IL SOGGETTO COLLETTIVO
Il collettivo non è altro che il soggetto dell’individuale
di Antonello Sciacchitano

Meccanizzare la storia

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28 novembre, 2021 - 11:46
di Antonello Sciacchitano

Una via per pensare in termini meccanici – non romanzeschi né vitalisti – la storia evolutiva del soggetto potrebbe passare attraverso i teoremi di Ramsey (plurale!).

Interessante la storia di questi teoremi, che risalgono al 1930, quando Freud scriveva Il disagio nella civiltà. Come lemmi per dimostrare la completezza della logica classica, furono escogitati dal ventiseienne Frank Plumpton Ramsey, un giovane matematico ed economista, stimato da Keynes, che a 19 anni tradusse in inglese e criticò con l’autore il trattato di Wittgenstein, dopo aver imparato il tedesco in una settimana. Di fatto i teoremi di Ramsey definiscono il campo della matematica combinatoria e della teoria dei grafi, dove qualche secolo prima Pascal, Tartaglia ed Eulero avevano prodotto risultati eccellenti. Ramsey circoscrive il campo particolare degli oggetti di cui parlano entrambe queste matematiche. È, infatti, consuetudine che la generalizzazione in matematica non sia mai generica, ma avvenga sempre in un campo particolare ben determinato. La prima folgorante, direi epocale, generalizzazione algebrica fu, infatti, la teoria dei gruppi di Galois, che definì il campo dove valgono i teoremi di Abel-Ruffini e il teorema fondamentale dell’algebra dei numeri complessi. La generalizzazione matematica introduce e giustifica il particolare come base per pensare il generale. Siamo agli antipodi dell’idealismo hegeliano, che pone la verità nell’universale: “L’universale deve esprimere l’essenza del reale”.[1]

Come potrebbe avvenire questa mini-rivoluzione anti-idealistica nel caso della vita soggettiva? La risposta non è meccanica. Comincio da un caso semplice della teoria di Ramsey, che inaugura il libro, che citerò più volte, di Graham e colleghi, oggi arrivato alla seconda edizione, a dieci anni dalla prima, evento raro per un libro di matematica pura, in particolare di teoria dei numeri.[2]

Il numero di giugno-luglio del 1958 di The American Mathematical Monthly pose ai lettori il seguente singolare quesito: qual è il numero minimo di persone in cui o tre si conoscono o tre non si conoscono? Cinque non bastano. Ovviamente, cinque persone escludono il caso di tre persone che si conoscono e di tre persone che non si conoscono, per cui ne occorrono almeno sei. Di fatto, in un pentagono si possono colorare i lati e le diagonali con due colori, rosso (per le persone che si conoscono) e blu (per le persone che non si conoscono), in modo che nonrisultino triangoli monocolori. Provare per credere. Ci vogliono almeno sei persone per rispondere al quesito.

Infatti, si dimostra che sei persone sono necessarie e sufficienti.

Siano sei persone A,B,C,D,E,F. A o conosce tre persone, diciamo B,C,D o non conosce tre persone, diciamo D,E,F, perché tra tre persone sicuramente o ne conosce almeno due o non ne conosce almeno due (2+2<5) e la terza persona ricade in uno dei due casi suddetti. Consideriamo il caso in cui A conosca B,C,D. Data la simmetria della relazione di conoscenza, B,C,D conoscono A. I casi sono ancora due: o tra B,C,D esistono due persone che si conoscono, diciamo B e C, che con A, formano il terzetto di persone di persone che si conoscono, o tra B,C,D non esistono due persone che si conoscono, formando il terzetto di persone che non si conoscono. Il caso in cui A non conosca tre persone D,E,F è simmetrico al precedente e il teorema è dimostrato. Il numero di Ramsey per sei soggetti e due colori, in formule R(3,3,2), vale 6; solo allora si forma almeno un triangolo monocolore o rosso o blu, comunque si colorino in rosso o blu i lati del grafo esagonale.

