio. La voce dopo tutto non si vedeva. Nondimeno ci si potevano fare molte cose, se fosse stata educata. Anch’io, come la Vitti, cambiai nome, ma solo per opportunità. Luca lo presi dal Santuario di Bologna, Ernesto da mio padre, che si era opposto alla mia scelta originaria, Mellina rimase tal quale e divenni “Luca Ernesto Mellina”, solo nel buio delle sale di sincronizzazione. Debbo riconoscere che, tutto sommato, ebbe ragione mio padre perchè nonostante il “sacro fuoco dell’arte” non avrei mai potuto neppure avvicinarmi al livello stratosferico di Monica Vitti. Invece ritengo di aver assolto con passione e competenza la professione di medico, neurologo e psichiatra nella grande epopea della chiusura dei manicomi.

 

Le nostre orbite esistenziali, tornarono ad avvicinarsi, senza toccarsi, però, per quelle imponderabili coincidenze della vita che non si sa se siano prodotte dal “caso” o dalla “necessitò”, come abbiamo saputo da Jacques Monod - Nobel 1965 - mentre studiava le dinamiche della biologia macromolecolare. Non la vidi mai di persona ma, Emilio Benincasa Stagni - uno dei Primari del Manicomio di Monte Mario - suo amico e consulente della produzione, era prodigo di consigli, e suggerimenti di ambientazione, al regista, alla “troupe”, quando saliva all’OPP. Data la fama dei personaggi, era inevitabile che noi Colleghi (Io e “Nino” Lo Cascio segnatamente), ne chiedessimo notizia, fin nei dettagli. Quello più divertente da ricordare è che lo “psicoanalista della mutua” che si vede duettare con Monica Vitti nella celebre sequenza “Adelaide dallo psicoanalista” in “Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca)” di Ettore Scola (1970), con Mastroianni e Giannini, è uno psichiatra autentico e bravissimo: il dr. Emilio Benincasa Stagni, nella parte di sé stesso, in presa diretta, senza essere doppiato. E pensare che ”voce-volto”, era l’unica e irrinunciabile richiesta sindacale di tutte le “Cooperative di doppiatori”, anni ’50 del secolo passato. Del film, sarà sufficiente citare un paio di sequenze per richiamare la grandezza della Vitti, il livello raffinato della sua opera e di tutti quelli che hanno lavorato con lei.

 

Personaggi e interpreti

Adelaide Ciafrocchi: Monica Vitti (AD)

Psicoanalista della mutua: Emilio Benincasa Stagni (PM)

Oreste Nardi: Marcello Mastroianni (ORE’)

Nello Serafini: Giancarlo Giannini(NE’)

(in parentesi note di regia)

 

(Campo lungo, sirena spiegata, ambulanza che inchioda, entrata pronto soccorso, lettiga spinta velocemente da portantino corpulento che fende porte a battente del pronto soccorso fino sala medicazione).

Portantino: - Stavolta t’ha detto bene Adelà! -

AD. (sospiro) - Eh! - (soggettiva precedente di Adelaide che si aggira triste per strada affollata centro di Roma tra indifferenza della gente e ragazzotti che le fischiano dietro).

AD. (primo piano lei stesa su lettiga al pronto soccorso) - Ecco il mio malessere è il seguente. Può un sistema nervoso essere innamorato idealmente di colui che l’ha corcata di botte, e cioè allora Oreste? A mente fredda giuro che lo odio e di mai più rivederlo, ma so che mento a me stessa ... Ora le spiego. L’altro, il secondo, Nello, mi appaga sia sul piano umano che su quello dei sensi. Ma poi, il ricordo del primo, prende il mio sopravvento e io mi trovo a desiderare proprio quello che m’ha menato, in un’insonnia notturna che non mi fa dormire ... (si gira verso il dottore chino sullo scrittoio del registro ingressi) - Debbo parlare dell’infanzia? -

PM. -Parli dell’infanzia -.

AD. - Ho fatto la piscia a letto fino a due anni e mezza poi non più ... Nel vitto sono sempre stata di gusti semplici, pastasciutta, spezzato con patate, contorni vari, frutta secca ...

PM. - Lasci stare il vitto-.