La teoria di Ramsey è intrigante e contro-intuitiva. Il ragionamento diventa subito molto, ma molto complicato al crescere del numero di persone che si conoscono o non si conoscono, diciamo l. Per ogni valore di va dimostrato un teorema ad hoc, senza che si possa individuare uno schema generale, valido universalmente. Con ironia Graham e colleghi fanno notare che nella teoria di Ramsey vale la legge dei piccoli numeri: “Configurazioni scoperte per piccoli numeri evaporano per numeri sufficientemente grandi”.[3] Già con 4+4 persone bisogna considerare poligoni con 18 lati per avere un quadrilatero completo di diagonali.[4] Si può farne un gioco dove due giocatori, uno con la matita rossa, l’altro con la matita blu, connettono due vertici del poligono; perde chi disegna un quadrilatero completo. Per 5+5 persone, o superiore, non si conosce il numero di Ramsey esatto. In generale, si sa solo che i numeri di Ramsey esistono e sono limitati superiormente da un numero esponenziale dell’ordine di grandezza di 2(2l-1)–1, molto superiore all’effettivo.[5]

Per quanto detto, il significato meccanico del numero di Ramsey è semplice e chiaro in termini di grafi. Comunque si colorino i lati del grafo completo di n vertici, se n è maggiore del numero di Ramsey, allora nel grafo esiste un sotto-grafo di vertici tutti connessi, i cui lati sono dello stesso colore.[6]
Insomma, in meccanica dobbiamo accontentarci dell’esistenza, secondo la richiesta cartesiana secondo cui, perché la cosa esista, bisogna pensarla bene. Ciò è vero anche nel caso del moto di tre corpi di masse confrontabili in attrazione reciproca. Il risultato è un moto caotico, cioè imprevedibile: piccole variazioni nelle condizioni iniziali producono notevoli variazioni nel moto finale. La formula analitica esplicita, l’integrale del moto dei tre corpi, non si conosce, ma il moto esiste. Si sa, però, che ha 4 punti fissi, i punti di Lagrange, utili per posizionare i satelliti delle telecomunicazioni.

Dobbiamo allora abbandonare le pretese meccaniche? Direi di no. Si può fare una meccanica qualitativa, non quantitativa, ma concepita a partire dalla quantità, magari assecondando le fobie umanistiche anti-quantitative. Ma i teoremi restano.

A noi interessano i meta-teoremi. La teoria di Ramsey riguarda teoremi che garantiscono l’emergere automatico di strutture dalla pura quantità. Se, le colorazioni sono solo due e la quantità di elementi supera una certa soglia – il numero di Ramsey – si è certi che dal nulla si crea una struttura, come si richiede alla creazione vera e propria: un triangolo, un quadrilatero completo, in generale un poligono con tutte le sue diagonali. In teoria dei grafi si chiamano grafi completi o clique e si indicano con Kn. I loro duali sono i grafi con lati non connessi, detti indipendenti.

Detto meglio: “In matematica esistono numerosi teoremi che asseriscono, detto all’ingrosso, che ogni sistema di una certa classe possiede un grande sottosistema con un alto grado di organizzazione, superiore a quello del sistema originale. L’esistenza del numero di Ramsey è il primo esempio. Per ogni grafo G di vertici esiste un grande sotto-sistema di dimensione l (un sotto-grafo) con un alto grado di organizzazione: o completo o indipendente. Questa classe di problemi include, per esempio, il teorema di Bolzano-Weierstrass, secondo cui ogni successione limitata di numeri complessi contiene una successione convergente a un limite”.[7]

Ecco far capolino l’infinito. In effetti Ramsey, dimostrò il proprio teorema prima nel caso infinito e poi in quello finito. Oggi i due casi si unificano in base a un principio di compattezza. La tipica interazione tra finito e infinito si esemplifica nel teorema di van der Waerden: “Se gli interi positivi sono divisi in due classi almeno una delle classi deve contenere progressioni aritmetiche arbitrariamente lunghe”.[8] 

Questo avvento “morbido” dell’infinito dovrebbe essere compatibile con le idiosincrasie umanistiche, da Aristotele in poi avverse all’infinito in atto. Si capisce il perché dell’antica avversione. L’esistenza dell’infinito fa orrore, perché fa decadere il principio narrativo di ragion sufficiente, su cui si basa il cognitivismo storico. Se la catena delle cause è infinita, non si può risalire dall’effetto alla causa prima. Se c’è l’infinito, la storia non conclude. Si perde la verità della narrazionel’unica verità ammessa dalla filosofia classica. Nessuna storia, quindi nessuna filosofia, racconta l’infinito. Allora si capisce perché, nella sua esemplare dimostrazione dell’infinità dei numeri primi,[9] Euclide non parli di infinito, di apeiron o indefinito, ma dimostri in modo brillante che l’ipotesi finita è contraddittoria.[10]

Eppure, l’idea di un oggetto infinito del desiderio non è del tutto assurda. Basta non concepire l’infinito come indefinito, come gli antichi Greci. L’oggetto del desiderio, sfuggente al sapere conscio, abiterebbe la successione limitata dei significanti come sotto-successione infinita convergente, prevista dal teorema di Bolzano-Weierstrass. L’oggetto come limite all’infinito non è un’idea balzana; è un’idea topologica, basata sul concetto moderno di scienza come approssimazione, ignoto agli antichi, che dalla scienza pretendevano certezze categoriche, quasi fosse una religione. Non molto diverse sono le versioni correnti delle dottrine psicanalitiche che, come le antiche, sono rigorosamente deterministiche, per salvaguardare la professionalità psicoterapica.

Proviamo allora con Ramsey. Torniamo al caso della bipartizione con numero di particelle uguali. Particelle? Stiamo facendo della fisica? Perché no? I calcoli che seguono sono puramente immaginari, ma non privi di una loro ragionevolezza, essendo scontato il fascino. Immaginiamo che il polimero indispensabile alla vita, per esempio, perché necessario per formare i ribosomi, le macchine che sintetizzano le proteine, sia formato da nove atomi. Si sa che, perché si formi automaticamente un polimero di 9 atomi interconnessi (rosso) o del suo simmetrico (blu), basta un “brodo primordiale” composto da un numero di atomi compreso tra almeno 273 (limite inferiore) e al più 8066 (limite superiore).[11] È un fatto meccanico: formatosi il polimero dei ribosomi, per lo stesso principio puramente aggregativo, si formano prima una cellula (protozoi e archea), poi un aggregato di cellule (metazoi), fino alle balene, agli elefanti e… ai loro virus.

Non è fuori posto la seguente osservazione. Foucault accusò Darwin di non avere senso storico. A rigore aveva ragione. Non esiste nella cosiddetta evoluzione darwiniana – Darwin non usò mai il termine evolution in Origine delle specie – un’unica genealogia storicamente documentabile, come in psicologia non esiste un’unica psicogenesi. Quando un corpo muore, di qualunque specie sia, si liberano molti atomi, disponibili per una nuova aggregazione, diversa dalle precedenti. L’evoluzione riparte ogni volta da zero come tre miliardi e mezzo di anni fa. Lo dimostra l’attuale pandemia da Sars-Cov 2 con il pullulare di nuove varianti, che sfuggono ai vaccini. Non è escluso che tra 300.000 anni si generi una nuova specie di Homo migliore dell’attuale, magari più rispettosa dell’ambiente, Homo ecologicus, … se ci sarà ancora un ambiente da rispettare. Per spegnere eventuali entusiasmi, ricordo che la vita residua del sistema solare, prima che il Sole deflagri, è stimata in soli 780 milioni di anni, un po’ pochi perché si crei una nuova forma di vita complessa.

Il concetto da salvare, estraneo al vitalismo di scuola – esistono da sempre scuole di vita, più scolastiche che vitali – e a tutte le sue varianti romanzesche,[12] è che la pura quantità genera due concetti chiave della scienza moderna o galileiana: la variabilità e le interazioni tra parti elementari. Sono esattamente questi i concetti che mancano alla metapsicologia freudiana, fondata sui modi aristotelici di pensiero antropomorfo in termini di cause efficienti (le pulsioni sessuali) e di cause finali (le pulsioni di morte), ciascuna con una fonte e una meta. Variabilità e interazione reciproca tra viventi sono, invece, le componenti di base del darwinismo, che Freud ignorò, non avendo mai letto né L’origine delle specie (1859) né la monumentale La variazione degli animali allo stato domestico (1868), assenti dalla sua biblioteca. Freud lesse di sfuggita solo L’origine dell’uomo (1871) e attribuì falsamente a Darwin il proprio mito dell’orda primitiva, dominata da uno stallone (Männchen), che teneva per sé tutte le donne, obbligando i maschi all’omosessualità. Nulla di più estraneo al “lungo ragionamento” di Darwin, che tentò di spiegare in via congetturale e non mitologica, la variabilità di una specie nell’altra come adattamento all’ambiente, che contiene altre specie.[13]

Come si vede, siamo nel contesto astratto del problema dei tre corpi: due corpi (due specie) interagiscono tra loro e il terzo definisce il loro ambiente, influenzandoli entrambi. Solo che non è semplice come dirlo, perché anche il terzo è un altro corpo che interagisce con il primo e con il secondo, che formano il suo ambiente. Corpo e ambiente risultano indistinguibili: è la peculiarità della meccanica moderna, in particolare della dinamica, inventata da Galilei. L’essenziale è l’interazione. Ma di variabilità e interazioni non c’è traccia nelle Sigmund Freud gesammelte Werke.