AD. -Sogni ricorrenti?-

PM. - Ehm -

AD. - Io me sogno sempre de spojamme nuda insieme a tanta gente in cima a un cornicione ... indizio d’insicurezza? -

PM. -Gli indizi li dico io!-

AD. -Ma allora io che dico?-

PM. -Quello che vuole, parli, parli ...

AD. -Vabbè. A 25 anni prima esperienza completa a Torvaianica, e poi quasi più nulla fino al grande amore, Oreste... che è Ariete e c’ha l’ascendente su Scorpione ...

PM. - Il che non è rilevante, lasci stare l’oroscopo!-

AD. -Ecco, lo sapevo!-

PM. -Parli, parli ... (esce sul corridoio affollato) ... a dottò io sò due ore che ... (brusio) ... parlate, parlate, parlate tra voi, pure ad alta voce, terapia di gruppo ... (brusio) ... parla Cerioni! ... (voce maschile) eh! sto a parlà!! (voce femminile) je stavo dicendo, quand’ero innamorata der povero papà c’avevo mal de panza per via der senzo de la corpa ...

(Stacco primo piano lettiga)

AD. - È il mio tormento ... devo uscire da questo bivio angoscioso ... da queste turbe psichiche ... eh dottore? ... (è sparito) ... dottore, dottore ... -

PM. (rientrando) ... parli, parli ...

AD. - Si, le stavo dicendo, di che natura è il mio male? Ho avuto un trauma, sono sotto shock, ho avuto un disturbo neurovegetativo, o è perché sono mignotta?

PM. - Lasci stare i termini scientifici! Il suo malessere dipende essenzialmente che si ritiene un caso unico e disperato, invece amando due uomini, lei, oggi come oggi, è al di sotto della media, si distragga ...non pensi così ossessivamente a quel Nello e quell’Ernesto ...

AD. - Oreste ...

PM. - Torni giovedì intanto le prescrivo qualcosa per dormire

AD. - Ho fatto proprio bene a venire ... lei mi ha ridato la serenità, grazie dottore , grazie mille!

 

(Stacco, primo piano su Adelaide con una molletta al naso e il tubo del gas in bocca).

Stessa inquadratura ambulanza. Campo lungo, sirena spiegata, ambulanza che inchioda, entrata pronto soccorso, lettiga spinta velocemente da portantino corpulento che fende porte a battente del pronto soccorso fino sala medicazione).

Portantino: - Ahoo, Adelaide, è tornata Adelaide! Tentato suicidio!

Infermiere: - Bene! Bene! Ciao Adelà! –

 

(Esterno “Policlinico Umberto I”, dietro PS, sopra zona cucine. I due uomini di Adelaide la spingono – amorevolmente - dimessa in sedia a rotelle )

ORE’ - Come te senti stamattina cocca?

AD. - (guarda or l’uno or l’altro, scuotendo il capo smarrita) Ehh!!

NE’ - Hum? Hum?

AD. (gesti diniego col capo) - Quanno che manca la volontà di vive, sei sempre impotente ...

 

Penso che il silenzio forzato, imposto da questa malattia della memoria che data da oltre ventanni - praticamente una ontologia senza linguaggio, con un velo di autoanestesia naturale - possa essere in parte compensata, riscrivendo il copione del dialogo surreale, scoppiettante, di arguto motteggio della moda psicologico-psicoanalitica “Adelaide dallo psicanalista della mutua”. Un pezzo esemplare, che si studia nei corsi di recitazione cinematografica. Qui lo psichiatra vero, Emilio Benincasa Stagni, ha dei tempi da “spalla” comica con Monica Vitti, nei panni di Adelaide, semplicemente perfetti. Da fare invidia a professionisti navigati tipo Gianni Agus con Fantozzi, Peppino De Filippo con Totò, per dire. Non può esserci omaggio migliore nel suo novantesimo “muto”, che ridarle la parola. La sua, quella “roca”, sensuale, comica, con cui ci ha sedotti. Parola autentica, spontanea, magistrale finzione, di Monica Vitti. Indimenticabile!

 

Bibliografia minima.

Cfr. in <pol.it psychiatry on line italia> Alzheimer e dintorni. Ontologia senza linguaggio. La solitudine dei "Caregiver" di Sergio Mellina 17 giugno, 2019

Si veda ne “Il mondo dei doppiatori” - Realizzazione Antonio Genna - La pagina di LUCA ERNESTO MELLINA

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