Gli psicanalisti freudiani devono ancora riconoscere che la teoria di Freud non prevede collettivi ma masse; sono, infatti, formate da individui tutti invariabilmente uguali, perché identificati allo stesso Führer, e, quindi, privi di interazioni reciproche sia positive sia negative, ossia variabili, in un’ambiente neutro. Sarebbe ora che i freudiani si diano una mossa, giusta la raccomandazione di Freud di promuovere una scienza quantitativa, formulata già nel 1895 nel Progetto di una psicologia. La teoria di Ramsey sarebbe l’occasione giusta per uscire dalle coazioni psicoterapiche, che fissano la psicanalisi nella convenzione medica, magari solo per giocare a chi non disegna un quadrilatero completo in un poligono di 18 lati. Dopo tutto, Lacan ha lasciato scritto tra parentesi che il numero dell’Edipo non è il tre del triangolo ma il quattro del quadrilatero completo, perché bisogna calcolare anche la morte.[14]



[1] G.W.F. Hegel, La fenomenologia dello Spirito (1807), trad. V. Cicero, Bompiani, Milano 2000, p. 128. O più sinteticamente: “Il vero è il Tutto””, ivi, p. 68. Tutta la prefazione di questo libro è una filippica contro la matematica. Il titolo è fuorviante; avrebbe dovuto essere La fenomenologia della vita (o del vitalismo).
[2] R.L. Graham, B.L. Rothschild e J.H. Spencer, Ramsey Theory, John Wiley & Sons, New York 1980.
[3] R.L. Graham et al., cit. p. 75.
[4] Se si richiede che il quadrilatero completo giaccia su un piano, il problema si complica. Quando il grafo originale di 2n vertici è un ipercubo a dimensioni, completo di tutte le diagonali, si ottiene il numero di Graham (1970), che ha un numero di cifre decimali superiore agli atomi dell’universo.
[5] Il numero esponenziale serve al teorico per dimostrare l’esistenza del numero di Ramsey. Un limite superiore più stretto è dato dal coefficiente binomiale C(2l-2, l-1), che nel caso di = 3 dà proprio 6. R.L. Graham et al., cit. p. 4.
[6] Un’ovvia generalizzazione della teoria di Ramsey è richiedere la formazione di altri tipi di sotto-grafi, diversi da quelli completi.
[7] Ivi, p. 17.
[8] Ivi, p. 27.
[9] Euclide, Elementi, Libro IX, proposizione 20.
[10] Vale la pena riportare l’enunciato di Euclide nella traduzione di Fabio Acerbi: “I numeri primi sono più di ogni proposta molteplicità [finita, pléthos] di numeri primi”. La verità dei numeri primi si cela nella famosa congettura sugli zeri della funzione zeta di Riemann, tuttora indimostrata dopo un secolo e mezzo dalla sua formulazione.
[11] A. Bertoni e M. Torelli, Elementi di matematica combinatoria, ISEDI, Milano 1977, p. 133.
[12] Escluse la Bibbia e l’Odissea, il romanzo non fu un genere letterario molto gettonato dagli antichi. Esplose in epoca scientifica con i romanzi di Rabelais e Cervantes, quasi a contrastare la simmetrica esplosione della scienza galileiana, peraltro condannata dall’Inquisizione nel 1633. Il romanzo salvò le pretese del vitalismo meglio della poesia.
[13] Il “lungo ragionamento” di Darwin è un’ampia rassegna di congetture solo molto probabili. Non contiene verità categoriche, come pretende il cosiddetto darwinismo sociale o chi, come Chomski e Piattelli Palmerini, vuole scovare gli errori di Darwin.
[14] J. Lacan, Variantes de la cure-type (1955), in Écrits, Seuil, Paris 1966, p. 362.

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